La mia fonte preferita di antiossidanti e antinfiammatori. Il nome scientifico è Resveratrolo, fa parte dei polifenoli contenuti nella buccia dell’uva rossa. Lo ritrovi poi nel vino rosso, meglio se di qualità, così ci trovi anche tutto il piacere di gustare qualcosa di buono.
Oggi consiglio il nebbiolo Borgogno 2016 proveniente dal comune di Barolo in Piemonte. Spettacolo di frutto polposo, mora, viola e sentori d’affinamento in legno come vaniglia e cacao amaro e una bellissima cornice balsamica. Caldo e robusto (14% Vol.). Ti accompagna sia a cena che dopocena.
Online ho provato a cercare un integratore di Resveratrolo e ne ho trovato uno di 30 compresse da 50mg che costa 36,90. La bottiglia di Borgogno si trova sui 18€. No vabbé non si possono fare paragoni per due motivi, il primo è che non sono un medico e quindi non ascoltate i miei consigli e il secondo è che nel vino oltre al Resveratrolo c’è l’alcool etilico che non è che faccia granché bene. Posso però dire che da quando la mia dieta contempla il vino rosso delle Langhe sto benissimo! 🤣
Malgrado le preoccupazioni che il Covid19 ha portato nelle nostre vite, resta la voglia di conservare quelle abitudini che ci rendono la vita più gioiosa. Nel mio caso si tratta dell’abitudine di stappare una bottiglia ogni 2/3 giorni. Per restare in tema ‘malattie’, ho scelto un vino da uve resistenti alle malattie fungine. L’augurio è che anche noi, così come le viti di questo Solaris, possiamo resistere al Corona virus.
A produrre questo Solaris 2018 è la Cantina Plonerhof di Marlengo (Merano), in Alto Adige. Il Solaris è un vitigno ottenuto nel 1975 a Friburgo dall’incrocio di Merzling (Seyve Villard 5.276 x Riesling x Pinot Gris) e GM6493 (Zarya Severa x Muscat Ottonel). In soldoni, è un vitigno ottenuto da incroci di varietà di Vitis vinifera insieme a Vitis amurensis (varietà asiatica da cui ha preso una piccola parte che resiste alle malattie). Questo tipo di viti consente di avere il più basso numero di trattamenti in vigna con rame e zolfo, che può essere anche nullo nelle belle annate.
I vini da viti resistenti, anche chiamati Iperbio/Hyperbio o PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähig, viti resistenti ai funghi), sono ciò che di più sano ed integro possa esserci in termini di vino.
Fatta la necessaria presentazione veniamo al vino che ho davanti. Alla vista non ha niente di differente da altri ‘bianchi’, il colore è giallo paglierino brillante. L’olfatto è invece complesso, inizialmente di frutti esotici come l’ananas, la mela gialla fragrante, i fiori di campo, una leggera speziatura e qualcosa di vegetale.
In bocca conferma una struttura complessa, con una notevole acidità e sapidità che lo rende facilmente bevibile. Gli aromi retronasali sono di frutta a polpa bianca matura, pesca, mela. Si allunga in un bel finale fruttato. La nota morbida di contorno mi ricorda certi Chardonnay. Basta poco però a percepire il volume alcolico consistente (14%) per ricredermi e dirottare le mie sensazioni ad un’altro vino bianco che amo, il Pecorino.
Questo Solaris è un gran bel vino. Aromi, corpo, equilibrio ed armonia. Tutto ciò giustifica il costo di circa 20€.
In due, a cena, non ci accorgiamo quasi e alla fine la bottiglia è vuota e le palpebre pesanti. Per fortuna non dovevo mettermi alla guida e l’unico tragitto che dovevo fare era quello verso la camera da letto 😅 (è comunque un vino perfettamente digeribile e l’indomani eravamo freschi come le rose).
Quello che più mi piace di questo Solaris, è la coesistenza di sensazioni che generalmente appartengono a vini diversi, cioè una parte fruttata, fresca e una parte morbida e opulenta tipica dei vini bianchi passati in legno.
“Le buone intenzioni, l’educazione La tua foto profilo, buongiorno e buonasera E la gratitudine, le circostanze Bevi se vuoi ma fallo responsabilmente… ”
Sono i primi versi della canzone Sincero, scritta e cantata da Bugo. Mi sembrano l’ideale per accompagnare l’assaggio e la recensione di questo vino. Un Aglianico del Taburno DOCG, qui nella versione 2015 della cantina Ocone.
Come localizzazione siamo in Campania, nel Sannio Beneventano. Le uve provengono da vigneti con suoli calcarei e argillosi posti a circa 400m nella Valle Telesina.
Ad essere Sinceri, trovo che l’Aglianico sia uno dei più grandi vini rossi italiani, che però nel nord Italia è ancora poco conosciuto e difficilmente lo si trova nelle liste dei ristoranti. Non a caso tra appassionati viene definito il Barolo del sud per le sue qualità e capacità di affinamento.
Come vinificazione, questo Diomede ha fatto una lunga macerazione, di circa 20 giorni ed un affinamento con passaggio in barrique e tonneaux per un anno per poi tornare in acciaio e successivamente in bottiglia per altri 2 anni (minimo) diventati ormai 4.
Alla vista il colore è cupo, di un rosso scuro sanguigno. I profumi ricordano la prugna essicata, la viola, le more e i mirtilli in confettura. Ci sono poi le note di affinamento in legno, la vaniglia, il cuoio.
Facendolo ruotare rilascia note intense, balsamiche, di mentolo e incenso. In bocca è caldo, con un notevole corpo e tannini ormai addomesticati. Bella l’acidità che aiuta il sorso ma resta comunque un vino che chiede cibo, qualcosa di succulento e strutturato come un brasato ad esempio.
II sorso si allunga con un piacevole sviluppo aromatico che arriva alla confettura di frutti di bosco. Il prezzo è all’incirca uguale al CD di Bugo (17,50).
Nel complesso è un vino armonico e assolutamente piacevole, anzi Sincero.
Bello partecipare ad un banco di degustazione non affollato, con la possibilità di chiacchierare con i produttori e farsi raccontare ciò che caratterizza i propri vini.
Buono, in tutti gli assaggi fatti che ho dedicato prevalentemente al Dolcetto di Ovada (tema del banco di degustazione) e alla Barbera, altro tipico vitigno rosso piemontese.
Il Dolcetto di Ovada mi ha conquistato, in particolare grazie alle sue versioni più ricche ed evolute. Sì perché è un vino che può tranquillamente superare il decennio evolvendo in meglio. È ottimo anche da giovane, magari vinificato solo in acciaio con il suo bel frutto rosso croccante, ma le versioni passate in botte o barrique hanno, secondo me, una marcia in più. Il bouquet si arricchisce delle note del legno, vaniglia e cacao in primis, poi i tannini si ammorbidiscono regalando un’armonia generale di grande piacevolezza gustativa.
In particolare ho apprezzato molto i vini a base Dolcetto di Cà del Bric. La riserva 2007 ha una grande eleganza e tanto tanto corpo. Un vestito di aromi che vanno dal frutto rosso macerato ai sentori terziari di spezie e cacao. Rotondo, morbido, lunghissimo nella persistenza.
Anche i vini del Castello di Grillano sono ottini, Dolcetto di Ovada riserva Gherlan DOCG e Monferrato DOC (blend di Dolcetto e Barbera). Poi i vini La Piria, personalità e corpo da vendere in ognuno. Ma anche Rocca Rondinaria e i ragazzi di Paschetta (bravi, faccio il tifo per voi!).
Tutti ottimi vini e soprattutto belle persone a presentarli, hanno rafforzato la mia stima verso il Dolcetto di Ovada. Un vino che merita di stare allo stesso livello dei più noti rossi italiani. Non vedo l’ora di passare dalle parti di Ovada e fare visita a queste cantine.
Grazie ai produttori e a Ais milano per la bella degustazione.
Ti piacciono i vini molto profumati tipo il Gewurtztraminer oppure il Sauvignon o il Vermentino?. Un’alternativa che forse non conosci è il Moscato secco, nella versione ferma di Chambave in Valle d’Aosta.
È lo stesso vitigno che ha reso famosi i vini dolci piemontesi ma che qui si presenta con tutte le caratteristiche dei vini Valdostani. Alla base c’è una viticoltura eroica, svolta tra i 400 e gli 800 m dove i mezzi meccanici sono pressoché inesistenti. I suoli sono di origine morenica con componenti sabbiose. Un terroir, che con le notevoli escursioni termiche, dona ai vini un ricco bouquet di profumi e tanta acidità. Vini facilmente bevibili con una evidente mineralità che ti catapulta tra le montagne che contornano la regione.
Gli aromi di questo Chambave sono quelli tipici del Moscato, floreali di rosa ma anche di glicine, bosso, fruttati di pesca bianca e albicocca con qualche nota vegetale di timo.
Lo Chambave Muscat della cooperativa La Crotta di Vegneron 2018 è una bella alternativa, anche da regalare, al solito Gewurtztraminer. Per apprezzarlo deve essere servito molto fresco, idealmente a fianco di pietanze che aromaticamente possano reggere il confronto. Consiglio di assaggiarlo come aperitivo, ad esempio con delle alici marinate.
Si trova sui 13€. Da provare se amate i vini aromatici e se volete assaggiare una delle tipicità vinicole della Valle d’Aosta.
Luca Gonzato
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