Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

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Il Colombo e le Api

Piedirosso 2015, Contrada Salandra

Dopo tre giorni dall’apertura, è ancorà lì, bello composto, con tutte le componenti che se ne stanno tra loro come le fibre strette di un tessuto. Ha tanto da raccontare questo vino, innanzitutto il ventaglio aromatico. Ricorda la viola, i frutti neri come la mora e le amarene, penso ai rovi, a bacche, cortecce. In bocca è vigoroso, al frutto nero si aggiunge un aroma che mi ricorda i friggiteli, piccoli peperoni verdi.

Le uve di questo vino sono di Piedirosso, anche conosciuto come Per’ e Palummo o Piede di Colombo/Palumbo per la caratteristica del raspo che a maturazione tende al rosso, come la zampa di un colombo. È un vitigno tipico della Campania, in questo caso è coltivato da Fortunato Giuseppe e dalla moglie. La loro cantina è nei Campi Flegrei, in Contrada Salandra a Pozzuoli (NA). 

Al sorso è verticale, abbastanza tannico e fresco. L’attenzione è catturata dalla parte minerale e sapida che lo rende ‘vivo’ sul palato. Il finale è succoso di ciliegie appena maturate. Non è un piacione morbidoso, piuttosto un vino teso, rugoso, dove nella distanza ci trovi le note più morbide e dolci. Non si lascia andare, resta lì anche dopo giorni a guardare l’orizzonte, immagino il tramonto sul mare…

Sono contento di aver scoperto questo vino perchè è sincero, complesso nella sua essenza e non per accessori aggiunti. Arriva da agricoltura biologica anche se non certificata e fermenta con lieviti autoctoni. L’ape in etichetta è un marchio di famiglia in quanto l’attività principale è l’apicoltura. È un vino che sia lascia scoprire poco alla volta e ad ogni sorso ti regala una sfaccettatura. Da gustarsi con calma.

Luca Gonzato

Kerner 2017, Toblino

Ricevere del vino in regalo è sempre una bella sopresa. Anche se hai assaggiato più volte un vino fatto un determinato vitigno, ogni volta che apri una bottiglia scopri qualcosa di nuovo e se la bottiglia arriva da una cantina che non conosci allora stai certo che la sorpresa sarà ancora più grande. Quindi, ‘scartato’ il pacco e versato il contenuto, mi sono catapultato in montagna, ad oltre 700 m slm, con l’aria fresca, i profumi di montagna e il suono dei ruscelli che scorrono verso valle. A produrre questo Kerner è la Cantina Toblino di Sarche di Calavino (TN), nella Valle di Laghi, insieme ad oltre 600 soci viticoltori. Il colore è giallo tenue con riflessi verdognoli, immagina un sole tenue. Dal calice fuoriescono profumi freschi di fiori bianchi, erbe aromatiche come timo e rosmarino. Ci sono poi quelle note particolari che, seppur ancora giovani e tendenzialmente fruttate (è un 2017), ricordano gli idrocarburi (note tipiche del Riesling). Infatti il Kerner è un vitigno ottenuto dall’incrocio di due specie molto diffuse; il Riesling renano (proveniente dalla Germania) e la Schiava (Trollinger) tipica del Trentino. In bocca è scorrevole, fresco, minerale. Al floreale si aggiungono aromi di mela ma ci trovo anche dell’ananas. Ha una bella sapidità e struttura. Il nome del vitigno Kerner è stato dato da August Herold quando ha creato l’incrocio nel 1929. È un omaggio al medico e poeta Justinus Kerner che aveva scritto poesie sul vino. Kerner è però famoso per altre due cose: essere stato l’inventore della Kleksografia, l’arte di produrre una immagine piegando un foglio con macchie di inchiostro, tecnica poi usata in psicologia da Hermann Rorschach nei suoi test diagnostici (vedi link); l’altro motivo è uno dei suoi tanti scritti, quello dedicato alla veggente di Prevorst, una giovane ragazza che ha ospitato e studiato, la quale aveva capacità chiaroveggenti e medianiche (alla fine Kerner raccolse numerose prove di veridicità sulle capacità della ragazza). Ora, sul vino, verrebbe facile di trovarci qualcosa di magico, ma preferisco rimanere sui dati oggettivi. Un nome non cambia la sostanza e questo vino ne ha abbastanza per non demandare ad altro la sua bontà. Alla freschezza che lo rende perfetto per un aperitivo, si aggiunge una buona persistenza aromatica ed una piacevole sensazione succosa che ricorda la mela appena masticata. L’ho degustato con piacere accompagnandolo ad un’orata al forno con patate. Ne stapparei un’altra bottiglia e questa è la prova definitiva di veridicità.

Luca Gonzato

Barbaresco 2010 x 2020

L’attesa è finita, il decennio è passato. Benvenuto Alivio! Il Barbaresco riserva 2010 di Rocche dei Barbari che tenevo in serbo da anni. Benvenuto nel calice e sulle papille gustative! Sei pronto ed elegante per questa serata unica. Porti con te profumi di fiori passiti, cacao, cuoio, goudron, liquirizia. È la compostezza e l’eleganza a contraddistinguerti. Hai un vestito su misura ed un corpo vigoroso con tannini che sono un tutt’uno con la tua calda morbidezza alcolica del 13,5%. Al gusto offri frutti macerati di ciliegie e mirtilli e mentre ti assaporo lungamente mi rendo conto che sei un grande equilibrista. Hai attraversato tutta la distanza della degustazione senza un minimo indugio, con grazia, sei arrivato in fondo lasciandoti dietro un ricordo aromatico di frutti in confettura e una leggera astringenza sulle gengive che sembra sollecitarmi un nuovo boccone e un nuovo sorso. Spettacolo, fuochi d’artificio sul palato. L’attesa è stata ripagata alla grande.

Buon 2020, almeno quanto questo Nebbiolo di Barbaresco.

Luca Gonzato

Leclisse, metodo Paltrinieri

Un piccolo capolavoro d’arte enologica.

Si può notare la finezza che ricorda la tempera ad olio su tela. I toni caldi del rosa antico che sfumano in un’orizzonte ramato. In primo piano, spiccano i piccoli frutti rossi, le fragoline, il ribes rosso, una ciliegia ancora acerba, croccante. Appoggiano su una lastra di pietra bagnata dall’acqua marina, sapida. Scorre sullo sfondo, in ruscelli, nella salivazione indotta dalla fresca acidità. Un contorno luminoso e caldo sbuca dietro un’acino scuro. È Leclisse di Paltrinieri, una bellissima espressione del Lambrusco di Sorbara.

A parte la diversa lettura di ciò che ho appena assaggiato, voglio dire che questo vino, oltre ad essermi piaciuto parecchio, ha contribuito ad abbattere certi miei pregiudizi sui vini frizzanti e sul Lambrusco. In questo caso è sì un vino frizzante, ma se non ve lo dicesse nessuno, potreste facilmente confonderlo con uno spumante rosé, magari francese. C’è Lambrusco e Lambrusco, questo è di Sorbara ed è una sua caratteristica la finezza. Consiglio di provarlo perchè è un vino in grado di stupire per la sua piacevolezza e perchè ha un ottimo rapporto qualità/prezzo. Felice d’aver inaugurato le festività con Leclisse di Paltrinieri.

Luca Gonzato

Denominazioni nordeuropee

Sono 1605 i vini a Denominazione d’Origine Protetta in Europa. L’ultima DOP iscritta è del 19 novembre 2019, viene dall’Olanda, si chiama Ambt Delden, una località al centro della provincia di Overijssel, abbastanza vicina al confine con la Germania. Sono già 17 le Dop registrate dai Paesi Bassi, di cui una insieme al Belgio che a sua volta ne ha 10. Non immaginavo così tante denominazioni 🤔 “non è troppo a nord l’Olanda per la vite?”, “freddo e umidità non fanno marcire o non maturare abbastanza le uve?”, forse un tempo era così ma vedendo le varietà registrate capisco che si tratta di viti ‘resistenti’, non i soliti Cabernet, Merlot e Chardonnay. Queste ‘nuove’ varietà sono ormai conosciute con il nome PIWI, dal tedesco pilzwiderstandfähig (significa viti resistenti ai funghi, cioè le malattie fungine della vite). Vitigni ‘superbio’ che combinano la resistenza alle malattie con l’adattamento a climi più rigidi e alla capacità di generare uve e vini di qualità.

I nomi delle varietà registrate nella DOP Ambt Delden sono: Regent, Pinotin, Johanniter, Souvignier Gris, Solaris. Guardando le Denominazioni registrate, l’Olanda non è l’unico paese che non mi aspettavo di trovare, la vite è coltivata ben più a nord, ci sono 5 DOP in Danimarca e 5 nel Regno Unito. È evidente che il cambiamento climatico sta cambiando anche la geografia del vino. Sarei curioso di assaggiare un vino Olandese e sfatare i miei preconcetti per poi trovarci qualcosa di sorprendente. Verrebbe da pensare che tutti questi vini del nord europa, che entrano in un mercato sempre più globale, portino via quote agli italiani, ma non è così. L’Italia si è confermata il più grande produttore di vino e siamo titolari del più alto numero di varietà autoctone (oltre 350). Varietà che sono un patrimonio enorme da far conoscere nel mondo. I vini nordeuropei, a mio parere, sono da vedersi come una naturale espansione delle zone vinicole e come un’opportunità in più, per il consumatore, di scoprire qualcosa di nuovo e diverso.

A questo LINK della Commissione Europea, puoi scoprire tutte le DOP registrate.

Luca Gonzato

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