Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

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Vagabondo bianco 2017 Le Anfore, Marcel Zanolari

Il tramonto su Milano non sarà come quello sul mare o sulle montagne Valtellinesi ma ha comunque il suo fascino, soprattutto se arriva dopo giorni di nebbioni. L’ultimo sole fa brillare i toni aranciati del Vagabondo nel calice. Sentendone i profumi gioisco per trovarmi di fronte ad un vino che già all’olfatto racconta una storia.

Si apre su note di moscato e fiori bianchi, ricordi da “vino passito” di albicocca e canditi. Le uve bianche da varietà di Riesling (15 diversi cloni) e di Moscato (Piwi), macerano sulle bucce per oltre tre mesi, in anfora. Fermenta naturalmente con i lieviti presenti sugli acini e in cantina, svolge la malolattica e non viene filtrato.

All cieca, dopo aver sentito i profumi, ti aspetteresti un vino dolce, ed eccolo invece secco e fresco con una punta amarotica e speziata. Si percepisce in contemporanea una presenza tannica astringente e una sensazione burrosa accompagnata con armonia da una vena sapida e minerale.

Il produttore è Marcel Zanolari di Bianzone (SO), in Valtellina. Opera una viticoltura biologica e biodinamica certificata.

Nel frattempo ho apprezzato il retrogusto che rimanda alle note del moscato, uva spina, rosa… È ancora in bocca, con una persistenza infinita. Si scioglie sui sentori dolci dell’olfatto e, come su una giostra che ha terminato il giro, non vedi l’ora di farne un’altro per quanto ti sei divertito. 

In qualche modo quella struttura potente ma elegante che caratterizza i rossi di Chiavennasca (Nebbiolo delle Alpi) la si ritrova anche in questo Vagabondo, degna espressione in bianco del territorio Valtellinese.

Casa vinicola Marcel Zanolari di C.V.L.T. , Via Teglio 6/10, Bianzone (SO) – sito

Articolo pubblicato su www.vinievitiresistenti.it

Langhe Nebbiolo 2018, Cavallotto

La scighera su Milano (nebbia bagnata) chiamava il Nebbiolo e il suo caldo abbraccio. Ho scelto quello di Cavallotto. Profuma di viole, ciliegie e lamponi. Appena lo si muove apre su sentori balsamici. In bocca il frutto è fragrante, arrivano ricordi floreali e sottobosco. Caldo del suo 14,5% di volume alcolico. Giustamente tannico, di un tannino giovane ma elegante e armonico. Di fronte ad un buon vino come questo c’è poco da aggiungere.

È come vedere un disegno fatto con precisione. Da viticoltura biologica, vinificato con lieviti naturali e affinato in legno per circa 18 mesi. Un nebbiolo di gran classe e adatto ad accompagnare i tagli migliori di carne o qualche pezzo di cioccolato fondente nel dopocena. Cavallotto, tenuta Bricco Boschis in Castiglione Falletto.

Nelle cuffie rock in the casbah dei Clash, ma che lo dico a fare, tanto ormai sono old style…

Buttafuoco 2015 Vigna Pregana, Quaquarini

Il logorio della vita moderna minaccia la nostra esistenza, e allora? Allora affidiamoci alle virtù salutari del Buttafuoco Storico dell’Oltrepò Pavese. Una botta di Polifenoli e Resveratrolo che oltre alla bontà del vino ti regalano una forte azione protettiva sul cuore e una potente attività antiossidante.

Quello che vi presento è un Buttafuoco da agricoltura biologica. A produrlo è la cantina Quaquarini di Canneto Pavese (PV) che ne coltiva le uve nella vigna storica di Pregana, a cavallo dei comuni di Castana, Montescano e Canneto Pavese, al centro della zona del Buttafuoco. 

Il vino ha davvero tanto colore e toni scuri quasi impenetrabili. I profumi sono austeri e intimoriscono, come trovarsi con l’auto in panne in una serata nebbiosa, bussare alla porta di una cascina e trovarsi di fronte una persona anziana, rugosa e barbuta con lo sguardo severo. Ne esce un profumo di bosco, di tabacco, di frutta macerata. Riesco a scorgere il caminetto dietro le sue spalle che scalda la stanza. L’accoglienza all’assaggio è la migliore possibile, si apre su aromi dolci di frutta sotto spirito, ciliegia, frutti di bosco. La bocca si scalda del 14° di vol. Mi guardo intorno è arrivano sentori speziati e di astringenza tannica. Mi accomodo sul divano ammirando la stanza piena di oggetti e questa annata 2015. Tutto sa di lavoro in campagna, di stagioni e di tradizione. La persistenza è lunga ed è un ottimo accompagnamento ad una chiacchierata in compagnia. Ho immaginato l’abbinamento con le castagne ma uno stufato con polenta sarebbe più appropriato. 

L’uvaggio è Croatina 50%, Barbera 35%, Ughetta di Canneto 15%. 

Bel vino, forte, austero, dolce ed equilibrato allo stesso tempo. Un classico che rende merito ad un territorio di grande valore.

Nota sul Buttafuoco

Il marchio adottato è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale si dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione; all’interno la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare che nella seconda metà del 1800, la Marina Imperiale austro-ungarica varò una nave dal nome “Buttafuoco”.

La leggenda vuole che il nome sia il ricordo di una battaglia perduta da una compagnia di marinai imperiali, comandati a operazioni di traghettamento sul fiume Po nei pressi di Stradella e successivamente impiegati su queste nostre colline nella guerra contro i franco-piemontesi. Un vino del luogo chiamato Buttafuoco ebbe più successo del fuoco della battaglia nell’ attirare a sè i baldi marinai, i quali, dentro una grande cantina, fecero strage di botti e bottiglie. 

(https://www.buttafuocostorico.com)

Casa e Chiesa 2018, Tenuta Lenzini

Questo vino mi ha evocato atmosfere country e ballate al chiar di luna con le file di lampadine colorate tirate da un albero all’altro. Ripensavo ai jeans, l’intramontabile tessuto reso famoso dalla Levi’s e a come sia stato interpretato in modo diverso negli anni rendendolo sempre attuale. Così come il Merlot, intramontabile vitigno che riesce a fondersi in un terroir dando sempre un risultato diverso. 

Tenuta Lenzini di Gragnano (LU), ne trae un Merlot dal carattere sincero e diretto. Profuma di sottobosco e cuoio, di terra e sudore. È una festa, qualcuno fuma un sigaro al tavolo accanto e l’aroma dolce si sposa con il frutto di marasca. Succoso e con una bella nota balsamica che accompagna il sorso. Suonano i Mumford & Sons con I Will Wait, buona la persistenza e docile il tannino. Beverino e fresco da far pensare alla leggerezza e invece ha il 14,5% di volume alcolico. Caldo sì, ma quello bello che ti trascina nel ballo. Bel finale di sorrisi appagati e sudore. Manca solo la possibilità di far festa veramente tra amici, mi accontento di un brindisi a distanza in questo periodo morigerato tutto Casa e… Enoteca. Alla Salute amici winelover!

Vini Svedesi?

Incredibile ma sì. La vite oltre il 55° parallelo è una realtà e iniziano a vedersi sul mercato vini provenienti da paesi come Danimarca, Svezia o Scozia. Il cambiamento climatico e i vitigni PIWI (resistenti alle malattie fungine e al freddo) sono i protagonisti di questa viticoltura nordeuropea che muove i suoi “primi passi” ormai da un decennio.

Qualche giorno fa ho partecipato ad una bella degustazione di vini svedesi organizzata da AIS Milano e presentata dalla sommelier Therése Lönnqvist insieme a Massimo Recli. Ho potuto così approcciare alcuni dei vini prodotti da due delle 40 cantine attualmente registrate in Svezia. 

Gli ettari vitati sono ancora pochi, un centinaio, ed ubicati nella parte sud del paese prevalentemente vicino al mare dove le fredde temperature sono più miti. Considerate che la media annuale si aggira sui 6°.

Interessante come l’aspetto pioneristico che anima i coltivatori, e gli svedesi in generale, trovi soluzioni inaspettate per l’allevamento della vite in un territorio considerato estremo per la vite. Ad esempio si affrontano le possibili gelate con una nebulizzazione che congelandosi crea un guscio protettivo alla vite. I vigneti sono alti e ricchi di fogliame per catturare la poca luce che però non significa ombra ma oscurità. Ai suoli derivanti dalle glaciazioni con matrice di sabbia e sassi morenici viene effettuato il sovescio e concimazioni che contemplano anche l’utilizzo di alghe che vengono prima lasciate a dissalare. Tra i diversi vitigni coltivati i più diffusi sono il Solaris a bacca bianca e il Rondo a bacca rossa.

Cinque gli assaggi proposti durante la serata:

1° vino, uno spumante Brut 30 mesi sui lieviti, il Pegasus Mousserande 2015. La presenza di bollicine è scarsa per i canoni a cui siamo abituati. Gli aromi ricordano la mela golden, il sambuco e i lieviti. Niente male come finezza. Il paragone magari non è appropriato ma alla cieca l’avrei scambiato per un Prosecco.

2° vino da Arilds Vingård Solaris 2018, note floreali e di Sambuco. Vinificato solo in acciaio trasmette sensazioni di freschezza e giovinezza. Con una spinta di acidità che richiede l’accompagnamento di un cibo grasso come ad esempio il salmone o l’aringa che ho nel piatto. Specialità svedesi gentilmente offerte dalla Björk Swedish Brasserie di Milano che nell’abbinamento ho molto gradito.

3° il Pegasus Stål 2018, altro Solaris, più rotondo e con un bel bouquet di aromi di albicocca, frutti tropicali, vaniglia e sfumature di pietra focaia. Tra i vini assaggiati è quello che ho trovato più interessante e che mi comprerei. Buona anche la persistenza e l’armonia generale.

4° vino il Pegasus Solera, ma non pensate al celebre metodo Solera di affinamento che prevede il passaggio di una parte di vino da una botticella all’altra durante gli anni. In questo caso è stato fatto un blend di 4 annate 2015/2016/2017/2018 di cui le prime tre affinate in legno e la 2018 in acciaio. Il risultato a mio avviso non è però granché, risulta appunto un assemblaggio dove fatico a percepirne un carattere interessante seppure gli aromi siano composti e gradevoli. 

5° e ultimo vino, Arilds Vingård Barrique 2016. In questo caso il Solaris viene affinato in barrique nuove per 12 mesi e per 25/30 mesi in bottiglia. Arrivano potenti gli aromi di zenzero e sambuco, ma anche speziate di cardamomo e aromatiche di rosmarino. Tanta roba, troppa a mio giudizio. Si perdono gli aromi delicati e fruttati del Solaris dando troppo spazio al legno. 

Questi vini sono un bel esempio di sperimentazione e di ricerca della migliore espressione del Solaris in un terroir ancora tutto da definire. Se paragonati ai Solaris italiani si possono trovare caratteri comuni di freschezza ma risultano molto diversi nel complesso degli aromi secondari e terziari. In quelli Svedesi ad esempio c’è una presenza costante dell’aroma di Sambuco, mi piace pensare che sia un marcatore tipicamente Svedese.

Penso che in futuro la sperimentazione indicherà le strade migliori e vendemmia dopo vendemmia i vini acquisiranno piacevolezza e tipicità. Io di certo non perderò l’occasione per provarli. Benvenuta nel calice anche la Svezia!

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