Versare questo vino nel calice è come tornare a casa d’inverno e aprire la porta d’ingresso su una stanza calda e accogliente dove ad aspettarti ci sono i tuoi migliori amici. Sono i profumi che amo del Nebbiolo, intensi di viole e more surmature. Il vino si apre in uno spazio balsamico con note speziate e ricordi di menta. Wow, assaggiandolo gli aromi si compattano in una unica e armonica sensazione di piacevolezza. Continua progressivamente sugli aromi di ciliegia sotto spirito e cacao. Dire che è avvolgente è riduttivo, è piuttosto un abbraccio energico e lungo. Scalda il cuore ed emoziona. I tannini sono in livrea ed hanno steso il tappeto rosso di velluto per far scorrere il potpourri che lo caratterizza. Ascolti ad occhi chiusi, e pensi che stai degustando qualcosa che va ben oltre la semplice definizione di Langhe Nebbiolo. Mi sembra persino riduttivo pensare di accompagnarlo a qualcosa, però il 14% di Vol. alcolico è pronto a stenderti. Quindi meglio metterci su almeno del pane e companatico. Resta inteso che come vino da meditazione ha tanto da raccontare, Perbacco.
Un vino fashion, femminile ed elegante, non poteva che presentarsi nel quartiere della moda a Milano, in una delle sue location più famose, il Superstudio di via Tortona. Sui tavoli della masterclass hanno sfilato 12 Lugana in rappresentanza di 4 categorie. Spumante a metodo classico, Base, Riserva e Superiore. Un bel percorso di assaggi nel quale si sono potute apprezzare le doti del Trebbiano di Lugana, localmente chiamato Turbiana.
La sequenza è stata un crescendo di piacevolezza che ha permesso a tutti i partecipanti di ritrovare le tipiche note sapide/minerali in ogni calice e percepirne l’evoluzione floreale e fruttata. La longevità dimostrata dagli ultimi vini assaggiati è stata la bella e inaspettata sorpresa di questo vino.
Degli assaggi fatti voglio segnalarne uno per categoria:
· Spumante Lugana DOC Metodo Classico brut Nature, Perla del Garda di Lonato (BS). 40 mesi sui lieviti. Bella acidità, fresco e diretto, agrumato con finale ammandorlato. Solo in bottiglia magnum, la loro. Di questa cantina segnalo anche il Lugana e il Lugana Superiore Madonna della Scoperta presentati nel banco d’assaggio.
· Lugana 2019, Olivini di San Martino della Battaglia, frazione di Desenzano del Garda (BS). Solo acciaio per questo Lugana dal carattere unico e immediato. Mi ha conquistato per piacevolezza e facilità di beva.
· Lugana Riserva Sermana 2015, Corte Sermana di Peschiera del Garda (VR). Dalle vigne “vista lago” un Lugana in abito da sera per magnifiche serate. Freschezza e sapidità si sposano perfettamente con sensazioni morbide del passaggio in tonneaux. Armonia ed eleganza al top.
· Lugana DOC Superiore 2001, Cà Lojera di Rovizza di Sirmione (BS). 19 anni di affinamento hanno donato a questo vino una complessità aromatica incredibile, spazia dalla frutta candita, scorza d’arancia, frutta secca a note evolutive di pietra focaia e balsamiche. Rotondo, lunghissimo. Ultimo vino, gran bel finale.
L’evento è continuato nel banco d’assaggio dove erano presenti circa 50 produttori. Qualità elevata in ogni tavolo ma tre di loro hanno conquistato il mio palato più degli altri:
Borgo la Caccia di Pozzelengo, a questa cantina vanno i miei complimenti per gli eccellenti Lugana assaggiati. Sul podio della giornata per armonia, eleganza e tipicità. Sono curioso di assaggiare la versione in anfora…
Neanche a farlo di proposito, i cinque vini che ho riportato qui sopra provengono dai 5 comuni che compongono la DOC Lugana. Conferma di un territorio in grado di esprimersi al meglio in ogni comune.
Sguardi di Terra della famiglia Venegoni mi ha colpito per i suoi Lugana Bio fermentati con lieviti indigeni. Vini sinceri e di gran carattere. Al piacere gustativo si è aggiunta la calorosa e amichevole accoglienza del Sig. Pinetti che ce li ha presentati. Due Lugana con aromi che ricordano la mela e la pera e nella riserva con sentori di pietra focaia e di spezie. Li immagino in abbinamento ai salumi e mie viene l’acquolina…
Cascina Maddalena di Sirmione. Il loro Lugana Capotesta è un’altra bellissima espressione del vitigno che qui conserva gli aromi e la freschezza tipica in modo ineccepibile ed unico. Poi la bottiglia renana magnum gli dona un fascino da star.
Anche se non li nomino uno ad uno, mi complimento con tutti i produttori di cui ho assaggiato i vini, ognuno capace di farmi vedere una peculiarità di questo bel vitigno che è il Turbiana e del quale condivido la definizione di Versatile, Immediato e Longevo.
Da anni sento parlare del Lugana come di un “vino di moda”, lo trovo riduttivo, è piuttosto un Classico della moda, Fashion in ogni stagione. Del resto la DOC è stata una delle prime conferite in Italia, nel 1967.
Grazie per l’organizzazione di questo evento, spero di rivedervi nel 2021 con la nuova Collezione!
L’emozione di assaggiare un nuovo vino Piwi è sempre grande e lo è ancor di più se si tratta dell’opera prima di Ca’ Apollonio. Una realtà in costante sviluppo che punta ad essere un riferimento nella coltivazione biologica e di vitigni resistenti in Italia. Il vino 3.6.9 è il biglietto da visita, ci racconta di 3 anni di sovesci, 6 anni di impianti, 9 anni di permacultura e di sole 369 bottiglie prodotte per questa anteprima.
I toni tenui e luminosi accompagnano profumi intensi di fiori bianchi e frutti tropicali. All’assaggio ne percepisco una spiccata acidità e salinità che fanno da spalla ad una elegante progressione aromatica di frutti maturi come la pesca bianca e la mela golden. Con vino degustato fresco si hanno sensazioni di frutto croccante e minerali, quasi gessose. Con l’alzarsi della temperatura si passa a note più rotonde e avvolgenti. La vena salina rimane ma si apprezza anche la morbidezza alcolica e glicerica.
Il 369 è vestito di chiaro ma con il suo 13,5% di Vol. ha un corpo da rosso. Decisamente un bel vino, armonico nell’insieme e piacevole nel gusto. Mi ha fatto pensare a Luce, il primo brano cantato in Italiano da Elisa, “…Parlami, come il vento fra gli alberi; Parlami, come il cielo con la sua terra…”.
Grande opera prima, espressione veneta del territorio ai piedi del Monte Grappa nel comune di Romano d’Ezzelino (VI) e di un vitigno dal grande potenziale quale è il Souvignier Gris. L’annata degustata è la 2019.
Dietro le quinte di questo vino si trovano Maria Pia Viaro Vallotto e Massimo Vallotto artefici del progetto Ca’ Apollonio e l’enologo Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia 2020 (da Associazione Vinoway Italia), conosciuto anche per il suo Vin de la Neu.
Azienda agricola Ca’ Apollonio, Romano d’Ezzelino (VI) – Pagina Facebook
Era il titolo dell’evento organizzato da Onav Varese nella bella location del Gran Palace Hotel. A presentarlo uno dei massimi esperti in materia di incroci di viti, il professore e breeder Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Tn). Il suo racconto ci ha accompagnato in un bel percorso di conoscenza delle varietà e di degustazione di 10 vini.
Sostenibilità, rispetto ed espressione del territorio sono impliciti nelle varietà di viti resistenti (PIWI) ma la collocazione e la percezione di questi vini sul mercato non è ancora chiara. Se da una parte si possono produrre vini con un minor costo in vigna e in zone considerate “meno vocate”, dall’altra c’è una ricerca e una sperimentazione di qualità che punta alla migliore espressione varietale possibile in un determinato territorio.
A mio avviso una strada non preclude l’altra e infatti abbiamo produttori con vini Piwi che si posizionano su fasce di prezzo molto diverse, dovute al diverso impegno e investimento piuttosto che a pure logiche di marketing.
Dalla serata è emerso (ancora), come i nomi possano essere un ostacolo all’accettazione di questi nuovi vitigni, vuoi perchè troppo fantasiosi (es. Solaris, Bronner..) o all’opposto troppo vicini agli storici genitori (Cabernet, Pinot, Merlot…). Dovremmo pensare maggiormente alla valorizzazione dei territori produttivi piuttosto che focalizzarci sui nomi… All’assaggio i vini hanno sorpreso e ricevuto numerosi apprezzamenti e qualche critica. Penso agli spumanti e ai bianchi dalla grande acidità che qualcuno ha trovato eccessiva. Cosa che per me è invece una grande dote. Amo la mineralità, la sensazione tagliente e la scorrevolezza nel palato indotta da un buon livello di acidità.
Penso che l’approccio ai vini Piwi richieda un’apertura mentale al nuovo, alla diversità gustativa. La “comfort zone” del vino di ogni winelover dovrebbe essere un luogo aperto dove selezionare tramite il nostro gusto tutto ciò che di buono viene prodotto, indipendentemente dal nome che porta. Per alcuni è però un luogo chiuso da tempo, fatto magari da poche varietà ed etichette. Ciò che differenzia un Piwi da un vino “tradizionale’ è un plus, non un deficit.
Tornando alla serata, la degustazione è stata fantastica per tipologie assaggiate. Oltre ad apprezzare i vini provenienti da diverse regioni in cui è consentita la coltivazione, si sono assaggiate le microvinificazioni di due nuove varietà appena iscritte nel registro nazionale.
Il Pinot Regina, sebbene vinoso ed evidentemente giovane al gusto, ha lasciato percepire la nobile parentela e la potenzialità di evoluzione. Sono certo ne usciranno grandi vini.
Ancora più interessante l’F22P010 il vino (ancora senza nome), nato in FEM dall’incrocio di Teroldego e Merzling. Dimostra già una bella struttura e bevibilità. È una microvinificazione che senza dubbio convince e che spero possa essere il primo step per una rapida diffusione e valorizzazione in bottiglia.
Purtroppo quando si parla di nuove varietà si mettono in conto tempi lunghi prima di raccogliere i risultati. Ci vorrà ancora qualche anno per trovare questi vini in commercio ma è ormai un traguardo vicino se si pensa ai quasi 15 anni di lavoro precedenti.
Gli altri vini degustati:
Zero Infinito, Pojer e Sandri (Trentino; uve Solaris; spumante metodo ancestrale)
Santacolomba Brut, Cantina Sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; spumante metodo classico)
Santacolomba Più forte della magia, Cantina sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; bianco)
A-Mors 2019 bianco, Le Rive (Veneto; uve Fleurtai, Soreli e Sauvignon Kretos)
Limine 2017, Terre di Ger (Friuli Venezia Giulia; uve Soreli 90%, Sauvignon Kretos 10%; bianco)
El Masut 2017, Terre di Gerr (Friuli Venezia Giulia; uve Merlot Kanthus e Merlot Khorus; rosso)
A-Mors 2019 rosso, Le Rive (Veneto; uve Cabernet Volos)
Se dei bianchi si sono apprezzate le grandi doti di freschezza ed eleganza, nei rossi ha colpito la personalità ormai matura e capace di viaggiare allo stesso passo dei più conosciuti bianchi. Non mi sento di evidenziare nessuno perchè ognuno racconta davvero qualcosa di diverso e di egualmente interessante, perciò provateli e scoprite voi quali preferite!
Altra bella sorpresa della serata è stata una cassetta colma di grappoli di uve PIWI da tavola che si sono potute assaggiare. Zero trattamenti e 100% buon gusto.
Il futuro è anche questo.
Ringrazio Micaela e Umberto di Onav Varese, il Prof. Stefanini di FEM e Vincenzo di Civit per la bella serata e per lo sguardo verso il futuro che mi hanno regalato.
I grandi rossi sanno esprimersi all’olfatto con armonia e tipicità. Riempiono il palato di aromi e sensazioni avvolgenti. Piccoli frutti macerati, sottobosco, spezie, sentori eterei e balsamici. Rotondo, possente e agile, con tannini integrati e lunga persistenza. Sensazioni gustative che sembrano raccontarti l’evoluzione storica del proprio territorio.
Brunello di Montalcino 2015, famiglia Fattoi. Tradizione e territorio si esprimono in questo vino con naturale grandezza.
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