Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

Via Bonghi 12 Milano. Tram 3 e 15 - Bus 90/91 - Metro più vicina Romolo (più 10 minuti a piedi o Bus)

Leuchtenberg 2017, Kaltern

Quando di un vino si stappa la seconda bottiglia c’è sicuramente qualcosa di molto piacevole dentro. È così per questo Leuchtenberg, vino ottenuto dalla Schiava (vitigno tipico dell’Alto Adige), della cantina sociale di Caldaro. L’annata è la 2017 e il costo non arriva ai 10€. Adoro la Schiava di Kaltern Kellerei (in tedesco), con i suoi sentori fragranti di frutti di bosco e quella sensazione tipica dei vini che fanno un passaggio in cemento o in anfora. Non riesco bene a descriverla ma ricorda sentori balsamico/mentolati che rendono il vino ‘ampio’ nella percezione gustativa e allo stesso tempo mantengono freschi i profumi floreali e fruttati. A proposito di floreale, questo vino rimanda anche ai profumi della rosa rossa e sul frutto mi ricorda le ciliegie mangiate sull’albero da bambino, non tanto per il sapore in sé quanto per il ricordo di frutta fresca, appena colta, il sole e l’aria pulita come scenario. È al gusto che si dimostra fantastica, schietta e facile come un’esclamazione che non porta con sé fraintendimenti. Buona!. È facilmente abbinabile sia a salumi tipici come lo speck piuttosto che a un piatto a base di pasta o a un formaggio mediamente stagionato. Quello che voglio dire è che la Schiava, e questo Leuchtenberg in particolare, possono facilmente accompagnare una serata estiva dall’aperitivo al secondo piatto con grande adattabilità. Da servire fresca. Il volume alcolico è del 13%, non ‘stronca’ in due calici, potete concedervi il terzo e il quarto. L’acidità che rende così bevibile questo vino è tipica nei vini del nord italia e si apprezza solitamente nei bianchi. Se vi piace questa caratteristica abbinata alle qualità  dei rossi, allora dovete provarla. Vabbé basta con la sviolinata, a me piace un sacco, non c’è altro da dire.

Luca Gonzato

MiVino 2019

Alla mostra mercato dei vignaioli e dei vini biologici e naturali di Milano. Eccomi di nuovo nel grande spazio sociale Base in via Bergognone. Sono un centinaio gli espositori presenti. Si può degustare ed acquistare direttamente. Sono quasi tutti dei piccoli produttori che per la maggior parte non conosco. Questo aspetto è un vantaggio, mi consente di muovermi tra i banchi con la medesima curiosità.

Appena entrato cerco con gli occhi le bottiglie con gabbietta e i bianchi, giusto per iniziare con i vini più leggeri, ma a catturare la mia attenzione sono il sorriso e gli occhi chiari di Lina della cantina Cascina Bandiera. Leggo Derthona su una bottiglia e penso al vitigno Timorasso e alla zona del Tortonese. Si mi fermo. Lina mi propone una mini verticale di uno dei loro vini bianchi, il Sansebastiano. Non vuole dirmi il vitigno, provo a nominare i bianchi tipici piemontesi e lei sorride scuotendo la testa. Versa il primo vino, annata 2015. Si sentono note che via via diventeranno più evidenti e una notevole sapidità, ma qui siamo ancora a profumi giovani di limone e fieno. Poi la 2014 e la 2013, si sente il corpo che prende forma e gli aromi si intensificano. Mi ricorda anche il Timorasso per certe note minerali ma non lo è. Arriviamo alla 2007 e alla 2006 con Lina che mi spiega di quanto tempo abbiamo bisogno questi vini bianchi per esprimersi. Annuso, assaggio e cerco di ricordare cosa mi ricorda. C’è sempre un minimo di imbarazzo e paura di dire una grande fesseria di fronte a chi quel vino l’ha fatto, ma Lina è una persona che percepisci subito come ‘amica’ e quindi mi lascio andare dicendole che mi ricorda certi Chablis e a questo punto annuisce. In testa esclamo ‘cazzo è lo Chardonnay’ e le dico che è veramente buono, che di fronte alla banalità di tanti Chardonnay questo ha una personalità incredibile. Le ultime due annate sono strepitose, corpo, rotondità, frutto giallo maturo, miele e soprattutto questa vena sapida e minerale. Un bianco di grande complessità che nell’annata più lontana, la 2006, trova la sua migliore espressione. Sarà poi una delle tre bottiglie che acquisterò a fine giornata. A questo punto assaggio anche il Derthona 500 nelle annate 2016, 2015 e 2013. Grandi anche questi e allo stesso tempo bisognosi di lungo affinamento. Però c’è tutto, compresi quei bei sentori che riportano agli idrocarburi che sono tipici dei vini da uve Timorasso. Un vitigno riscoperto qualche anno fa e che tra gli appassionati è un cult. Se vi piace il Riesling renano ma non conoscete il Timorasso provatelo, purché abbia qualche anno sulle spalle di affinamento. Peccato che Cascina Bandiera produca solo 3000 bottiglie totali dei loro tre vini. Hanno anche un interessante Pinot Nero, il Castelvero. 

Bell’inizio, mi piace già questa fiera dove oltretutto, come Sommelier Ais, ho usufruito di uno degli ingressi gratuiti. Guardo intorno su quale banco spostarmi e individuo Eraclio, un amico assaggiatore Onav accompagnato a sua volta da due suoi amici e mi unisco a loro. È più divertente degustare in compagnia ed infatti la giornata passerà in un lampo tra un calice, un’osservazione tecnica e una risata.

Proviamo a dare un senso alla degustazione andando ad assaggiare gli Spumanti metodo classico di Colle San Giuseppe. Siamo in zona di Mompiano (BS), da cui prendono il nome queste bollicine. Testiamo con piacere il Brut (2 anni sui lieviti), il Pas Dosé (30 mesi) e la Riserva Pas Dosé (60 mesi). Pas Dosé significa che non ha residuo zuccherino, il più secco nella classificazione degli spumanti. Questi sono tutti ottenuti da uve Chardonnay e Pinot bianco, fermentate con lieviti autoctoni. Apprezziamo molto i Pas Dosé, affilati come lame e ricchi di aromi. Nella Riserva si percepisce una piacevole avvolgenza e morbidezza che si bilancia perfettamente con la punzecchiatura alla lingua delle bollicine. Gran bel  Franciacorta!, ops, non si può dire e nemmeno lo è, siamo fuori dall’area della denominazione ma in fondo molto vicini per quanto riguarda la qualità del risultato. Poi vedo la scritta Nebbiolo e rimango sbalordito, come? …mi raccontano del precedente proprietario che, amante dei nebbioli di Langa, aveva deciso di impiantarlo e così hanno continuato a produrlo. Al diavolo la sequenza assaggiamolo. Niente male, elegante e dai profumi puliti di piccoli frutti rossi, il tannino è ancora vivace in questa bottiglia del 2012, del resto il Nebbiolo è un vino che si apprezza sulla lunga distanza. 

Dalla Lombardia passiamo alla Calabria per assaggiare i vini di Cirò (Kr) della cantina Brigante. Tante belle espressioni del vitigno Gaglioppo. Ci cattura in primis il color rosa cerasuolo intenso e brillante del Manyari, tanta fragranza e intensità aromatica. Segue l’altro rosato, lo Zero, dal bel packaging in carta che avvolge la bottiglia. Zero perchè ha zero solfiti, zero lieviti selezionati e zero filtrazioni. Un vino vero, di sostanza, che però è anche bello da vedere e verrebbe voglia di portarlo a qualche cena milanese di fighetti che si presentano con lo ‘champagnino’ rosé da 300€. Pam, sul tavolo, un po’ come Chef Rubio quando si piazza a tavola nelle locande per camionisti. E se poi compare il sapientone di turno che alza il sopracciglio con sufficienza esclamando ’no io bevo solo rossi’, potresti sfoderare una bottiglia di 0727 Cirò Classico Superiore. Muti tutti perchè è davvero tanta roba. Quelle tartine anemiche del buffet dovrebbero sparire e lasciar posto a salamelle e costine alla brace. …bello il ricordo di questo vino ma mi mangio le dita per non essermi portato a casa una bottiglia.

Seguono vari assaggi che tralascio e arrivo alla cantina Terre di Gratia di Camporeale (PA), tra le migliori in assoluto di oggi. Tutti i suoi vini mi sono piaciuti. Dal Cataratto, fresco e fruttato, al Rosé Dama Rosa da uve Perricone che ci ha fatto immaginare abbinamenti con pesce crudo. Gran rosé che abbiamo apprezzato ancor di più per il fatto che poco prima ne avevamo assaggiato uno terribile al gusto solforosa (sarà solo quella cantina tra tutte a deludere, ma non vi dico quale era). Proviamo anche i rossi, un bel Syrah con sottili note speziate e un Nero d’Avola in cravatta da mettere su una tovaglia bianca ad accompagnare sottili fette di roast beef. C’è poi il Perricone in purezza (altro vino acquistato), tanto tanto buono ed unico come caratteristiche gusto-olfattive. Uno degli aromi ricorda il rabarbaro, quello delle caramelline quadrate che, non si sa come, hanno imperversato per anni in tutta la penisola. Su questo vino dico solo che lo metto sul podio dei rossi bevuti oggi. Ne parlerò prossimamente quando degusterò con calma la bottiglia acquistata (stay tuned). 

Altra interessante realtà scoperta è quella di Cà del Prete con i giovani e ‘un pochino folli’ ragazzi che si sono inventati un metodo classico a base Barbera. Cavoli, ti fa sorridere, ma non per la stravaganza, quanto per il risultato che è molto più che piacevole. C’è la bellezza del fruttato rosso fragrante tipico della Barbera associato all’anidride carbonica che lo esalta e alle note di pane sullo sfondo. Ottimo anche il rosato Malvé frizzante extra dry.

Gli ultimi assaggi li ho dedicati ai vini con residuo zuccherino. In particolare segnalo l’ottima Malvasia, sia secca che passita, di Fenech Francesco dell’Isola di Salina. Poi volevo assaggiare i Sauternes della cantina francese Chateau Pascaud ma c’era la fila e quindi mi sono spostato all’ultimo banchetto, quello di una cantina di Pantelleria. Gran scelta perchè vi ho trovato il Bagghiu, un gran Zibibbo passito, dagli spiccati aromi di albicocca e miele. La Cantina produttrice è quella di Antonio Gabriele… è così che la terza ed ultima bottiglia è finita nello zainetto. 

MiVino è stata una gran bella manifestazione che spero si ripeta l’anno prossimo. C’è sempre sete di vini sani e naturali come questi, poi la possibilità di conoscere tanti piccoli produttori con le loro perle vinicole non ha prezzo. Bravi agli organizzatori! Però la prossima volta non dimenticate di dare una sacchetta porta calice, perchè è comoda e utile per chi vuole scattare una foto o prendere un appunto senza avere il calice tra le mani.

Luca Gonzato

L’inconfondibile Bonarda dei Fratelli Agnes

Produttori di un inconfondibile Bonarda, questo il claim pubblicitario che presenta i vini dei Fratelli Agnes di Rovescala nell’Oltrepò Pavese. Ed è così, una Bonarda che nelle sue diverse versioni si esprime ai massimi livelli e in modo unico. Non so quanti amino la Bonarda ma posso dire che spesso non viene apprezzata abbastanza. Per non dire che tanti la snobbano a priori. Anche io avevo dei preconcetti fino a qualche anno fa. Accomunavo la Bonarda e la Croatina a vini rossi frizzanti ‘così così’, ricordavo quelli bevuti a caraffate nelle sagre estive lombarde o le bottiglie che metteva in tavola uno dei miei fratelli con grande orgoglio e che a me facevano c.. Spesso vini a basso costo ma anche di bassa qualità. Fortunatamente sono passati anni da quei ricordi e ho avuto modo di assaggiare Bonarde degne della loro storia millenaria, come quelle degli Agnes, che mi hanno fatto cambiare idea. Recentemente sono stato da loro in occasione di una master Ais e ho acquistato la bottiglia che vi presento. Sono una bella famiglia, appassionata ed orgogliosa del proprio lavoro. Ho anche imparato la differenza tra spollonatura e scacchiatura!… Tornando alla Bonarda, quella degli Agnes, che avevo già assaggiato in passato e che senza dubbio mi aveva fatto tornare ad amare questo vino è stata la Bonarda vivace Cresta dei Ghiffi, riconoscibile anche perchè spicca in etichetta una bellissima testa di gallo. Dovrebbe essere usata come testimonial per rappresentare l’essenza lombarda di un piatto di salumi nostrani accompagnati da un bicchiere di vino rosso. Poi ho nel cuore il Loghetto, un vino fermo che sembra un vino francese ma è 100% Oltrepò Pavese. 

Il vino che avevo acquistato e che assaggio oggi è la Bonarda Millennium 2015. Viene prodotta solo nelle annate migliori ed affina in botte grande per un anno. Già versandola se ne percepisce il corpo, è densa e scura. Emana sentori speziati, balsamici, di cioccolato. Frutti neri, more, mirtilli ma anche una bella ciliegia matura.

In bocca si sente il frutto e qualcosa di vegetale che mi ricorda il peperone verde, le erbe aromatiche, timo, rosmarino. Insomma ha una bella complessità. È calda con i suoi 15° di volume alcol ma ha comunque un bella spinta acida ed un tannino che lavora. Mi piace molto sentire come mantiene le caratteristiche tipiche di un frutto fragrante, accompagnate alle note morbide, terziarie, di affinamento in legno. Un’evoluzione che la accompagna senza schiacciarla. Ideale accompagnamento ad un piatto succulento a base di carne, ad esempio uno spezzatino. Se avete qualche pregiudizio sulla Bonarda dovete assaggiare quelle dei Fratelli Agnes e vi ricrederete. Meglio ancora se gli fate visita e le assaggiate godendovi la vista sulle vigne.

Luca Gonzato

Petelia 2016, Ceraudo

Nel lontano 2005 veniva lanciato Google Maps e da allora si potè localizzare qualunque località con un semplice clic. Così, di fronte a questa bottiglia, mi sono messo in viaggio percorrendo oltre 1000 km sullo schermo del mio iMac. Sono arrivato in Contrada Maremonti, sulla strada che scende verso il mar Ionio. Ho visto le vigne e la vicina Strongoli (Kr). Posso immaginare la brezza marina, il sole caldo, lo sferragliare del treno che passa vicino alla spiaggia. Un sorso di Petelia 2016 per confermare almeno un pochino quello che immagino. Il bouquet aromatico è ricco, di fiori bianchi, petali di rosa, pesca gialla, ananas, fieno, agrumi. Notevole la spalla acida e la sapidità. Lungo e teso si ammorbidisce giusto sul finale lasciando un bel ricordo di frutto giallo polposo. Guardo questo colore splendente nel calice che sembra dirmi ‘ho preso tanto sole vicino al mare’ poi guardo fuori dalla finestra e sembra autunno…. meglio tornare su Maps e immaginare viaggi estivi che a Milano il weekend sarà una chiavica… 

https://goo.gl/maps/wsWC767gVThmvQ6V6

L’Azienda Agricola di Roberto Ceraudo ottiene questa Petelia (Val di Neto IGT), dalle varietà Greco bianco 50% e Mantonico 50%. Si trova sui 12€. Petelia era il nome che in epoca romana identificava la città divenuta successivamente Strongoli. Sul collo della bottiglia è rappresentata, in rilievo sul vetro, una testa velata. Ipotizzo sia quella di Demetra. Era l’effigie riprodotta sulle monete di Petelia risalenti alla fine del IV secolo a.C.. ma magari non è così. Qualcuno ne sa qualcosa?

Buon weekend …almeno di vino.

Luca Gonzato

Il futuro del vino è PIWI?

Parlando di vini, PIWI è una parola che per molti suonerà come nuova, ma sono certo che entrerà presto nel lessico comune dei consumatori. Arriva dal tedesco ‘pilzwiderstandfähig’ e significa ‘viti resistenti ai funghi’. Per funghi si intendono le malattie che possono colpire la vite e che necessitano interventi di tipo biologico, ad esempio di rame e zolfo o con prodotti di sintesi in ambito convenzionale. Nei PIWI non è necessario nessun trattamento, ci troviamo quindi di fronte a dei vini ‘super-bio’ dove il rispetto del suolo e la produzione di un vino completamente naturale sono al più alto livello raggiunto. Sono oltre vent’anni che si sperimentano incroci di varietà per ottenere piante in grado di resistere alle malattie e allo stesso tempo capaci di produrre uve di qualità adatte alla vinificazione. Mentre in altri paesi Europei questi vitigni sono ammessi alla produzione da tempo (anche perché resistono in zone dal clima più freddo ed a altitudini più elevate), in Italia sono ancora poche le varietà ammesse nel registro nazionale delle uve e le regioni si muovono autonomamente nel concedere la possibilità di produzione. Da una parte c’è una spinta all’innovazione e dall’altra uno spirito conservativo volto a proteggere le varietà tipiche. I vini da uve PIWI sono il massimo del ‘naturale’ ma hanno anche nel loro dna il massimo dell’innovazione, tutto è stato sperimentato e selezionato al fine di ottenere risultati ottimali, compreso l’utilizzo di lieviti selezionati. L’aspetto interessante per il consumatore è la possibilità di avvicinarsi ad una nuova tipologia di vini assolutamente sani e percepire profumi e sapori diversi da quelli finora conosciuti. 

Nell’ambito della manifestazione Vinissimo 2019 svoltasi a Biassono (MB) ho avuto la possibilità di assaggiare numerosi vini Piwi, in particolare segnalo la bontà dei prodotti della Cantina Nove Lune di Alessandro Sala situata a Cenate Sopra (BG). Alessandro è il punto di riferimento della zona, sia come Presidente dell’associazione Piwi Lombardia che come esperto conoscitore dell’argomento. I suoi vini sono lo specchio di una personalità poliedrica attenta all’innovazione e al cambiamento climatico.  Heh, è un vino frizzante col fondo, dalla varietà Piwi probabilmente più conosciuta, la Solaris. Ha sentori di frutta fresca come mela e pesca, fresco e leggero si fa bere con grandissima facilità. Un vino che che nelle calde giornate estive può tranquillamente sostituire la classica birretta rinfrescante. 310 è invece un bianco fermo composto dalle varietà Solaris 40%, Bronner 30% e Johanniter 30%, qui prevalgono note floreali di sambuco e biancospino e fruttate più intense. Rukh è un Orange wine, macerato ed affinato in anfora. Le varietà utilizzate sono Bronner 50% e Johanniter 50%. In questo vino fanno breccia i profumi di piccoli frutti di bosco e agrumati. L’ultimo assaggio è stato del vino passito Theia, ‘tanta roba’, davvero un caleidoscopio di profumi che vanno dall’albicocca ai frutti disidratati, il miele, l’incenso. Lunghissimo nella persistenza, si adatta sia ad accompagnare i dolci che ad esempio i formaggi erborinati. Io però ne consiglierei la degustazione da solo, possibilmente in compagnia di una persona che amate. Le varietà Piwi utilizzate in questo passito sono: Helios 40%, Solaris 40%, Bronner 20%.

Altra bella realtà è quella della cantina Ceste di Govone (CN), che oltre a produrre le tipiche varietà piemontesi ha impiantato mezzo ettaro di varietà Piwi da cui ottiene un grande vino che ricorda i migliori Riesling Renani. Il suo Ratio, da uve Bronner e Johanniter (incrocio di Riesling con altre varietà), è stato premiato agli International Piwi Wine Award con l’Oro nel 2018 e l’argento nel 2016. Grande freschezza e piacevolezza gustativa nel  2018, aromi di campo, pesca gialla. Nel 2016 si aggiungono i sentori tipici del Riesling in evoluzione a ricordare gli idrocarburi. Entrambi colpiscono per la grande eleganza che esprimono in bocca. Un vino dal rapporto qualità/prezzo eccellente. Interessante anche la vinificazione del Solaris in Spumante che ha fatto Filanda de Boron di Tiene di Trento (TN) nel loro Lauro extra dry. Una bella e ricca bollicina. Buono anche il loro bianco Dedit affinato in botti d’acacia dove le note di frutta gialla matura vanno a braccetto con i lievi sentori di acacia. Rotondo e di corpo conquista il cuore.

Non lo so se il futuro dei vini è PIWI, quello che so è che quelli assaggiati mi sono piaciuti molto e mi hanno conquistato con il loro corredo aromatico inedito e la grande eleganza che hanno saputo esprimere. Sono certo che sempre più popoleranno le nostre tavole.

Luca Gonzato

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