Estratto porpora di linfa mediterranea. Di piccoli frutti rossi e bacche nere. Un sorso che scivola elegante su note retronasali speziate. Arriva fresco in fondo, con sentori di lampone e vegetali di peperone verde ed erbe balsamiche. Rimane abbastanza per regalarti un tocco salino e un progressivo calore che avvolge e ammorbidisce la bocca. Il nuovo sorso non è una richiesta ma la risposta all’esigenza di allietare nuovamente il palato. Lo si sente respirare ad ogni passaggio, vivo, in movimento, un soffio di vento che porta i profumi della vegetazione. Elegante come solo i migliori Cannonau sanno essere.
Agricoltura biodinamica, lieviti indigeni, lunga macerazione e affinamento in anfora. 14% di Vol.. Bottiglia 2509 di 4900.
Un cannonau che arriva al cuore, moderno nel suo proporsi in antica veste.
Sant’Ambrogio è una ricorrenza sentita a Milano, vengono conferiti gli Ambrogini e quest’anno la coppia più bella e celebre d’Italia se ne è aggiudicato uno. Io, nel mio piccolo, ho colto l’occasione per riesumare dai sepolcri quella bottiglia che mi era stata regalata un paio di anni fa.
Un Recioto Amarone 1969 dell’Enoteca Sant’Ambrogio. In etichetta è riportato il vescovo milanese patrono delle api e delle startup. La bottiglia è un enigma, non sono riuscito a trovare nessuna informazione, posso solo dedurre alcune cose. All’epoca non c’era ancora la DOCG, in etichetta è riportato sia Recioto che Amarone, a testimoniare il passaggio che ha visto il Recioto (vino dolce da uve passite) sdoppiarsi per prendere la strada dell’Amarone. È famosa la definizione dell’Amarone come di un Recioto scapa’, cioè ‘scappato’, per il fatto che anzichè fermare la fermentazione e mantenere il grado zuccherino, e quindi la dolcezza, ha proseguito con il conseguente aumento di gradazione alcolica e struttura.
Ma veniamo alla mia reliquia. La capsula è integra e anche il tappo in buono stato. 💨 Poi però il cielo si è fatto cupo e la pioggia assordante. Ho iniziato a imprecare. In che altro modo avrei potuto reagire alla zaffata marsalata mista a castagne cotte e ciliegie marce che mi è arrivata?. Fa vomitare questo odore, mi viene da piangere, non c’è nemmeno quell’esile dubbio che ti farebbe dire ‘proviamo ad assaggiare’. È finita così.
Allora posso dirlo che questo vino fa schifo? – No -, potrei dire che questa bottiglia fa schifo, magari ne esiste un’altra conservata perfettamente. Le distinzioni vanno fatte, soprattutto quando si tratta di giudicare una sostanza sensibile come il vino. Non si tratta di un vino buono o di un vino cattivo, si tratta di distinguere tra un vino sano e un vino malato (difettato) o un vino morto e in putrefazione come questo.
50 anni sono davvero tanti, anche per un Amarone, in realtà avevo messo in conto l’alta probabilità di un riscontro negativo. Il decennio di affinamento è generalmente un bel test di espressività per i grandi rossi italiani, fino ai 20 anni è probabile una buon mantenimento ma poi diventa sempre più difficile trovare vini in perfetta forma. Ho assaggiato rossi con 40 anni ancora buoni e ricordo uno Chateau Musar del ’77 strabiliante ma sono casi rari.
Ai meno esperti consiglio di non aspettare troppo, soprattutto se il vino che conservate non è tra quelli che possono vivere a lungo, penso ad esempio a quelli che iniziano per B e finiscono per O. Poi è fondamentale conservare il vino a temperatura costante sui 14° e in assenza di luce. Nel dubbio meglio bersela quella bottiglia, finché ha qualcosa da dire. Le prossime festività potrebbero essere l’occasione giusta, io sicuramente faccio un controllo su cosa è a rischio.
E tu sei mai stato deluso da una bottiglia sulla quale riponevi grandi aspettative?
Valcerasa 2015, Etna Rosso DOC, Azienda Agricola Alice Bonaccorsi
Forma e sostanza in questo vino rosso Biologico dalle pendici dell’Etna. Profuma di piccoli frutti rossi macerati e tostatura in legno. All’assaggio è vigoroso e succoso. Al fruttato si aggiungono note speziate di liquirizia amara, rabarbaro ed erbe balsamiche. Le uve provengono dalle vigne coltivante nel versante nord dell’Etna, nel comune di Randazzo, ad una altitudine tra i 750 e gli 850 m/slm. Sarà che mi faccio suggestionare ma ci sento una nota fumé ed una sensazione polverosa che mi ricorda la cenere e le pietre vulcaniche.
È sapido, tannico ed elegante nella sua naturalezza. Caldo e minerale. Trasporta con finezza un ampio e persistente bouquet aromatico. Il volume alcolico è del 14,5%. Retrogusto fantastico se non fosse che nel cervelletto mi si insinua una vocina a dirmi “dammene ancora e ancora”.
Le uve sono quelle tipiche e da disciplinare della DOC Etna rosso, con minimo 80% di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio 20%. Vinificato con macerazione di circa due settimane, affina poco meno di un anno in legno e poi in bottiglia.
Sound on. Forma e sostanza, da Tabula rasa elettrificata dei CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti), un giro di basso memorabile come il retrogusto di questo Valcerasa.
La scighera su Milano (nebbia bagnata) chiamava il Nebbiolo e il suo caldo abbraccio. Ho scelto quello di Cavallotto. Profuma di viole, ciliegie e lamponi. Appena lo si muove apre su sentori balsamici. In bocca il frutto è fragrante, arrivano ricordi floreali e sottobosco. Caldo del suo 14,5% di volume alcolico. Giustamente tannico, di un tannino giovane ma elegante e armonico. Di fronte ad un buon vino come questo c’è poco da aggiungere.
È come vedere un disegno fatto con precisione. Da viticoltura biologica, vinificato con lieviti naturali e affinato in legno per circa 18 mesi. Un nebbiolo di gran classe e adatto ad accompagnare i tagli migliori di carne o qualche pezzo di cioccolato fondente nel dopocena. Cavallotto, tenuta Bricco Boschis in Castiglione Falletto.
Nelle cuffie rock in the casbah dei Clash, ma che lo dico a fare, tanto ormai sono old style…
Il logorio della vita moderna minaccia la nostra esistenza, e allora? Allora affidiamoci alle virtù salutari del Buttafuoco Storico dell’Oltrepò Pavese. Una botta di Polifenoli e Resveratrolo che oltre alla bontà del vino ti regalano una forte azione protettiva sul cuore e una potente attività antiossidante.
Quello che vi presento è un Buttafuoco da agricoltura biologica. A produrlo è la cantina Quaquarini di Canneto Pavese (PV) che ne coltiva le uve nella vigna storica di Pregana, a cavallo dei comuni di Castana, Montescano e Canneto Pavese, al centro della zona del Buttafuoco.
Il vino ha davvero tanto colore e toni scuri quasi impenetrabili. I profumi sono austeri e intimoriscono, come trovarsi con l’auto in panne in una serata nebbiosa, bussare alla porta di una cascina e trovarsi di fronte una persona anziana, rugosa e barbuta con lo sguardo severo. Ne esce un profumo di bosco, di tabacco, di frutta macerata. Riesco a scorgere il caminetto dietro le sue spalle che scalda la stanza. L’accoglienza all’assaggio è la migliore possibile, si apre su aromi dolci di frutta sotto spirito, ciliegia, frutti di bosco. La bocca si scalda del 14° di vol. Mi guardo intorno è arrivano sentori speziati e di astringenza tannica. Mi accomodo sul divano ammirando la stanza piena di oggetti e questa annata 2015. Tutto sa di lavoro in campagna, di stagioni e di tradizione. La persistenza è lunga ed è un ottimo accompagnamento ad una chiacchierata in compagnia. Ho immaginato l’abbinamento con le castagne ma uno stufato con polenta sarebbe più appropriato.
L’uvaggio è Croatina 50%, Barbera 35%, Ughetta di Canneto 15%.
Bel vino, forte, austero, dolce ed equilibrato allo stesso tempo. Un classico che rende merito ad un territorio di grande valore.
Nota sul Buttafuoco
Il marchio adottato è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale si dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione; all’interno la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare che nella seconda metà del 1800, la Marina Imperiale austro-ungarica varò una nave dal nome “Buttafuoco”.
La leggenda vuole che il nome sia il ricordo di una battaglia perduta da una compagnia di marinai imperiali, comandati a operazioni di traghettamento sul fiume Po nei pressi di Stradella e successivamente impiegati su queste nostre colline nella guerra contro i franco-piemontesi. Un vino del luogo chiamato Buttafuoco ebbe più successo del fuoco della battaglia nell’ attirare a sè i baldi marinai, i quali, dentro una grande cantina, fecero strage di botti e bottiglie.
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