Autore: dipendechevino

Ho ancora molta sete di vino, sono solo all'inizio.

Vino a Mykonos

Per un appassionato di vini ogni viaggio diventa l’occasione per fare nuove scoperte. La meta raggiunta in questo ponte di fine aprile è tra le più conosciute e frequentate della Grecia, l’isola di Mykonos. Non c’è una ragione specifica ad averci guidato qui se non quella dell’offerta vantaggiosa. 

L’isola è davvero bella in questa stagione. La città vecchia di Mykonos è un piccolo gioiello splendente di bianco e blu. L’aria è però ancora fresca e l’acqua turchese del mare troppo fredda per poterci fare il bagno. I prezzi dei ristoranti sono piuttosto alti ma ci si può arrangiare con i Gyros Pita a buon prezzo o spostandosi nei ristoranti del centro dell’isola. Per quanto riguarda il vino ho fatto qualche assaggio al calice nei ristoranti, del bianco probabilmente più conosciuto, l’Assyrtico (originario dell’isola di Santorini), sia in purezza che in uvaggio con il Sauvignon Blanc. Forse non erano etichette di pregio ma non mi hanno colpito granché. Giusto per rispolverare i ricordi di tanti anni fa ho riprovato la Retzina, tipico vino da uve Savvatiano aromatizzato con la resina di pino di Aleppo. Curioso ma niente di più, a meno che vi piaccia tanto il gusto di pino.

On line ho trovato qualche riferimento per l’acquisto e così sono stato nel negozio Wine Room che si trova sopra la città vecchia di Mykonos. L’offerta è ampia e sbirciando tra le etichette, mi sono saltate all’occhio le bottiglie di Felluga e di Banfi, oltre alla vasta selezione di Champagne. Non aspettatevi un’enoteca dove vi coccolano in quanto è più un fornitore di ristoranti e bar. Mi sono comunque fatto consigliare tre bottiglie rappresentative di vini greci, una micro selezione che comprende un bianco, un rosé e un rosso. I costi sono stati simili ai nostri, tra i 10 e i 20 €. Nei ristoranti i prezzi sono ben i più alti e la qualità più bassa.

Il primo vino che voglio ricordare non è però tra quelli acquistati ma bensì uno trovato in camera, nell’hotel Madalena dove alloggiamo. È un vino bianco da uve tipiche del Peloponneso, il Moschofilero della regione Montinia e il Roditis il cui nome deriva da ‘radon’ (rosa). Infatti i profumi sono di petali di rosa, poi di agrumi, limone e citronella. La cantina che lo produce è Semèli, l’annata è la 2017 e il nome del vino è Feast. Bella la caratteristica della rosa che lo rende unico. Difficile paragonarlo ad altri, penso allo Chenin Blanc e a certi Sauvignon Blanc. Bel vino da aperitivo o per accompagnare stuzzichini di pesce o sushi.

Il secondo vino arriva da Amyndeon, nel nord della Grecia, appena sotto la Macedonia. È il Malagouzia Single Vineyard ”Turtles’’ 2018 di Alpha Estate. L’uva è 100% Malagouzia. Cristallino alla vista, di un giallo verdolino tenue, emana profumi floreali di rosa e di frutta fresca come il melone, la pesca bianca e il limone. Ha una leggera speziatura che lo rende accattivante, non saprei dire cosa sia ma guardando sul sito scopro essere il rosmarino. Bello, interessante, soprattutto nel finale fresco e persistente. 13% il volume alcolico, lo abbinerei ad una tipico pesce di questo mare, il ‘seabus’ che poi sarebbe un tipo di branzino. Bel vino bianco, sopra i 90 punti in varie guide.

Terzo vino, il rosato Petaloudes 2018 del Domaine Harlaftis. Sempre dal Peloponneso, di Nemea. Le uve sono di Shiraz al 100%. Profumi sottili di fiori passiti, fragoline di bosco, pepe bianco. Bel rosato dall’ingresso fresco che via via si ammorbidisce in bocca per poi chiudere lasciando una bella persistenza aromatica. Molto piacevole, finisci un calice e ne riempi un’altro. Il paragone va ai rosati pugliesi e non ha niente da invidiare. La cosa particolare è che la gradazione è piuttosto alta, del 13,5%, ma non si sente per niente. Per assonanza cromatica e per l’acidità che ‘sciacqua’ la bocca, lo abbinerei ai crostacei o a un risotto ai formaggi oppure a carni bianche particolarmente complesse nella preparazione.

Il quarto ed ultimo vino di questo post è un rosso, il Palivou Estate, Nemea 2016. Il vitigno è 100% Agiorgitiko (Saint George). Affinato 12 mesi in botti francesi per il 30% nuove, 30% di secondo uso e 30% di terzo uso, seguono poi almeno 6 mesi in bottiglia. Le uve provengono da una PDO, cioè Designazione di origine protetta, la zona antica di Nemea, Corinto. Rosso rubino dai profumi intensi di frutti rossi e neri, mirtilli, ribes, note balsamiche e di macchia mediterranea. Tannico ed elegante, anche in questo caso sono soddisfatto dell’acquisto. Guardando nel sito del produttore questo vino ha ricevuto premi internazionali in varie annate. Lungo e persistente, chiude con un frutto  rosso carnoso, di ciliegia matura. Le note di legno sono ai margini, a dare balsamicità al frutto. Grande rosso da provare e tenere in cantina insieme ai migliori. Il volume alcolico è del 14,5%. Mi ricorda il Primitivo di Manduria ma il paragone non ha molto senso. Ha un carattere unico, è un rosso memorabile.

In conclusione, i vini greci assaggiati sono stati molto soddisfacenti. Se avete in programma una vacanza in queste isole non perdete l’occasione di scoprirli.

Luca Gonzato

Il Cirò della domenica

Domenica con un vino tipico Calabrese, il Cirò Rosso, nella versione Classico Superiore 2015 di Cataldo Calabretta di Cirò Marina in Provincia di Crotone. È un vino ottenuto da uve di Gaglioppo allevate ad alberello nella zona storica della Doc Cirò. È certificato biologico, fermentato con lieviti autoctoni ed affinato in vasche di cemento per 10 mesi. 14% il volume alcolico. Si presenta di un bel color rosso granato vivace e splendente. I profumi sono intensi e rimandano a frutti rossi come la ciliegia e l’amarena, poi un floreale appassito e profumi di macchia mediterranea. In bocca è ricco di corpo, con tannini setosi. Mi aspettavo qualcosa di più hard negli aromi, come altri vini rossi naturali e invece è piacevolmente fine e composto. Mantiene la sua grande potenza ma sotto un vestito elegante, forse il paragone è azzardato ma mi ricorda certi bei nebbioli passati in cemento. Qui però c’è un appetitoso frutto rosso carnoso in sottofondo. Mi piace assai. Si trova in commercio a poco più di 10€. Lo vedrei bene in un abbinamento che abbraccia e unisce tutta l’Italia dalla Calabria al Veneto, con delle grosse e grasse fette di soppressa o con un gran piatto di tagliatelle al ragù. È passata un’oretta dalla strappatura e regala ancora bei profumi che sono sfociati nel balsamico. Bel vino per chiudere il weekend e per ogni altro giorno in cui avete bisogno di un buon rosso a tavola.

Luca Gonzato

Vini veri, persone vere

Persone e vini veri alla fiera Viniveri 2019 svoltasi a Cerea (Vr). Sono stati 132 i produttori che hanno animato il grande salone dell’Area EXP che, ironia della sorte, ha avuto le sue origini nel 1908 come fabbrica di concimi chimici e che grazie al comune di Cerea è stata poi recuperata nel 1995 e convertita a polo espositivo. Oggi i protagonisti in questo spazio sono coloro che hanno bandito dalla loro produzione ogni sostanza di derivazione chimica e che offrono quel genere di vini che possiamo definire naturali. Praticamente operano tutti in biologico o biodinamico. Ad accomunarli sotto il cappello di Viniveri è il rispetto di un manifesto che prevede regole chiare di coltivazione e di lavoro in cantina e la passione per le cose sane e rispettose della natura.

Avevo grandi aspettative per questa fiera, anche perchè l’avevo scelta al posto del mastodontico Vinitaly che partirà tra un paio di giorni. Aspettative pienamente soddisfatte dai quasi sessanta assaggi fatti e dalla conoscenza di tante belle persone, vere come i loro vini. C’era un bel clima, scanzonato ma anche professionale nell’approfondimento delle tematiche produttive. Bello vedere tanti coniugi, familiari ed amici che dietro i banchetti si adoperavano nel racconto e nella mescita. Ero in compagnia dell’amico sommelier Sasha e di un centinaio di altri soci Ais arrivati in pullman da Milano. Praticamente una gita di giovani quarantenni e più che volevano godersi una giornata intera di assaggi senza l’ansia di dover poi guidare. A far da portabandiera l’immancabile e mitico Hosam.

La regola era implicita, ‘bollicine, bianchi, rossi, passiti’, così gran parte di noi si è diretta ai banchi di Champagne mentre io e Sasha abbiamo optato per la cantina slovena di Slavček e i loro spumanti da Ribolla più Riesling e Rosé da Refosco. Il primo l’ho trovato proprio bello con i suoi sentori agrumati di pompelmo e di nespola. Più particolare il rosé dalla lieve vena tannica.

Siamo poi tornati dalla simpatica coppia di produttori per assaggiare anche i bianchi da uve con brevi macerazioni e i rossi. L’azienda è anche TripleA (agricoltori, artigiani, artisti), segnalo il loro Pinot Grigio 2015 e la Ribolla riserva tra i migliori. Si trovano a Dornberk (Dorimbergo) nel Collio Sloveno, a pochi km da Nova Gorica e dal confine italiano.

Salto in Champagne da Christophe Mignon dove c’è l’importatore a coinvolgere e far ridere gli astanti con le sue battute dallo spiccato accento veneto. Ottimo il Brut da Pinot Meunier 60% e Chardonnay 40%. Più austero il Brut Nature da Meunier 100%.

Eccoci poi da Aci Urbajs l’eccentrico produttore di Organic Anarchy, linea di vini bianchi dalle lunghe macerazioni e nessun uso di solfiti. Chardonnay 2015, Pinot grigio 2016 e 2017 e il Radicali ‘0’ 2017 blend di Chardonnay, Riesling e Kern (gran vino, complesso e lunghissimo con piacevoli note di miele).

I vini di questa cantina mi ricordano molto quelli di Nicolas Joly, padre della biodinamica e produttore della Aoc Savenniers nella Valle della Loira. Interessante assaggiare il Pinot grigio decantato da alcune ore ed evoluto con aromi molto diversi ed intensi. Le etichette dei vini rappresentano in modo chiaro lo stile di questa cantina che produce vini unici, tra i migliori assaggiati oggi. Si trovano anche loro in Slovenia ma molto più nell’entroterra e vicini all’Austria.

Sono seguiti poi gli assaggi di Mas Des Agrunelles, nel Languedoc francese. Un blend molto piacevole di Grenache Blanc e Marsanne (50/50) ed un Viogner. 

La cantina seguente è stata l’austriaca Nikolaihof Wachau dove erano presenti la produttrice, l’importatore e una magnifica sequenza di 4 Gruner Veltliner di annate diverse e altrettanti Riesling. Un assaggio meglio dell’altro. Le annate hanno evidenziato una bella evoluzione olfattiva che andava dal frutto fresco della 2017 alla sempre maggiore presenza di idrocarburi nelle 2014 e 2011. Tra i miei preferiti il Veltliner 2010 e il Riesling 2014 dove si percepiva una bella presenza armonica di frutto e idrocarburo.

Il passo successivo ci ha portato in Alsazia al Domain Valentin Zusslin dove abbiamo assaggiato uno strepitoso Riesling Neuberg 2014, al Top della giornata di assaggi. Elegante, intenso nei profumi tipici ed armonico. Visto che l’Alsazia è anche patria dei migliori Gewurtztraminer abbiamo provato il Bollenberg con residuo zuccherino. Il sommelier è stato molto bravo a servirlo freddo, quasi ghiacciato. È risultato molto piacevole e bevibile con un bel frutto tropicale fresco. Qualche grado in più e avrebbe rischiato di essere percepito come stucchevole. 

E i vini italiani? Eccoci da Gino Pedrotti in Trentino vicino al lago di Cavedine in provincia di Trento. Ad accoglierci il giovane titolare Giuseppe Pedrotti che è davvero una bella persona, simpatico e pronto ad esaudire ogni nostra curiosità. Tutti i loro vini hanno un filo conduttore che è l’eleganza, non quella dei lustrini ma quella delle cose fatte bene con pochi ingredienti. Uva, terra, clima, passione e una conduzione familiare. Abbiamo assaggiato la bella Nosiola 2017 (vitigno autoctono Trentino) poi uno Chardonnay 2017 e il blend di Chardonnay e Nosiola dell’etichetta L’Aura, gran bianco che consiglio di assaggiare.

Poi il rosso Rebo (vitigno ottenuto da Teroldego e Merlot) ed un magnifico Vino Santo Trentino del 2002, ottenuto da uve di Nosiola passite e botritizzate a cui segue una lenta fermentazione ed un lungo affinamento che arriva fino ai dieci anni. Non esagero a dire che è uno dei migliori passiti mai bevuti.

A questo punto l’amico Sasha si sgancia per una degustazione di sigari e vino ed io approfitto per approfondire le mie conoscenza sui vini di una regione ingiustamente poco considerata, il Lazio. Mi spiace non avere immagini di ognuno ma a volte mi perdo nella degustazione dimenticando di scattare le foto. Da Milana Gioacchino di Olevano Romano (Rm) ho assaggiato una Malvasia 2017 e un blend di Malvasia e Trebbiano sempre del 2017 che mi è piaciuta parecchio. Poi il rosso Cesanese (di Affile), dalle belle note fruttate e dalla facile beva. Anche qui una bella famiglia a presentare i propri vini.

Nei banchetti seguenti, con produttori della stessa regione, ho trovato i ragazzi di Noro Carlo in Labico (Rm) ed assaggiato la sorprendente Passerina, in quanto non conoscevo la versione laziale di questo vitigno che qui si esprime con gran corpo e profumi intensi rispetto alle ‘sottili’ Passerine marchigiane. Assaggiato anche il loro Cesanese del Piglio da suoli diversi dove era evidente la grande struttura e i diversi marcatori fruttati tra uno e l’altro, dalle more alla ciliegia e amarena. Finezza e struttura a seconda del suolo di terre rosse ricche di ferro oppure argillose compatte. 

Un passo più in là e mi trovo dal produttore La Visciola di Piglio (Rm) dove assaggio 5 versioni di Cesanese del Piglio da diversi Cru. I vini di questa simpatica coppia sono incredibilmente buoni, pur avendo ognuno delle diverse sfumature si esprimono come gran rossi degni di accompagnare le carni più saporite. Al palato i vini sono vellutati, caldi, con frutto carnoso ed una bella spalla acida. I tannini sono perfettamente integrati. Peccato che se volessi acquistare qualche loro bottiglia dovrei per forza recarmi nella loro cantina. Se vi capita di trovarne una da qualche parte non fatevela scappare.

Tornato Sasha ci dirigiamo al banco di Oasi degli Angeli di Cupra Marittima nelle Marche, “mica ti vorrai lasciar scappare la possibilità di assaggiare i loro grandi vini!” Il Kupra da uve Bordò (una specie di cannonau), grandissima espressione di piccoli frutti rossi e di erbe aromatiche di macchia mediterranea a cui fanno da cornice eleganti note di affinamento in legno. Poi il Kurni, meravigliosa creatura 100% Montepulciano. Rotondo, spesso, solare, un vino che vorrei sempre avere in cantina. Purtroppo la loro produzione è molto limitata e di conseguenza il costo/valore di ogni bottiglia è elevato. Apprezzo molto e ringrazio i titolari Eleonora Rossi e Marco Casolanetti per aver presenziato questo evento e dato così la possibilità a tanti appassionati di assaggiare i loro vini. (la faccia sulla foto è seguente alla mia richiesta di poter scattare 🤣)

Altro produttore eccellente trovato a Viniveri è stato Rinaldi, piemontese di Barolo dove ho assaggiato i due Baroli presenti, il Tre Tine 2015 e il Brunate 2015. Entrambi di grande eleganza e finezza. Buoni ma sono certo che tra qualche anno avranno tannini più integrati ed una migliore armonia generale. Mi spiace non averli compresi fino in fondo, forse l’assaggio è stato penalizzato dai precedenti assaggi di rossi con aromi molto presenti.

Una puntata in Spagna da Uva De Vida di Castilla nella Mancha. Qui abbiamo assaggiato alcune versioni da uve Graciano e Tempranillo. Rossi potenti, talvolta ruvidi e con sentori selvaggi, di cuoio, cavallo e carne macerata. Poi all’azienda La Senda con gli ottimi rossi da uve Mencia e Palomino.

A questo punto è diventato difficile continuare a degustare con obiettività e quindi ho smesso di prendere appunti e mi sono goduto gli ultimi assaggi per puro piacere. Dopo poco è arrivato il momento di recarsi al pullman per il rientro.

Siamo tornati felici verso Milano, con qualche nozione in più sui vini naturali e con le papille gustative che danzavano. Spero di esserci anche l’anno prossimo con nuovi vini e persone vere da conoscere.

Luca Gonzato

Note:

Le regole di produzione che sono tenuti a rispettare i produttori del consorzio Viniveri riguardano sia le operazioni in vigna che quelle in cantina. In vigna non è consentito l’uso di diserbanti e/o disseccanti, concimi chimici e viti modificate geneticamente. Nei nuovi vigneti si introducono piante ottenute da selezione massale e si predilige la coltivazione di vitigni autoctoni. Sono ammessi i trattamenti contro le malattie purché rispettino le norme dell’agricoltura biologica. Sono vietati i trattamenti di sintesi, penetranti o sistemici. Infine la vendemmia deve essere manuale. Per quel che riguarda il lavoro in cantina si possono utilizzare solo lieviti indigeni presenti sull’uva ed in cantina con esclusione di qualsiasi prodotto di nutrimento. Non sono permessi i sistemi di concentrazione ed essiccazione forzata, solo appassimento naturale dell’uva all’aria.  È vietata ogni manipolazione alla fermentazione naturale compreso il controllo della temperatura. Esclusione anche di chirificante e filtrazione. La solforosa totale non potrà mai essere superiore ad 80 mg/l per i vini secchi e 100 mg/l per i vini dolci. 

Château La Grave, Pomerol 2015

Château La Grave Trigant De Boisser. Un vino francese della zona di Bordeaux, realizzato da Jean-Pierre Moueix con uve di Merlot all’85% e di Cabernet al 15%. Le vigne sono coltivate su terreni caratterizzati da argille fini. Il Cru è quello di Pomerol, famoso nel mondo per l’etichetta di uno dei vini più cari in assoluto, lo Chateau Petrus, venduto a oltre 5000€ a bottiglia. Io ne ho spesi molti meno, circa 40. Si potrebbe obiettare che con la stessa cifra si acquista un’ottima bottiglia di Bolgheri ma se si vogliono fare confronti e capirne di più bisogna assaggiare anche i vini francesi, in particolare quelli della zona di Bordeaux che utilizzano le stesse uve, cioè Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. Sono le uve di quello che in gergo viene chiamato Taglio Bordolese.

I profumi di questo Pomerol mi ricordano le ciliegie sotto spirito, i fiori passiti, l’humus e il cuoio. In bocca è rotondo, i tannini sono perfettamente integrati, resta una bella acidità e qualcosa di fresco nel frutto che si sposa con sentori dolci di legni esotici. È lungo e caldo, si percepisce leggermente il valore alcolico di 14,5. Il finale mi ricorda l’arancia rossa e il retrogusto mi riporta note di cacao. Gran bel vino, equilibrato ed armonico nelle sue componenti. Non ci trovo difetti. L’ho degustato con carne alla brace ma lo apprezzo ancor di più da solo, un mangia e bevi che ha tutto in sé, ah les français… ripenso alla giornata di ieri, passata assaggiando i vini dell’alto Piemonte. Vini diversi, quelli del Novarese\Vercellese, da uve perlopiù di Nebbiolo, ma della stessa categoria ‘rossi affinati in legno’. Forse due di quelli assaggiati ieri possono avvicinarsi alla sensazione armonica complessiva e alla finezza ed eleganza di questo Pomerol. Senza nulla togliere alle eccellenze italiane bisogna anche riconoscere le eccellenze degli altri e questo Pomerol merita davvero un punteggio sopra i 90. Lo consiglio sia per la qualità che per il prezzo abbastanza accessibile.

Luca Gonzato

Gattinara

Gattinara, è un comune e una Denominazione dell’alto Piemonte in provincia di Vercelli. Territorio di Nebbiolo e di altre uve tipiche come la Vespolina e l’Uva rara. A caratterizzare i vini di questa zona sono i suoli di origine vulcanica che danno al Nebbiolo caratteristiche particolari e differenti da quelli delle Langhe o della Valtellina. Sapidità e mineralità contribuiscono al tipico bouquet olfattivo del Nebbiolo con note speziate e balsamiche. Poi c’è l’apporto delle altre uve, usate in piccola percentuale, che donano un’ulteriore impronta di stile, migliorandone sia l’aspetto visivo, con più colore (il Nebbiolo ha poca sostanza colorante), che di complessità gusto olfattiva, con l’apporto di speziatura e sentori di frutti rossi. 

Oggi assaggio il Gattinara 2014 della cantina Torraccia del Piantavigna, con sede in Ghemme e attiva dagli anni 50. Deve il nome a Pierino Piantavigna il fondatore e ad una collina ben esposta chiamata Torraccia. Si presenta con un bel colore rubino/granato e profumi fragranti. Seppur ancora giovane (sono vini in grado di evolvere per molti anni) è già un vino pronto e pienamente apprezzabile. Sono comunque passati 3 anni in legno e quasi due in bottiglia. I profumi sono floreali di viola e rosa, fruttati di marasca e prugne con note di erbe aromatiche come il timo e sentori di affinamento in legno. Profumi che evolvono nel calice… dopo un’oretta vi regalerà profumi più speziati e balsamici. È lungo nella persistenza, fresco e progressivamente avvolgente nel palato. L’astringenza tannica è presente ma in modo composto e per nulla fastidiosa anche degustando il vino da solo.  Minerale, sapido, con finale che ricorda profumi mentolati. La domanda sorge spontanea, ma se l’annata 2014 che non era stata granché, per via delle piogge e della difficile maturazione delle uve, ha dato alla luce un vino così, come saranno le versioni delle ‘belle’ annate come ad esempio la 2010?. Questo per dire che è un ottimo Gattinara, per certi aspetti austero come ogni Nebbiolo di classe ma allo stesso tempo bevibile con sempre maggior piacere. Perchè diciamocelo, i vini buoni sono quelli che ti fanno venir voglia di berne ancora e questo è così.

Sono 16 i produttori del Gattinara Docg che ho individuato e riportato nell’infografica, (segnalatemi se ho dimenticato qualcuno).

La prossima settimana ci sarà un appuntamento imperdibile per chi volesse scoprire tutti i Nebbioli dell’alto Piemonte, si chiama Taste Alto Piemonte, 30-31 marzo, 1 Aprile 2019,al Castello di Novara. Trovate maggiori info su https://www.tastealtopiemonte.it

Luca Gonzato

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