Chardonnay e Franciacorta sono un connubio perfetto quando si parla di vini spumanti. In questo SoloUva Brut si aggiunge poi la caratteristica territoriale di Adro, con i suoli morenici (limi, argille e detriti), e una vinificazione che gli conferisce tipicità.
È un Metodo Classico rifermentato in bottiglia senza aggiunta di zuccheri, al loro posto viene utilizzato il mosto conservato dopo la pressatura. Riposa poi sui lieviti per 24 mesi e quando è il momento della sboccatura e del dosaggio, si usa ancora una piccola percentuale di mosto (4g/l) per la versione Brut. A questo punto lo spumante è pronto, ma rimane ancora qualche mese in bottiglia prima della commercializzazione.
Il risultato è intrigante. I profumi hanno il bel frutto fresco dello Chardonnay e si aggiungono note balsamiche vegetali. Le bollicine, fini e numerose, portano nel palato tanta freschezza. Raggiunge sensazioni aromatiche di erba sfalciata e mentuccia che si allargano poi sul frutto bianco e su note appena accennate di pasticceria. Il tutto è condito da una bella sapidità. Di fatto è un extra brut, verticale e persistente negli aromi.
All’opulenza e rotondità che spesso si riscontrano in altri Franciacorta, qui prevale la freschezza e la finezza e una tipicità davvero interessante.
A proposito di sostenibilità, il mondo del vino ha ampi margini di miglioramento, sia per quanto concerne i trattamenti in vigna che per la gestione del prodotto finale e del suo packaging.
L’impatto, o impronta carbonica della bottiglia in vetro, è rilevante. Il vetro, per quanto riciclabile comporta costi enormi per la movimentazione sia in andata che di ritorno per la parte che viene riciclata. Il packaging gioca quindi un ruolo fondamentale nel tema della sostenibilità.
Ormai si trovano sul mercato varie soluzioni come le lattine, i bag in box, i sacchetti ecc., ma nessuna di queste ha un appeal paragonabile al vetro. Una delle alternative più interassanti è la bottiglia “Frugal“ dall’azienda inglese Frugalpac.
Non è esattamente una novità ma inizia a diffondersi nel mondo ed anche in Francia suscita interesse come imballaggio rispettoso dell’ambiente.
Nel video le caratteristiche della bottiglia in cartone Frugalpac.
La bottiglia è in cartone riciclato al 94% con rivestimento interno adatto a contenere vino o altre bevande. La bottiglia è completamente personalizzabile e pesa solo 83g. I due materiali che la compongono sono riciclabili.
Una bottiglia in vetro (stile bordolese) pesa circa 500g.
In Italia è già stata adottata dalla Cantina La Goccia, in Umbria, per uno dei suoi vini rossi (blend di Sangiovese, Merlot e Cabernet), distribuito in UK.
È rivoluzionaria se si pensa alla storia della bottiglia in vetro, peraltro inventata in Inghilterra nel 1652 per merito di Sir Kenelm Digby.
Vetro forever o la guardate con curiosità? Io la vorrei maneggiare, sentire il vino come esce e soprattutto assaggiarlo per percepirne le sensazioni/diversità. Il vino di qualità lo immaginiamo in vetro, così come tutto il rito di mettere la bottiglia in tavola nel suo classico contenitore, stapparlo e portare il sughero al naso per sentirlo profumare di vino… Qui anche il tappo a vite non lascia spazio alla tradizione. Ma forse sono solo dei tabù ed è il momento di metterli in discussione ed immaginare un futuro diverso.
Anche valutando il trasporto in scatole, con più bottiglie, ha i suoi vantaggi. Non avrebbe la necessità dei tipici rinforzi in cartone usati per il vetro o le enormi quantità di polistirolo o di sacchetti gonfiati, tutto si alleggerisce. Infine il riciclo dei due materiali è decisamente più semplice ed economico rispetto al vetro.
Per una cantina ci vuole coraggio a fare una scelta del genere ma se si è già intrapreso un percorso di sostenibilità potrebbe essere il tassello finale più armonico e coerente. Penso ad esempio alle varietà Piwi coltivate in biologico dove anche i consumatori, sensibili alle questioni ambientali, potrebbero recepire con favore una proposta di questo tipo.
Le note di erbe balsamiche suonano in lontananza. Caldo e succoso spreme la ciliegia sulla lingua mentre intorno echeggiano note di tostatura in legno e spezie. Di corporatura robusta veste con eleganza i tratti tipici del Sangiovese.
Il gallo nero gonfia il petto e mostra un piumaggio rosso rubino splendente. I tannini sono la carezza di una piuma mentre intorno danzano le fragranze fruttate e le morbidezze alcoliche (14,5%). C’è armonia e potenza, ma anche la sensazione di storicità nella percezione di assaggiare un vino che senti arrivare da lontano.
Una tradizione vitivinicola evidenziata già dal 1549 nel Podere Casavecchia alla Piazza di Castellina in Chianti. Dal 1988 il Podere è di proprietà di Gabriele Buondonno che lo conduce in regime biologico certificato e biodinamico (Triple A), assicurando il giusto rispetto alla terra e la continuità di una tradizione secolare. Le uve sono coltivate sui 400 m/slm su terreno argillo-calcareo con abbondante scheletro pietroso. La vinificazione è con lieviti indigeni in acciaio e cemento a cui segue un anno di affinamento in legno e poi in bottiglia.
Il gallo nero di Casavecchia alla Piazza è in splendida forma.
Il Nebbiolo è una delle varietà più antiche che abbiamo, se ne trova notizia della sua presenza già dal 1266 vicino a Torino. È al vertice qualitativo dell’enologia insieme a pochi altri e riconosciuto nel mondo come simbolo di italianità. Sono famose le sue espressioni provenienti da Langhe, Roero e Alto Piemonte, così come quelle Valtellinesi e Valdostane. È una varietà “difficile” che si è adattata a pochi ambienti pedoclimatici e che anche in cantina richiede massima attenzione e lunghi affinamenti nelle versioni più celebri.
I recenti studi genetici hanno evidenziato la sua parentela con la Vespolina e il Bubbierasco (varietà piemontesi) ed individuato come suoi fratelli il Nebbiolo rosato, la Pignola e la Rossola nera (tipici della Valtellina). Tra i fratellastri del Nebbiolo troviamo altre varietà come ad esempio il Refosco e il Marzemino (1).
Si esprime sempre in modo eccellente e parlando questa volta di un Nebbiolo dell’Alto Piemonte voglio ricordare le province di produzione: Vercelli, Biella, Novara e Verbano-Cusio-Ossola. Le denominazioni che riguardano questi terroir sono: Gattinara DOCG, Ghemme DOCG, Boca DOC, Bramaterra DOC, Lessona DOC, Fara DOC, Sizzano DOC, Coste della Sesia DOC, Colline Novaresi DOC e Valli Ossolane DOC.
Ognuna di queste è caratterizzata da suoli di composizione diversa, si va dai fondi alluvionali o marini a quelli vulcanici.
Per quello che riguarda Gattinara, comune della Valsesia in provincia di Vercelli, i terreni sono duri e compatti con blocchi di porfido ocra-bruno ed uno strato superficiale friabile (2).
Le uve del Gattinara 2016 di Luca Caligaris provengono dai vigneti nelle frazioni di Osso, Castelle e Lurghe. La vinificazione ha visto una fermentazione con lieviti indigeni e un affinamento di 38 mesi di cui 24 in botti di rovere. L’uvaggio ha un 5% di Uva Rara oltre al Nebbiolo (la DOCG consente fino al 10% di altre uve rosse regionali).
Alla vista è particolarmente carico di colore con archetti ampi sulle pareti del calice (14% Vol.) I profumi che arrivano al naso sono intesi di quel fruttato tipico che mi riconduce alla prugna matura e al floreale di viola con sentori dolci di ciliegia e vaniglia. All’assaggio ci trovo una bella marasca su un letto morbido e vellutato di tannini già evoluti e desiderosi di affrontare qualcosa di succulento. La morbidezza alcolica scalda e accompagna a lungo gli aromi che evidenziano i terziari dell’affinamento in legno con note di cacao e speziate. Rotondo, si espande nel palato come onde sull’acqua dopo aver lanciato una sasso. Sensazioni minerali e ferrose. Lungo e sempre equilibrato. Gran bel Gattinara.
Se l’abbinamento con brasato e polenta risulta scontato consiglio di gustarselo anche da solo o al limite con un pezzo di cioccolato fondente.
Prosit
Bibliografia:
2020 – DNA-based genealogy reconstruction of Nebbiolo, Barbera and other ancient grapevine cultivars from northwestern Italy, Stefano Raimondi, Giorgio Tumino, Paola Ruffa, Paolo Boccacci, Giorgio Gambino Anna Schneider . https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32978486/
Gli avvenimenti di palazzo meritavano una strambata gustativa stile Luna Rossa vs American Magic, e un apporto alcolico degno di scaldare il palato al solo sentire nominare il principe della finanza Draghi. E allora brindo in modo regale con il Vermouth di Torino, Rosso superiore di Calissano.
Sono passati 235 anni dall’invenzione del Vermouth e 67 governi dall’istituzione della Repubblica e l’Artemisia è ancora la protagonista nel Vermouth con la tipica nota amara. Insieme ad altre spezie e fiori viene messa in infusione nel vino. In questo Calissano è il Gavi DOCG e il Langhe Nebbiolo DOC. I profumi ricordano la scorza d’arancia, le erbe balsamiche, e i cocktail Negroni che allietavano i miei 30 anni nei lunghi aperitivi milanesi che si trasformavano in cena e dopocena.
L’assaggio è armonico ed equilibrato, fresco e scorrevole all’inizio. Si allarga e scalda nel finale riportando per via retronasale la bella balsamicità e le note d’agrume. La personalità dell’Assenzio è bilanciata daI 18% di volume alcolico che accarezza le mucose in una piacevole sensazione pseudocalorica.
È un ottimo vino aromatizzato per la preparazione di un aperitivo che oggi riscopro in versione “nature”, freddo e accompagnato a del cioccolato fondente con nocciole. La persistenza aromatica di entrambi viaggia su binari paralleli con grande stile e piacevolezza. Bello riscoprire la tradizione del Vermouth di Torino nella versione di Calissano.
Note L’Artemisia absinthium L. è meglio conosciuta come Assenzio (in tedesco Wermut). Il Vermouth o Vermut è nato a Torino nel 1796 nella bottega di Antonio Benedetto Carpano. Il Vermouth era l’aperitivo preferito dalla Casa Reale Il locale milanese era il Mom di Viale Monte Nero Medito sulla masnada di parlamentari che vorrei esiliare dal paese
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