Alt Scheidt 2017, un Riesling dalla Weinhaus Peter Lauer in Mosella (Germania). Spettacolo di vino per un aperitivo oppure per iniziare una cena che vedrà salire pari passo la struttura del cibo con quella del vino.
Leggero e di gran classe. All’olfatto sono già evidenti i precursori aromatici di idrocarburi e polvere da sparo, è un 2017 e si potrebbe (bisognerebbe) aspettare qualche anno di evoluzione ma già adesso ha tanto da raccontare.
Il primo sorso regala un bel mix di mineralità sapida insieme ad aromi fruttati freschi di susine, agrumi come mandarino e pompelmo, frutti esotici, litchi. Con il suo 10,5% di volume alcolico risulta particolarmente piacevole da bere e non stanca, gli aromi sono in giusta misura. Bel Riesling che consiglio di assaggiare, il prezzo è sui 15€.
Merlot 2011 Kabaj. Grande espressione di eleganza in questo rosso da uve di Merlot macerate per 30 giorni ed affinate per quattro anni in barrique. Il ventaglio olfattivo è davvero ricco, dai sentori balsamici ai frutti in confettura di ciliegia e prugna. Fanno capolino note di cacao e liquirizia.
La morbidezza e rotondità si apprezza grazie ad una bella base acida e a tannini evoluti. A colpire è però l’equilibrio e l’armonia che lo rendono unico. Un Merlot Sloveno che può stare a testa alta a fianco di un merlot di Pomerol. Più che ad un abbinamento con il cibo penso a qualcosa che possa accompagnarlo senza aggiungere o togliere niente, lui è già ottimo così. Dei grissini torinesi possono bastare ma se la fame è tanta sfiderei una fiorentina.
Interessante vino ottenuto da un vitigno che non conoscevo, l’Uva della Cascina. Antico vitigno autoctono della valle Staffora in Oltrepò Pavese. È stato recuperato grazie al Professor Attilio Scienza dell’Università di Milano. All’Azienda Agricola Montelio il merito d’averlo messo a dimora nelle sue vigne e vinificato. Il nome La Gaina significa ‘la gallina’ in dialetto lombardo ma potrebbe anche voler dire ‘la sbornia’, essere ‘in gaina’ cioè brilli (a ricordare l’andamento incerto delle galline), ma la gallina in etichetta è quasi certamente legata al pollame che da sempre popola le aie dei poderi agricoli, più che all’eccesso dell’inebriante nettare. Ha comunque il 13,5% di volume alcolico.
Veniamo alle caratteristiche: il colore ha toni rubini intensi ed una consistenza quasi impenetrabile. I profumi vanno dal vinoso ai piccoli frutti neri di more, ribes, poi la prugna. Evidente una vena speziata e qualcosa che rimanda all’inchiostro. In bocca domina un frutto selvatico con nota amarotica e speziata. Gli aromi sono persistenti in un finale piacevolmente amarotico. I tannini ci sono ma sono in secondo piano rispetto all’acidità che caratterizza questa ‘gaina’. Sicuramente ha una personalità unica che la rende facilmente abbinabile a piatti con tendenza dolce, penso ad esempio a carni in agrodolce, risotto alla zucca o più semplicemente ai salumi tipici della zona dove la grassezza richiede un vino con buona acidità.
La storia di Montelio arriva da molto lontano, è da metà del 1200 che in questo podere, chiamato ‘grangia’ poiché forniva il sostentamento al Monastero di San Senatore, viene coltivata l’uva. La svolta produttiva è però arrivata intorno alla metà dell’800 con l’acquisto dei terreni da parte dell’Ing. Angelo Domenico Mazza che diede inizio alla produzione di vini a marchio Montelio. Ad oggi sono 30 gli ettari vitati con varietà sia bianche che rosse. Il comune è quello di Codevilla in provincia di Pavia.
Tornando al vino degustato, sono pienamente soddisfatto e felice d’aver scoperto l’Uva della cascina. Comunque più che una gallina mi ricorda un gallo, di quelli piccoli e impettiti che cantano a squarciagola e non hanno paura di confrontarsi con gli altri galli, anche quelli belli grossi tipo ‘Cabernet’. Da scoprire.
Con il ritorno del caldo ci voleva proprio un bianco di quelli che, come lame ghiacciate, ti rinfrescano il palato e lo spirito. La scelta è andata su un valdostano da uve autoctone di Petite Arvine. Un vitigno che amo particolarmente per la personalità unica che trasmette. Immagina un vino bianco, la montagna, l’aria pulita, i fiori in primavera e il fresco delle sere d’estate sopra i 1000 metri. Racconta molto di questa regione e della viticoltura eroica che la caratterizza. Il Petite Arvine è un vitigno che si adatta particolarmente bene al clima freddo di questa zona montuosa e che riesce a trasferire nel vino quella mineralità che sembra ricordare le pietre bagnate dai torrenti che scendono verso valle.
Nel caso di Grosjean, ci troviamo in zona Quart (AO), nel vigneto Rovettaz, collocato a 550 m di altitudine con esposizione a sud. I suoli sono sabbiosi e calcarei. Nel calice si presenta brillante e profumato di fiori bianchi con sentori fragranti di frutti tropicali delicati ed agrumi. L’ingresso è fresco e minerale. Gli aromi fragranti persistono in bocca, una leggera sapidità accompagna un sorso sempre piacevole ed elegante. Apparentemente risulta ‘leggero’ e grazie alla sua acidità si beve con facilità, ma non lasciatevi ingannare perché è comunque un vino di corpo, con il 13,5% di volume alcolico. Il 30% di questo vino affina in barrique per 6 mesi e questo contribuisce al corpo oltre che a smussare gli angoli e donargli un eco di morbidezza burrosa. Idealmente è da servire freddo per apprezzare le sue doti fragranti, perfetto come aperitivo ma lo vedrei bene anche con un risotto ai formaggi. Il costo è leggermente sopra la media (sui 18/20€) ma giustificato dalle ‘fatiche’ della viticoltura nei pendii valdostani. Da provare.
Cannonau di Sardegna “Vintage” della Società Cooperativa Vitivinicola Jerzu. In realtà la cooperativa ora si chiama “Antichi Poderi di Jerzu”. Come zona ci troviamo in Ogliastra nella provincia di Nuoro. Il comune di Jerzu è posto a circa 500m d’altitudine, le vigne si trovano nei fondovalle su suoli di origine alluvionale. Il mare è a soli 20 km.
Jerzu è una delle sottozone più vocate del Cannonau Doc, insieme a Capo Ferrato e Oliena. Questa bottiglia mi è stata regalata e non riporta l’annata né in etichetta, né in fascetta. Confrontandola con quelle viste online posso ipotizzare che sia dei primi anni 70. Il tappo è integro ed esce con facilità, non ci sono odori strani e dopo averne versato un calice lo lascio arieggiare una buona mezz’ora.
Il colore è intenso, rosso rubino-granato. Limpido, con bei riflessi di luce, forse è più giovane di quel che penso. A vederlo è in piena salute. Al naso è intenso con bei sentori di cacao, corteccia, humus, piccoli frutti sotto spirito. Qualche nota eterea, ma anche di carne macerata e speziata. Un bel vino da annusare a lungo. Più passa il tempo e più si apre liberando profumi di macchia mediterranea, erbe aromatiche e bacche nere. All’assaggio conferma la parte olfattiva, ingresso rotondo ed avvolgente, si aggiungono profumi che ricordano il catrame, le prugne nere appassite e le viole. Il tannino è vellutato, l’acidità lo sostiene ancora bene. Percepibile la nota alcolica del 13,5%. Wow, ad ogni sorso arriva qualcosa di nuovo, legni antichi, sandalo, vaniglia. Mi rendo conto d’aver espresso fin troppe direzioni aromatiche ma vi assicuro che è raro avere sotto il naso un vino che si apre con un ventaglio aromatico così ampio. Interessante anche come si allunga, dal frutto alle note evolutive, chiudendo su sentori di cacao e amarene sotto spirito. Chiudo gli occhi e immagino di stare sotto un portico in Ogliastra, con Il sole che cala e il porceddu che gira lento sullo spiedo. Non chiederei altro. Riapro gli occhi e il colore del cielo ricorda le divise dell’esercito italiano nella prima guerra mondiale, è Milano. Il profumo che arriva è quello della pizzeria egiziana e i suoni che sento sono quelli di macchine e tram. Mi consolo con un altro calice…
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