Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

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Joh 2019 Dellafiore

Articolo pubblicato anche su Vini e Viti Resistenti il sito dedicato alle varietà Piwi di dipendechevino

All’invito di trovarsi in Oltrepò non potevo che rispondere sí. È una zona incredibilmente bella e vocata alla viticoltura. Poi per l’occasione, si è aggiunta anche la parola PIWI a rendere più interessante questa visita. 

L’Azienda Agricola Dellafiore Achille si trova in frazione Costa Montefedele a Montù Beccaria (PV), è posta al culmine di una delle tante piccole colline che sembrano srotolarsi sulla pianura padana. L’altitudine è di circa 200 metri, non è molto ma da qui si gode un panorama fantastico sui vigneti. L’ora del tramonto è un momento magico che tinge di rosa la pianura. 

Simone Dellafiore e Luca Gonzato

Questa azienda, a conduzione familiare, è alla quarta generazione. Simone, uno dei figli, ha iniziato una piccola produzione con uve resistenti (Piwi), che affianca a quella tradizionale, basata sui vitigni di Bonarda, Barbera, Riesling, Malvasia, Moscato e Pinot nero. 

La vigna di Johanniter che visitiamo sembra essersi adattata perfettamente a questo terroir. Le due lepri che a un tratto sbucano dall’ultimo filare ne certificano l’ecosostenibilità senza bisogno di altre parole. Negli occhi di Simone si legge l’orgoglio per questo piccolo appezzamento sano e rigoglioso. Arrivano da qui le uve dello suo Johanniter, un vino bianco frizzante, realizzato con il metodo ancestrale cioè con una fermentazione che viene fermata e poi ripresa in bottiglia senza aggiunta di zuccheri e senza sboccatura (col fondo). 

La bottiglia si presenta con una bella immagine, giovane e di sicuro appeal. Joh rimanda al linguaggio rap e parla con gli hashtag, un richiamo verso la condivisione, quella reale, con gli amici.

Veniamo all’assaggio; l’ho capovolto per rimettere in sospensione il fondo che comunque è molto fine e non visibile se non nella leggera torbidità del colore. Al naso si percepiscono aromi agrumati, di pesca gialla e fermentativi. Andando poi a liberare le molecole con una energica rotazione escono sentori di pietra focaia e speziati, direi ricordi di Riesling, il papà. All’assaggio e leggermente frizzante e sapido, ha una bella acidità che fa salivare. Sulla lingua percepisco un frutto fresco e croccante abbastanza persistente ed una piacevole sensazione minerale sul finale. Il volume alcolico dell’11,5% rende questo vino molto gradevole da bere con questo caldo rispetto ad altri bianchi più strutturati (perlomeno non inizi a sudare al secondo calice). È il vino che vorrei trovare su una tavola apparecchiata all’aperto, come aperitivo e come accompagnamento alla serata fino al calar del sole. “Mi piace assai”, lo trovo azzeccato nella sua identità e sono felice di sentire da Simone che anche tra i suoi clienti abituali stia ottenendo successo.

Joh è il primo Johanniter dell’Oltrepò, una novità dirompente se si si pensa al contesto. Non si sta aggiungendo un’altro vino al parterre dei vini dell’Oltrepò ma piuttosto un concetto nuovo di viticoltura, più sostenibile e capace di intercettare nuovi consumatori. Joh, è un precursore, figlio della caparbietà di chi non si arrende alle difficoltà e guarda al futuro da una prospettiva diversa, positiva e resistente in ogni senso. Joh non intacca minimamente il mercato dei Classici rossi e spumanti dell’Oltrepò ma all’opposto potrebbe dare loro una spinta nel farli conoscere ai più giovani. Joh è un alfiere in un campo ancora tutto da esplorare, rispettoso del passato ma voglioso di conquistare nuovi mercati e trofei, che sono sicuro arriveranno.

L’Azienda Dellafiore Achille è in via Per Bosnasco 14, Frazione Costa Montefedele, Montù Beccaria (PV) – sito

Aggiungo una doverosa nota di ringraziamento a Piwi Lombardia e ai suoi associati per avermi invitato a condividere con loro la giornata da Dellafiore e per la bella serata passata insieme all’Agriturismo Bricco dei Ronchi

I venerdì di fuga: Sorso di Vino

Venerdì pomeriggio a Milano, nessuna voglia di stare davanti al computer, caldo ma con una bella arietta che mi sussurrava “prendi la moto e vai”. Sono bastati pochi minuti per attraversare la città e ritrovarmi seduto su una comoda poltrona all’enoteca Sorso di Vino di via Stoppani a Milano. A chiacchierare con me c’è Cristina, la titolare. La conoscevo solo attraverso Instagram, ma dopo i primi convenevoli ha confermato l’idea che mi ero fatto di lei, sincera e competente. A queste caratteristiche e dopo la mia valanga di domande  🤔🍾🍷🌈🤣 si sono aggiunte la grande gentilezza e pazienza. Impossibile non sentirsi a proprio agio in questo ambiente. Da appassionato ovviamente i miei occhi correvano sugli scaffali i quali riservano una selezione molto accurata e personale, si percepisce dal racconto dei “suoi” vini che Cristina ha messo negli scaffali ogni singola bottiglia come fosse un piccolo gioiello, ma la cosa bella è che questi enogioielli hanno anche dei prezzi abbordabili.

Ho accolto volentieri il consiglio su un paio di bottiglie ma arrivato a casa non sono riuscito a metterle a riposo, sono finite direttamente in frigorifero ed una nel calice. Ho stappato il rosé, La Lupinella 2018. Tanta eleganza in questo Sangiovese in rosa, aromi floreali in un sottile sottobosco con delicate fragranze di piccoli frutti rossi. Uno sbuffo di cipria e di confetto alla mandorla regalano complessità. La sapidità allunga gli aromi in un finale fresco e minerale. Davvero piacevole e perfetto per l’aperitivo serale. Gran bella sorpresa😋

🚃 Se siete in zona fermatevi da Sorso di Vino a conoscere Cristina e portatevi a casa una delle sue deliziose sorprese. 

Luca Gonzato

Criseo, il super white-tuscan

Dopo il Vermentino nero di ieri, sono rimasto in Toscana per assaggiare un Vermentino bianco del 2017. È la prima volta che mi trovo davanti ad un Vermentino così complesso e robusto. Vero è che a partecipare all’uvaggio ci sono Fiano, Verdicchio, Petit Manseng e Manzoni bianco.

Il colore dorato è solo l’anticipo di una grande struttura dove il Vermentino si esalta ed escono aromi opulenti che mi ricordano miele, fieno, pesca gialla, glicine e salvia. La muscolatura si esprime nella spinta aromatica e nel volume alcolico del 14%, viene però bilanciato dalla vena sapida e dalla bella acidità. Un super white-tuscan che affina circa un anno sui lieviti in acciaio. Potenza ed eleganza contraddistinguono questo vino di Michele Scienza della Tenuta Guado al Melo, nella doc Bolgheri. a Castegneto Carducci (LI).

Mettetevi comodi ad assaggiarlo, magari con una spigola o un arrosto di vitello ad accompagnarlo. Da tenere in considerazione anche come sorpresa per gli amici che dicono di bere solo rossi. 

Il Vermentino Nero di Terenzuola

Uscire dalla comfort zone dei soliti vini può riservare piacevoli sorprese, è il caso di questo Vermentino nero. Una varietà le cui origini non sono ancora definite ma che potrebbe essere una variazione somatica del Vermentino bianco. Quello famoso dei Colli di Luni e ancor di più della Gallura in Sardegna. Dimenticate gli aromi del bianco e pensate piuttosto ad un rosso fresco e fruttato. Questo 2018 di Terenzuola in Fosdinovo, nella Lunigiana toscana, ha spiccati aromi di piccoli frutti in confettura, more, mirtilli e ribes. La piacevolezza e freschezza del frutto è accompagnata da note morbide di vaniglia e di spezie dolci. Si impone per finezza e armonia.

Fermenta in barrique aperte e affina poi in cemento per sei mesi. Alle note delicate del legno si aggiungono le sensazioni minerali e di ‘apertura’ del cemento. Il mix dona armonia ed eleganza. Ottimo vino che si apprezza anche servito fresco. Un rosso per l’estate da gustare tra amici con il cielo sopra la testa tra chiacchiere e risate. Ne voglio ancora.

Etna rosato Pietradolce vs caldone

Eccolo arrivato il caldone, la mascherina è ancora da indossare ma ormai la voglia di uscire la sera ha preso il sopravvento e i marciapiedi si sono riempiti di tavolini Askholmen dell’Ikea e persone desiderose di godersi qualche ora di relax. Il vino ideale da metterci sopra è questo rosato di Pietradolce, un vino che sorseggiandolo può spiegare il concetto di mineralità senza l’utilizzo di parole. È ottenuto da uve di Nerello Mascalese coltivate a 700m sul versante nord dell’Etna, a Solicchiata. Già all’olfatto si distingue per delle note floreali ma anche gessose e di cipria. Assaggiandolo si amplifica e si percepisce una complessità che mi riporta al corbezzolo, alla pesca bianca e ai profumi delicati di piccole rose e fragole selvatiche. Il tutto costantemente accompagnato dalla sensazione minerale e dalla sapidità caratteristica dei vini vulcanici. Il tannino è solo un riflesso delicato, lo spazio è tutto occupato dalla fragranza. Con gli oltre 30 gradi nell’aria è d’obbligo il secchiello del ghiaccio e magari una bottiglia di riserva. Un vino per godersi un minimo di serenità e un gran piacere gustativo. Sul mio Askholmen di casa ci sono le pizze, le rondini hanno iniziato la loro performance quotidiana. Questo Etna rosato è il trait d’union perfetto, oggi va tutto bene, molto bene.

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