Il “Sass de la Luna” è una marna calcarea, grigia e friabile, con proprietà di ritenzione e cessione graduale dell’acqua. Potremmo essere nelle Langhe ed invece siamo sul colle di Loreto a Cenate Sotto (BG). L’altitudine dei vigneti è di circa 400 m/slm su cui arriva l’aria ventilata dal monte Misma.
Qui domina Pietramatta, la creatura di Andrea Sala, nata “in garage” circa 20 anni fa ed ora consolidata in una produzione di qualità dove trova posto anche un rosato secco da uve di Moscato di Scanzo.
Nel Sass l’uvaggio è quello tipico bordolese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Le uve sono raccolte a mano e fermentate in legno. Il vino affina 18 mesi in barrique e 4 mesi in bottiglia.
Si presenta in una bottiglia minimalista serigrafata e dominata dalla cera rossa a preservare il tappo di sughero. Nel calice il rosso è sostanza, luminoso, limpido e sinuoso nel movimento. Raccoglie profumi di bacche nere, more, sottobosco, rose rosse, richiami balsamici e speziati di tostatura in legno. Trasmette un bouquet variegato ed equilibrato con un accento tipico di Cabernet.
L’assaggio restituisce nel retronasale le fragranze fruttate, accompagnate da ricordi vegetali. Scorre fresco d’acidità lasciando sensazioni minerali tra le guance e saline nel finale. Sfuma lentamente negli aromi in un piacevole ricordo di frutto fresco. Dal lato tannini la percezione è di “discrezione”, sono precisi, composti. Il volume alcolico è del 13%.
Nel complesso è un bel rosso che si fa degustare con facilità, ideale per accompagnare una cucina contadina, cioè fatta da sapori autentici come possono essere una pasta all’uovo fatta in casa, delle carni lesse o l’immancabile polenta taragna della zona.
Sass ha conquistato 3 Rose Camune sulla guida 2022 AIS Viniplus dedicata ai vini di Lombardia.
Il 1999 evoca tanti ricordi, quello più presente è il capodanno a Bruxelles, in piazza, con una bottiglia di vino nascosta nel cappotto (era vietato introdurre vetri), e quella ragazza che sarebbe diventata mia moglie al mio fianco… ero giovane, tutto sembrava possibile. Ora guardo questa Barbera del ’99 e mi chiedo se è possibile che sia ancora bevibile. Il colore è bello, rubino e mattonato sull’unghia, denso alla rotazione. Si muove lentamente negli archetti. Il volume alcolico del 13,5% in etichetta mi sembra pochino per essere una Barbera però tutto questo colore è sinonimo di una buona presenza di polifenoli, antociani. È limpido e luminoso, direi che sta bene.
Lascio che si apra per circa un’ora e con sorpresa riscontro dei profumi evolutivi importanti e nessun cattivo odore evidente. Note eteree e di catrame si uniscono a sentori di piccoli frutti sotto spirito, ciliegia, mirtillo. Sfumature che ricordano le mandorle delle caramelle Rossana e balsamiche. La spinta olfattiva arriva dai norisioprenoidi, appunto quelle note di “goudron” dovute ad una evoluzione così lunga.
All’assaggio stupisce perchè cambia prospettiva, la morbidezza che mi aspettavo non c’è, è fresco e minerale, succoso come se il cuore fosse fatto di succo di ciliegia Durone. Ha ancora una buona acidità e tannini setosi. Quegli aromi nasali di catrame sono ai margini. Wow al gusto è ottima. È armonica e lunghissima nella persistenza aromatica. 22 anni, da non crederci!, spettacolo. Non voglio più sentire che la Barbera è un vino da consumare in gioventù, questa sarebbe da fargli un monumento.
Purtroppo non ho informazioni sul produttore, se non che è la Tenuta Gaiano di Camino in provincia di Alessandria. Il nome Gallianum dato a questa Barbera del Monferrato è probabilmente dovuto ai primi insediamenti romani. Il nome del paese, Camino, secondo la tesi sostenuta da Aldo di Ricaldone (giornalista e scrittore), deriva da Caminus, ”camo”, fornace, perchè qui si fondeva il minerale da cui si estraeva l’oro, ricercato nelle aree vicine all’abbazia di Lucedio (fonte: Comune di Camino).
E allora mi viene da sorridere perchè quella “mineralità” che avevo timore di menzionare potrebbe avere un senso. Caratterizza questo vino con eleganza conferendogli un carattere maturo e vigoroso. La sensazione minerale si sente sulla lingua, ricorda la pietra, l’ardesia, i sali minerali…
Caspita che buona, vorrei che il lettore potesse assaggiarla per comprenderne la descrizione, lo so che non può succedere (anche perchè non arriverà a domani) però può diventare un suggerimento a dimenticarsi qualche Barbera in cantina e riscoprirla un decennio dopo.
Sono contento d’aver negato un futuro da oggetto d’esposizione a questa Barbera regalatami da una persona che, per quanto appassionata di vini, la riteneva già “scaduta”. Queste poche righe fermano una cosa bella che meritava d’essere ricordata.
Da qualche tempo non scrivevo di vino, mi mancava dedicarmi a questa passione. Diciamo che ora ricomincio, con dei “rossi”, il miglior modo per rimettermi in sesto. Nell’arco della settimana ho assaggiato questi tre vini, tutti meritano d’essere ricordati e magari diventare un buon consiglio d’acquisto per le prossime festività. Tre vini molto diversi che sanno raccontare ognuno il proprio terroir in modo unico. Visto che le feste si avvicinano ne consiglio l’acquisto, sia per il consumo personale che per un regalo.
Basadone 2020, Castello di Verduno – Verduno DOC
Le Langhe non sono solo Barolo e Barbaresco, il Verduno Pelaverga è un’altro gioiello di questo territorio.
Il “Basadone” che ho in degustazione, il cui nome localmente indica il papavero ed anche un bacio, in omaggio alla tradizione popolare che vuole questo vino afrodisiaco. È ottenuto da uve di Pelaverga piccolo, vitigno autoctono coltivato nel comune di Verduno. Un vitigno unico, mitologico, presente nelle Langhe dal 1600.
Si presenta nel calice di un bel rosso rubino luminoso con riflessi granato e profumi di piccoli frutti rossi e spezie.
È all’assaggio, nel retronasale, che mi regala gli aromi più intensi e balsamici. La speziatura di pepe e noce moscata segna l’andatura ricamando contorni eleganti al fruttato succoso di ciliegia e marasca. Il tannino è delicato, domina la freschezza e una piacevole sapidità finale.
È un vino di grande personalità e facilità di beva. Un vino che definirei da ‘cerimoniale’, al servizio della liturgia quotidiana che vuole ogni assaggiatore prendersi cura di ogni aspetto della degustazione, dal calice all’abbinamento. Ho scelto a tal proposito un risotto alla zucca la cui dolcezza e aromaticità si sposano perfettamente con questo vino la cui persistenza sfuma delicatamente dopo parecchi secondi.
Eleganza, pulizia e personalità sono le caratteristiche che meglio descrivono questo vino in cui la nota speziata gli conferisce unicità.
Il produttore è il Castello di Verduno, hanno una storia talmente lunga che ci vorrebbe un articolo dedicato solo a questo. Basti pensare che inizia nel 1500 con la costruzione del castello e nel 1838, a seguito dell’acquisto da parte di Re Carlo Alberto, il Generale enotecnico Paolo Francesco Staglieno sperimenta le prime vinificazioni del Nebbiolo con il metodo suggerito da Giulia Falletti Colbert, gettando le basi del Barolo odierno. Nel palazzo soggiornò per lunghi periodi Oddone, figlio di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide. Insomma qui è si è scritta una delle pagine più importanti dell’enologia italiana. Dagli inizi del ‘900 il Castello è di proprietà della famiglia Burlotto.
Ludi 2017, Velenosi – Offida DOCG
Il colore si nasconde sotto un manto scuro, si scopre rubino e purpureo sull’unghia. Si muove pesante lasciando uscire aromi di piccoli frutti neri macerati, note di tostatura in legno con richiami alla vaniglia e alle spezie accompagnate da ricordi di sottobosco ed erbe officinali.
L’assaggio è caloroso, vellutato nei tannini con sensazioni gliceriche e pseudo caloriche, ha il 14.5% di Vol. alcol. Sostenuto da una buona acidità si allunga esaltando aromi retronasali di frutta carnosa, ciliegie surmature, mora, liquirizia… Rimane a lungo con i suoi aromi e lo fa in modo elegante ed equilibrato.
La sensazione di ‘pienezza’ caratterizza questo vino di grande corpo. Esprime calma, voglia di fermarsi e godere con tutti i sensi di questo vino. Una volta assaggiato ci si può dimenticare di tutto il resto, a parte una buona compagnia e un abbinamento culinario adeguato, suggerisco gli arrosticini.
Il Ludi è composto da un uvaggio di Montepulciano 85%, Cabernet Sauvignon 8% e Merlot 7%. I vigneti marchigiani sono situati nei Comuni di Offida e Castel di Lama tra i 200 e i 250 m/slm su terreni argilloso-calcarei. Nella vinificazione viene fatta una macerazione di circa un mese e un affinamento di 18/24 mesi in barrique nuove.
La cantina Velenosi si trova ad Ascoli Piceno, è uno dei produttori di riferimento della regione Marche. Più volte ho assaggiato i loro vini ed anche questa volta ho ritrovato la consueta alta qualità.
Aggiungo un solo dettaglio finale, post assaggio, dopo aver scoperto l’uvaggio: penso che quella piccola percentuale di Cabernet faccia la differenza e gli doni quei toni tipici della varietà che insieme al bel fruttato e al corpo dato dal Montepulciano e dal Merlot rendono speciale e completo questo vino.
Neromagno 2018, Emilio Sciacca – Etna Rosso DOC
I toni di rosso rubino e granato splendono in questo Etna Rosso, limpido e molto consistente alla rotazione, ricama begli archetti sulle pareti del calice.
I profumi mi trasportano nella macchia mediterranea con sentori di bacche ed erbe aromatiche, piccoli frutti rossi macerati, sotto spirito, e qualcosa che ricorda il mare, il salmastro. Decisamente un bouquet interessante. All’assaggio esplode tra le guance un bel frutto rosso succoso accompagnato da note di tostatura in legno, immagino siano barrique. È un susseguirsi di sensazioni tattili, all’inizio quasi sabbioso come a ricordarmi il terreno, poi calde e avvolgenti di un volume alcol del 14%. Si sente la montagna, il vulcano, con le note saline e un ricordo sulfureo. I tannini sono ben integrati e si fanno percepire nella richiesta di qualcosa di succulento. In questo vino si può tranquillamente parlare di mineralità in quanto si somma la sapidità a ricordi sulfurei e ferrosi. Fresco e dinamico nel sorso si apre in tante direzioni facendosi apprezzare per equilibrio e complessità.
Il Neromagno fermenta con lieviti indigeni ed affina per il 70% in tini d’acciaio e il 30% in botti grandi di rovere (ops pensavo alle barrique) di secondo o terzo passaggio per 18 mesi, poi alcuni mesi in bottiglia. Non filtrato. In effetti l’apporto del legno è solo un dettaglio, un minimo contributo che però gli smussa gli angoli e dimostra una ricerca di armonia.
Le vigne di Emilio Sciacca si trovano sul versante nord dell’Etna, coltivate in regime biologico su terreni di matrice vulcanica e sabbiosa. Nerello Mascalese 95% e Nerello Cappuccio 5% sono le varietà in uvaggio di questo Neromagno.
Mi piace perchè riesce a mantenere un carattere sincero, naturale, e presentarsi allo stesso tempo in modo preciso e curato. Vorrei immediatamente un panino con la salamella, tutto sarebbe perfetto.
Nel mio quartiere ci sono diversi supermercati con un’offerta di vini abbastanza standardizzata. Non ci guardo spesso, è abbastanza raro che faccia degli acquisti in quanto prediligo la ricerca personale della cantina e l’acquisto alla fonte. C’è da dire poi che nei vini da supermercato ho spesso riscontrato produzioni anonime, omologate ad un gusto medio collettivo che non apprezzo.
L’Esselunga, a mio parere, è forse l’unico supermercato con una selezione più ricercata. Quando mi capita d’andarci faccio sempre un passaggio alla corsia dei vini per curiosare. Oggi tra i rossi mi chiamava questo Barbaresco proveniente dalla zona di Treiso.
Non ho aspettato molto a casa per stapparlo, la pioggia e il grigiume del cielo richiedevano una reazione immediata. Ho preparato un aperitivo in rosso con focaccine e speck (tagliato sottile per favore). Poi diventato cena e dopocena with Barbaresco.
Eccolo, rosso granato brillante con riflessi rubino. Profuma di confetture di ciliegie e prugne, con sentori di sottobosco e vegetali d’erbe aromatiche + spezie. Un bouquet variegato e invitante nel complesso.
L’assaggio è vibrante, succoso, con un bel retrogusto fruttato fresco che sfuma su morbidezze alcoliche. Il tannino è ancora in fase di smussamento, richiederebbe un accompagnamento culinario sostenuto per dare il suo meglio. Il pollo arrosto dell’Esselunga è poca cosa rispetto ad una carne rossa ma questo c’è e quindi mi accontento. Va meglio con del formaggio Branzi stagionato e nel dopocena si accompagna discretamente anche con qualche pezzo di cioccolato fondente con nocciole.
Aldilà degli abbinamenti, l’eleganza e la struttura del Nebbiolo si percepiscono bene in questo Barbaresco proveniente dalla MGA Nervo del comune di Treiso.
Ha il 14,5% di volume alcolico, il che farebbe pensare ad un vino molto impegnativo nel sorso ed invece prevalgono le sensazioni fresche e fruttate. Ha una bella acidità che lo fa degustare senza difficoltà. Gustoso è l’aggettivo che meglio lo identifica. Complimenti ai soci della cooperativa di produttori. Il rapporto qualità/prezzo è eccellente, acquistato a circa metà prezzo rispetto alla media di un Barbaresco. Un vino realizzato per la grande distribuzione che mantiene la promessa qualitativa che ci si aspetta dalla DOCG.
Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC. Vino rosso amaro di Rovescala, proveniente dal Cru Gaggiarone.
Un vino della tradizione in cui l’uva Croatina della vendemmia 2007 ha concentrato colori solidi nel calice. Impenetrabili nel cuore del calice, lasciano intravedere un rosso mattonato vivo dai riflessi rubino sulle pareti. Pesa, si muove sinuosamente disegnando archetti lenti. Il bouquet che si palesa al naso è ampio, fruttato di ciliegia e prugna in confettura, sottobosco di muschio, cuoio, carruba, goudron… infine una nota eterea, alcolica, avvolgente.
Il sorso è ancora fresco e vivo, con un tannino vellutato ma risoluto nel chiedere un accompagnamento succulento. Ha scorrevolezza, lascia un buon sapore di frutta rossa matura nel retrogusto. Permane a lungo tra le labbra accompagnato da un finale in cui si aggiungono sensazioni tattili polverose e minerali/saline nel gusto.
È un vino biologico ottenuto da uve coltivate a 250-300 m/slm, in vigne di oltre 50 anni. Viene vinificato e matura in cemento per almeno tre anni, affina poi in bottiglia. Il volume alcolico è del 14,5%. Aldilà di questa analisi vi sono poi le note soggettive e sentimentali che comunica un vino. In questo caso ritrovo ricordi agricoli, le corti dei caseggiati di campagna, i tavoli in formica con le lampadine tirate sopra nelle serate d’estate. Sapori netti come quello del salame nostrano tagliato spesso e dei sottaceto fatti in casa. Questo Gaggiarone Riserva 2007 evoca sapori veri, quasi rustici, che parlano di natura, di fatica, di terra. Marne, calcari, argille, sabbie. Esce dai canoni dei “rossi” precisi e pettinati, si potrebbe dire che è rock o ribelle come personalità. Sincero e unico come deve essere ogni vino vero.
Antipasto di salame, pasta lunga al ragù, fontina stagionata e… pagnotta di semola di grano duro in accompagnamento. Direi che per la prima volta posso usare la definizione di “vino a tutto pasto” per questo Gaggiarone.
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