Autore: dipendechevino

Ho ancora molta sete di vino, sono solo all'inizio.

Diomede 2015, Ocone

“Le buone intenzioni, l’educazione
La tua foto profilo, buongiorno e buonasera
E la gratitudine, le circostanze
Bevi se vuoi ma fallo responsabilmente… ”

Sono i primi versi della canzone Sincero, scritta e cantata da Bugo. Mi sembrano l’ideale per accompagnare l’assaggio e la recensione di questo vino. Un Aglianico del Taburno DOCG, qui nella versione 2015 della cantina Ocone. 

Come localizzazione siamo in Campania, nel Sannio Beneventano. Le uve provengono da vigneti con suoli calcarei e argillosi posti a circa 400m nella Valle Telesina. 

Ad essere Sinceri, trovo che l’Aglianico sia uno dei più grandi vini rossi italiani, che però nel nord Italia è ancora poco conosciuto e difficilmente lo si trova nelle liste dei ristoranti. Non a caso tra appassionati viene definito il Barolo del sud per le sue qualità e capacità di affinamento.

Come vinificazione, questo Diomede ha fatto una lunga macerazione, di circa 20 giorni ed un affinamento con passaggio in barrique e tonneaux per un anno per poi tornare in acciaio e successivamente in bottiglia per altri 2 anni (minimo) diventati ormai 4.

Alla vista il colore è cupo, di un rosso scuro sanguigno. I profumi ricordano la prugna essicata, la viola, le more e i mirtilli in confettura. Ci sono poi le note di affinamento in legno, la vaniglia, il cuoio.

Facendolo ruotare rilascia note intense, balsamiche, di mentolo e incenso. In bocca è caldo, con un notevole corpo e tannini ormai addomesticati. Bella l’acidità che aiuta il sorso ma resta comunque un vino che chiede cibo, qualcosa di succulento e strutturato come un brasato ad esempio.

II sorso si allunga con un piacevole sviluppo aromatico che arriva alla confettura di frutti di bosco. Il prezzo è all’incirca uguale al CD di Bugo (17,50).

Nel complesso è un vino armonico e assolutamente piacevole, anzi Sincero.

Luca Gonzato

(super) Dolcetto di Ovada

Che bello e che buono!

Bello partecipare ad un banco di degustazione non affollato, con la possibilità di chiacchierare con i produttori e farsi raccontare ciò che caratterizza i propri vini.

Buono, in tutti gli assaggi fatti che ho dedicato prevalentemente al Dolcetto di Ovada (tema del banco di degustazione) e alla Barbera, altro tipico vitigno rosso piemontese.

Il Dolcetto di Ovada mi ha conquistato, in particolare grazie alle sue versioni più ricche ed evolute. Sì perché è un vino che può tranquillamente superare il decennio evolvendo in meglio. È ottimo anche da giovane, magari vinificato solo in acciaio con il suo bel frutto rosso croccante, ma le versioni passate in botte o barrique hanno, secondo me, una marcia in più. Il bouquet si arricchisce delle note del legno, vaniglia e cacao in primis, poi i tannini si ammorbidiscono regalando un’armonia generale di grande piacevolezza gustativa.

In particolare ho apprezzato molto i vini a base Dolcetto di Cà del Bric. La riserva 2007 ha una grande eleganza e tanto tanto corpo. Un vestito di aromi che vanno dal frutto rosso macerato ai sentori terziari di spezie e cacao. Rotondo, morbido, lunghissimo nella persistenza.

Anche i vini del Castello di Grillano sono ottini, Dolcetto di Ovada riserva Gherlan DOCG e Monferrato DOC (blend di Dolcetto e Barbera). Poi i vini La Piria, personalità e corpo da vendere in ognuno. Ma anche Rocca Rondinaria e i ragazzi di Paschetta (bravi, faccio il tifo per voi!).

Tutti ottimi vini e soprattutto belle persone a presentarli, hanno rafforzato la mia stima verso il Dolcetto di Ovada. Un vino che merita di stare allo stesso livello dei più noti rossi italiani. Non vedo l’ora di passare dalle parti di Ovada e fare visita a queste cantine.

Grazie ai produttori e a Ais milano per la bella degustazione.

Luca Gonzato

Chambave Muscat 2018, La Crotta di Vegneron

Ti piacciono i vini molto profumati tipo il Gewurtztraminer oppure il Sauvignon o il Vermentino?. Un’alternativa che forse non conosci è il Moscato secco, nella versione ferma di Chambave in Valle d’Aosta.

È lo stesso vitigno che ha reso famosi i vini dolci piemontesi ma che qui si presenta con tutte le caratteristiche dei vini Valdostani. Alla base c’è una viticoltura eroica, svolta tra i 400 e gli 800 m dove i mezzi meccanici sono pressoché inesistenti. I suoli sono di origine morenica con componenti sabbiose. Un terroir, che con le notevoli escursioni termiche, dona ai vini un ricco bouquet di profumi e tanta acidità. Vini facilmente bevibili con una evidente mineralità che ti catapulta tra le montagne che contornano la regione.

Gli aromi di questo Chambave sono quelli tipici del Moscato, floreali di rosa ma anche di glicine, bosso, fruttati di pesca bianca e albicocca con qualche nota vegetale di timo.  

Lo Chambave Muscat della cooperativa La Crotta di Vegneron 2018 è una bella alternativa, anche da regalare, al solito Gewurtztraminer. Per apprezzarlo deve essere servito molto fresco, idealmente a fianco di pietanze che aromaticamente possano reggere il confronto.  Consiglio di assaggiarlo come aperitivo, ad esempio con delle alici marinate.

Si trova sui 13€. Da provare se amate i vini aromatici e se volete assaggiare una delle tipicità vinicole della Valle d’Aosta.

Luca Gonzato

Argentiera 2012, l’oro in bocca

Il vino perfetto per accompagnare la decompressione lavorativa settimanale e per ricordarti che gusto ha un vino di qualità eccellente.

Tenuta Argentiera 2012, Bolgheri Doc Superiore.

La denominazione di Bolgheri, in provincia di Livorno (Toscana), è una tra le più famose al mondo. Qui prendono vita i vini che negli States chiamano Supertuscan e che fanno del loro uvaggio bordolese (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot), la loro essenza.

Tenuta Argentiera si trova a pochi chilometri dal mare, nel comune di Donoratico, nell’alta Maremma. Il mare lo si può vedere e soprattutto sentirne la brezza, dalle vigne da cui provengono le uve di questo vino, poste a 180/200 m/slm. L’esposizione dei filari è a sud-ovest, i terreni hanno componenti argillose con galestro e scisti, con zone più calcaree e sassose e sabbia nelle parti più basse. Come dire un poker d’assi per raccogliere uve vigorose ricche di polifenoli.

L’annata di questo Bolgheri è la 2012. L’uvaggio è di Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 40% e Cabernet Franc 20%. Come vinificazione ha fatto una macerazione e fermentazione delle uve di quasi un mese, a cui è seguito un affinamento in barrique francesi di un anno e mezzo e in bottiglia sino ad oggi.

Guardando i premi e i punteggi ricevuti dalle più famose testate specializzate ho quasi il timore a far girare il cavatappi. Scherzo, vorrei avere tutti i giorni bottiglie del genere da aprire!

Benvenuto. Ha un colore rosso sanguigno scuro, impenetrabile. La consistenza lo fa muovere lento e pesante nel calice. I profumi portano subito alla macchia mediterranea, alle bacche rosse macerate di ciliegie e mirtilli. Basta muoverlo un pochino per scatenare sentori terziari di cuoio, sottobosco e spezie come la noce moscata e il pepe nero. Lentamente si apre regalando tante sfumature ed in particolare una nota mentolata elegante, morbida ed integrata. 

È in bocca che a mio avviso mostra tutta la sua stoffa e si distingue da altri buoni vini che però non arrivano a questo livello. A fare la differenza (davvero evidente) è l’armonia generale, la piacevolezza che trasmette. Una sensazione vellutata nel palato, con una progressione aromatica che sfocia in un arcobaleno di aromi, sostenuta da un’acidità equilibrata e tannini adorabili per come riescono a stare in disparte pur mostrando la loro presenza. Il finale aromatico si allunga su sentori di cacao che sfumano insieme a ricordi di piccoli frutti rossi sotto spirito. La bocca si scalda e asciuga (il volume alcolico è del 14,5%), viene voglia di un’altro sorso, fresco all’inizio e via via più morbido. 

Gli otto anni restituiscono un vino ancora vivo che può tranquillamente raggiungere il decennio e più. Memorabile.

Luca Gonzato

Elisabeth Chambellan 2017

Una sinfonia di 13 varietà dove la Grenache è la regina assoluta con l’88%, poi una bella speziatura del 10% di Syrah e tante piccole sfumature (circa 2% ciascuna) di Mourvèdre, Cinsault, Clairette, Vaccarèse, Bourboulenc, Roussanne, Picardan, Counoise, Muscardin, Picpoul, Terret noir.

Già alla vista capisci che è qualcosa di particolare, i toni sono quelli del rosso porpora scuro che ti ricorda un vino giovane ma si muove denso nel calice, come un succo di frutta. Lo Chateauneuf du Pape è un vino icona nel mondo, oltre che un luogo storico legato ai Papi di Avignone. Qui viene prodotto il vino che nelle sue espressioni più ‘alte’ contempla la presenza di ben 13 vitigni. La storia delle vigne storiche coinvolge papi e Templari, ci si trova in un luogo dove il concetto di terroir è davvero unico. 

Questo vino ha ottenuto la Medaglia d’oro al Concorso Agricolo Generale di Parigi nel 2019. I profumi sono un insieme di marmellate di piccoli frutti rossi e neri accompagnati da sentori balsamici di erbe e spezie come liquirizia e cacao. In bocca è opulento ma non volgare e nemmeno stancante. Ti abbraccia e scalda al primo sorso (15,5 di vol.) e allo stesso tempo la sua spalla acida lo mantiene agile. La complessità aromatica ti fa mettere continuamente il naso sopra ed assaporare gli aromi retronasali che dalle more vanno al cioccolato fondente. Il finale è lunghissimo, ti lascia il succo tra le labbra e le guance morbide. Intorno ci sono i tannini in abito da cerimonia che ti invitano indistintamente ad un boccone di carne o a coccolarti in poltrona. 

Mi girano un pochino le balle perchè non trovo difetti. In realtà è davvero una goduria di vino, da 0 a 100 darei 95 punti.

Le uve provengono dalle vigne più antiche del Domaine. La vinificazione, dopo l’assemblaggio, prevede una sosta di 14 mesi suddivisa a metà tra cemento e botti di rovere.

Il Domaine du Père Caboche è una proprietà della famiglia Boisson e questo Châteauneuf-du-Pape rosso porta il nome di Elisabeth Chambellan il cui cognome è legato ai proprietari precedenti. Parliamo però di oltre quattro secoli fa. Nel 1777, l’antenato Jean-Louis Boisson, sposo’ Elisabeth Chambellan e divenne vignaiolo a Châteauneuf du Pape. Grande vino.

Luca Gonzato

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