Con il ritorno del caldo ci voleva proprio un bianco di quelli che, come lame ghiacciate, ti rinfrescano il palato e lo spirito. La scelta è andata su un valdostano da uve autoctone di Petite Arvine. Un vitigno che amo particolarmente per la personalità unica che trasmette. Immagina un vino bianco, la montagna, l’aria pulita, i fiori in primavera e il fresco delle sere d’estate sopra i 1000 metri. Racconta molto di questa regione e della viticoltura eroica che la caratterizza. Il Petite Arvine è un vitigno che si adatta particolarmente bene al clima freddo di questa zona montuosa e che riesce a trasferire nel vino quella mineralità che sembra ricordare le pietre bagnate dai torrenti che scendono verso valle.
Nel caso di Grosjean, ci troviamo in zona Quart (AO), nel vigneto Rovettaz, collocato a 550 m di altitudine con esposizione a sud. I suoli sono sabbiosi e calcarei. Nel calice si presenta brillante e profumato di fiori bianchi con sentori fragranti di frutti tropicali delicati ed agrumi. L’ingresso è fresco e minerale. Gli aromi fragranti persistono in bocca, una leggera sapidità accompagna un sorso sempre piacevole ed elegante. Apparentemente risulta ‘leggero’ e grazie alla sua acidità si beve con facilità, ma non lasciatevi ingannare perché è comunque un vino di corpo, con il 13,5% di volume alcolico. Il 30% di questo vino affina in barrique per 6 mesi e questo contribuisce al corpo oltre che a smussare gli angoli e donargli un eco di morbidezza burrosa. Idealmente è da servire freddo per apprezzare le sue doti fragranti, perfetto come aperitivo ma lo vedrei bene anche con un risotto ai formaggi. Il costo è leggermente sopra la media (sui 18/20€) ma giustificato dalle ‘fatiche’ della viticoltura nei pendii valdostani. Da provare.
Cannonau di Sardegna “Vintage” della Società Cooperativa Vitivinicola Jerzu. In realtà la cooperativa ora si chiama “Antichi Poderi di Jerzu”. Come zona ci troviamo in Ogliastra nella provincia di Nuoro. Il comune di Jerzu è posto a circa 500m d’altitudine, le vigne si trovano nei fondovalle su suoli di origine alluvionale. Il mare è a soli 20 km.
Jerzu è una delle sottozone più vocate del Cannonau Doc, insieme a Capo Ferrato e Oliena. Questa bottiglia mi è stata regalata e non riporta l’annata né in etichetta, né in fascetta. Confrontandola con quelle viste online posso ipotizzare che sia dei primi anni 70. Il tappo è integro ed esce con facilità, non ci sono odori strani e dopo averne versato un calice lo lascio arieggiare una buona mezz’ora.
Il colore è intenso, rosso rubino-granato. Limpido, con bei riflessi di luce, forse è più giovane di quel che penso. A vederlo è in piena salute. Al naso è intenso con bei sentori di cacao, corteccia, humus, piccoli frutti sotto spirito. Qualche nota eterea, ma anche di carne macerata e speziata. Un bel vino da annusare a lungo. Più passa il tempo e più si apre liberando profumi di macchia mediterranea, erbe aromatiche e bacche nere. All’assaggio conferma la parte olfattiva, ingresso rotondo ed avvolgente, si aggiungono profumi che ricordano il catrame, le prugne nere appassite e le viole. Il tannino è vellutato, l’acidità lo sostiene ancora bene. Percepibile la nota alcolica del 13,5%. Wow, ad ogni sorso arriva qualcosa di nuovo, legni antichi, sandalo, vaniglia. Mi rendo conto d’aver espresso fin troppe direzioni aromatiche ma vi assicuro che è raro avere sotto il naso un vino che si apre con un ventaglio aromatico così ampio. Interessante anche come si allunga, dal frutto alle note evolutive, chiudendo su sentori di cacao e amarene sotto spirito. Chiudo gli occhi e immagino di stare sotto un portico in Ogliastra, con Il sole che cala e il porceddu che gira lento sullo spiedo. Non chiederei altro. Riapro gli occhi e il colore del cielo ricorda le divise dell’esercito italiano nella prima guerra mondiale, è Milano. Il profumo che arriva è quello della pizzeria egiziana e i suoni che sento sono quelli di macchine e tram. Mi consolo con un altro calice…
L’ultima tappa del mio Wine Summer Tour 2019 è nella Valle del Rodano, poco sopra Avignone, in un comune il cui solo nome evoca grandi vini, Châteauneuf du Pape. Regno del vitigno Grenache (da noi lo chiameremmo Cannonau, in Spagna Garnaccia), che insieme ad altre varietà dà origine a vini di grande personalità.
Vista dalla piazza nel parte bassa del paese
il Castello
Viste del centro storico
Viste del centro storico
Viste del centro storico e della Chiesa
Una rivendita di vini
La cittadina, con il suo castello, è stata residenza estiva dei Papi di Avignone. Del Castello, che si trova in cima alla collina, ne è rimasta intatta solo una facciata. Da lì si può vedere il Rodano che scorre placido nella vallata, a nord il panorama è una distesa di vigneti.
In fondo, il Rodano visto dal Castello di Châteuneuf du Pape
Il ponte sul Rodano arrivando da Roquemaure
Il Rodano
Punto d’attracco sul Rodano
Vista a nord dei vigneti
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Vigneti nella denominazione Châteuneuf du Pape
Salendo al Castello si può visitare la bella cantina sotterranea di Verger Des Papes, oltre 200mq scavati nella roccia e una cinquantina di etichette di varie annate che si possono acquistare. In uno degli anfratti c’è una piccola saletta con gabbie metalliche, etichettate con i nomi dei proprietari, in cui sono custodite bottiglie d’epoca. La visita è gratuita.
Il paese si percorre facilmente a piedi, c’è solo l’imbarazzo della scelta sulla cantina dove fermarsi a degustare. All’ufficio del turismo è disponibile una mappa dei vignerons, sia in paese che in tutta l’area della denominazione.
In visita alla cantina Moulin-Tacussel ho degustato come primo vino uno Châteauneuf du Pape Blanc 2018 composto da Grenache blanc 40%, Roussanne 30%, Clairette 10%, Bourbulenc 10%, Picpoul 5% e Picardan 5%. Vinificato in acciaio. Un bianco prodotto in sole 1500 bottiglie che faccio fatica a decifrare in quanto ero già settato per assaggiare i rossi e questo è stato una sorpresa. Una bella sorpresa, visto che mi è piaciuto per la complessità aromatica. Mi ha ricordato un viticoltore del Collio che raccontava della tradizione di vinificare insieme le uve bianche delle proprie vigne nelle quantità che avevano disponibili. Il secondo vino è un Châteauneuf du Pape rosso del 2015, l’uvaggio è di Grenache noir 70%, Mourveèdre 10%, Syrah 10% e il restante suddiviso tra Cinsault, Counoise, Muscardin e Vaccarèse. Vino affinato in barrique seminuove. Un rosso importante con ancora belle note fragranti e note di tostatura. Il terzo vino è l’Hommage à Henry Tacussel, lo Châteauneuf du Pape dedicato al fondatore, è un Grenache al 100% dalle vigne storiche nelle migliori parcelle. Armonico e completo, affina in barrique per un anno. Un gran vino di cui riparlerò in un prossimo articolo dedicato.
La seconda fermata d’assaggio l’ho fatta in una piccola Cave sulla strada principale. Nel calice un Lacoste-Trintignant, Cuvée des Jeune Filles 2016, Grenache 100%, molto intenso nella parte aromatica e di gran corpo, forse pecca un pochino in finezza. Per la cifra a cui viene venduto (oltre 60€) mi aspettavo qualcosa di più armonico. L’altro vino, la Reserve Cardinalys era invece eccellente, però guardando il listino ho notato che costava oltre 90€. A quel punto ho guardato meglio e nessuno dei vini era venduto sotto i 50€. Di solito acquisto almeno una bottiglia se faccio una degustazione gratuita ma in questo caso ho preferito alzarmi, ringraziare e uscire.
Poi, per grazia, sono finito al punto vendita del Domaine Père Caboche. Qui ho trovato una gentilissima signora che mi ha fatto conoscere i loro vini partendo da uno Châteauneuf du Pape rosso nelle annate 2016 e 2017 con uvaggio di Grenache 70%, Syrah 15% e Mourvèdre 5%. Aromi di frutti di bosco, spezie e un tannino integrato. Bel vino che ho preferito nell’annata 2017. Anche per l’altro vino propostomi, nelle annate ’16 e ’17, lo Châteauneuf du Pape Elisabeth Chambellan, ho preferito il 2017. In questo secondo, l’uvaggio è diverso, 13 i vitigni usati. La parte del leone la fa ovviamente la Grenache con l’88%, poi un 10% di Syrah e infine gli altri (Mourvèdre, Cinsault, Clairette, Vaccarèse, Bourboulenc, Roussanne, Grenache Blanc, Counoise, Muscardin, Grenache gris e Terret noir). Un vino generoso, con sentori di confettura e fiori passiti, toni di cuoio e legni pregiati. Profondo, lungo. In questa cantina ho potuto acquistare un paio di bottiglie a cifre ragionevoli sui 25/30€.
In conclusione, Châteauneuf du Pape vale una sosta sia per la visita al castello da cui si può godere del panorama, sia per qualche assaggio e acquisto. Avendo più tempo sarebbe sicuramente interessante visitare e degustare nelle cantine fuori dal centro abitato e poi spostarsi verso nord seguendo il corso del Rodano. Ci vorrebbe una vacanza intera solo per questa zona e non mezza giornata come è successo a me.
Quella della bottiglia è un’evoluzione che ha accompagnato la storia del mondo. Dall’anfora georgiana di 8000 anni fa al vetro arrivato a noi attraverso i fenici e diffusosi in tutto l’impero romano. L’invenzione della bottiglia in vetro, per contenere il vino, avvenne in Inghilterra nel 1652 per merito di Sir Kenelm Digby. Le prime bottiglie erano di forma sferica, tozze e con un collo più o meno lungo. Ci vorrà quasi un’altro secolo per arrivare alla bottiglia dalla tipica forma slanciata che conosciamo oggi.
Le Bottiglie si sono evolute in forme, spessori e colori diversi, in base al tipo di vino che avrebbero dovuto contenere. Ad esempio la forma bordolese è specifica per trattenere, prima dell’ingresso del vino nel collo della bottiglia, durante la mescita, i residui di affinamento decaduti sul fondo. Più slanciata la borgognotta dove tipicamente, il Pinot noir e lo Chardonnay hanno meno problemi di residui. L’alsaziana diventa più slanciata così come la renana, entrambe dedicate a vini bianchi e limpidi della valle del Reno.
Esempi di bottiglie, da sinistra: Bordolese ‘cubana’, Bordolese ‘piccola’ o ‘stretta’, Renana, Alsaziana, Borgognotta trasparente, bottiglia del Consorzio dei vini del Collio
Ci sono poi bottiglie dove prevale l’aspetto estetico, che hanno dato una forte personalità e riconoscibilità al vino contenuto, penso all’anfora del Verdicchio o la pulcianella che ha reso famoso il Mateus portoghese e l’Armagnac francese. In Italia abbiamo avuto il fiasco toscano a rendere esportabili e famosi i vini toscani. Qui però era una questione di salvaguardia durante il trasporto sui carri.
Le tre bottiglie più diffuse e l’indicazione delle parti che compongono una bottiglia.
Le forme di bottiglia più diffuse sono le bordolesi, le borgognotte e le champagnotte. In Italia meritano una menzione la piemontese albeisa, simile alla borgognotta e la recente bottiglia dal collo stretto adottata dal Consorzio del Collio. Le bottiglie per champagne/spumanti hanno un vetro più spesso per resistere alla pressione interna che può superare le 6 atmosfere (la stessa pressione di uno pneumatico da camion).
Le bottiglie brevettate di Villa Sparina, Travaglini e Ferghettina
I vini giovani, da consumare nell’annata, come ad esempio i rosé o alcuni bianchi, sono spesso presentati in bottiglie trasparenti per mostrare la bellezza del colore del vino. Di solito i vetri sono di colore scuro, in tonalità che vanno dal verde al marrone, per proteggere il vino dalla luce. Ci sono poi casi particolari, come il famoso Champagne Crystal, dove viene usato un vetro trasparente ricoperto all’esterno, da una pellicola che scherma la luce. Oppure le bottiglie brevettate da singole cantine, che hanno reso riconoscibili e famosi i propri vini, ad esempio quella di Villa Sparina per il suo Gavi, Travaglini per i suoi Nebbioli oppure quella dello spumante Ferghettina.
Per quanto riguarda la dimensione e la quantità di vino che possono contenere le bottiglie, i francesi hanno creato degli specifici formati, multipli della bottiglia da 0,75 l. Prendendo in analisi le bottiglie di Bordeaux, Borgogna e Champagne, a parte il ‘quartino’ e la ‘mezza’, si passa dalla bottiglia alle successive: Magnum di 1,5l (corrisponde a 2 bottiglie); Jeroboam 3l (4 bott.), a Bordeaux la 3l è chiamata Double magnum mentre la Jeroboam bordolese è di 4,5l; la Réhoboam di 4,5l (6 bott.); la Mathusalem di 6l (8 bott.), a Bordeaux viene chiamata Impériale, la Salmanazar di 9l (12 bott.), non presente a Bordeaux; la Balthazar da 12l (16 bott); la Nabuchodonosor da 15l (20 bott.); la Salomon da 18l (24 bott), chiamata Melchior a Bordeaux. In Champagne sono presenti anche il formato Souverain da 26,25l (35 bott.); il Primat da 27l (36 bott.) e il Melchisédech da 30l (40 bott).
Il significato dei nomi delle bottiglie:
Jéroboam: Da Geroboamo, nome del primo Re del regno di Israele, separato da quello di Giuda dopo la morte di re Salomone (difese il suo regno da Roboamo).
Réhoboam: Da Roboamo, figlio di Salomone, primo Re di Giuda quando alla morte del re Salomone il Regno di Giuda e Israele si divise in due regni rivali.
Mathusalem: uno dei patriarchi citati nella Genesi, celebre per la sua longevità che nella Bibbia ammonta a 969 anni.
Salmanazar: Da Salmanàssar, nome di cinque Re Assiri. Salmanàssar I (1273-1274 A.c.) conquistò l’Armenia e la Mesopotamia settentrionale e fondò la città di Kalkhu (Nimrud).
Balthazar: l’origine del nome è incerta ma si ritiene che derivi dal nome di uno dei Re Magi, Baldassarre (anche se nella bibbia non vi sono riferimenti). Probabile invece che il riferimento sia all’ebraico Belsha’ṣṣar che nella Bibbia è citato come re di Babilonia, figlio di Nabucodonosor.
Nabuchodonosor: Deve il nome a Nabucodonosor II, re babilonese che regnò tra il 604A.c. e il 562 A.c., valoroso generale che conquistò Gerusalemme. Al suo regno risalgono le fortificazioni di Babilonia e la ziqqurat (torre di Babele). Alla sua storia si ispirò Verdi con l’opera del Nabucco.
Melchior: Deriva dall’ebraico Melki’or e significa ‘il mio re è luce’. Il nome è un riferimento ad uno dei tre Re Magi, Melchiorre.
Salomon: Da Salomone, Re d’Israele, figlio e successore di Re David. A lui si deve la costruzione del tempio di Gerusalemme.
Souverain: Il ‘sovrano’ nome dato dalla maison di Champagne Taittinger che realizzò questo formato di bottiglia per il battesimo della nave più grande al mondo (al momento della costruzione e per tonnellaggio), la “Sovereign of the sea”, il 16 gennaio 1988.
Primat: Questo nome deriva dal latino gallo-romano ‘primate’, primato, di prim’ordine. La bottiglia è stata inventata nel 1999 dalla maison di Champagne Drappier, celebra le origini gallo-romane della prima vigna piantata ad Urville. Stando alle informazioni del sito di Drappier, hanno l’esclusiva di questo formato.
Melchisédec: Nella Bibbia, re cananeo di Salem, probabilmente Gerusalemme. Offrì pane e vino ad Abramo e lo benedisse.
La Melchisédech, che corrisponde a 40 bottiglie normali è la bottiglia più grande prodotta in serie. Ma la più grande in assoluto al mondo (guinnessworldrecords), misura un’altezza di 4,17 m e 1,21 m di diametro, riempita con 3.094 litri di vino. È stata realizzata da André Vogel in Lyssach, Svizzera, il 20 ottobre 2014. Tutte le bottiglie che ho in cantina non basterebbero a riempirne una così, ne servirebbero 4125.
Villa Donoratico 2016, Bolgheri, Tenuta Argentiera.
Rosso toscano composto da uve di Cabernet sauvignon 50%, Merlot 30%, Cabernet franc 15%, Petit verdot 5%.
Tenebroso e compatto nel calice regala profumi intensi di more e ciliegie, viole, cuoio. Entra fresco in bocca, con frutti maturi al punto giusto, si allunga come polpa di ciliegia che si scioglie lentamente in bocca affiancato da note morbide di legno, nel finale una nota vegetale e una chiusura di liquirizia.
Equilibrato e vellutato nei tannini. Fa un anno di barrique, in perfetto stile bordolese. Questo Bolgheri si dimostra generoso ed appagante.
La Tenuta Argentiera, che deve il nome alle antiche miniere d’argento, si trova a Donoratico (LI), da lì non si vede la Garonne ma il mar Tirreno, decisamente più bello. A parte la battuta, è un bel esempio di eccellenza vinicola italiana. Il costo è corretto, poco meno di 20€.
L’abbinamento con il cibo andrebbe alle carni, penso ad una tagliata al rosmarino oppure ad un grosso hamburger di manzo ma sognerei di provarlo con un’anguilla stufata nel vino rosso a ricordare la ‘Lamproie à la bordelaise’.
Luca Gonzato
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