Avevo appena finito l’aggiornamento della mappa sulle DOCG di Valtellina e parallelamente stavo portando avanti questo post su un Nebbiolo assaggiato qualche giorno fa.
Barbaresco Meruzzano 2014, Magnum, di Orlando Abrigo.
Mi è quindi venuto spontaneo fare un confronto. Nel Barbaresco il Nebbiolo si esprime in modo diverso dai vicini di Barolo o dagli ‘eroici’ Valtellinesi, risulta più semplice, meno austero, se così si può dire. Il sorso è semplificato, più beverino, a dominare sono i frutti rossi freschi e la sensazione di giovinezza. Quella giovinezza che ti fa tornare con i ricordi ai 25/30 anni d’età, quando ci si preparava ad uscire per iniziare una serata epica. L’occasione per stappare questa‘magnum’ è stata la visita ad amici friulani, che sapevo avrebbero apprezzato qualcosa dal Piemonte, poi dai, la ‘magnum’ è fatta apposta per essere condivisa. Questo Barbaresco lo assaggi prima, durante e dopo una cena con la stessa sensazione di piacevolezza, non ti stanca mai, un calice dopo l’altro con il sorriso in bocca per il piacere, poi però… altro che serata epica (a parte la bevuta), tutti a nanna che non siamo più giovani come una volta. La mattina dopo comunque tutti freschi come le rose, sarà retorica ma se bevi vini fatti bene e li accompagni al cibo puoi dimenticarti l’hangover del giorno dopo. Torniamo alle caratteristiche del vino, i sapori riportano alla Ciliegia, ai frutti di bosco, la viola, i profumi di sottobosco in questa stagione. Ricco di sfumature con bella acidità e minima astringenza tannica, abbastanza persistente e caldo (volume alcolico di 13,5%). Gran bel Barbaresco. Meruzzano è la Menzione Geografica Aggiuntiva di provenienza delle uve, nel Comune di Treiso. Questo ‘Crù’ è a 350m/slm su terreni ricchi di calcare. Orlando Abrigo, per fare questo vino impiega uve di Nebbiolo della sottovarietà Lampia, la vinificazione si svolge con macerazione sulle bucce di circa 15 giorni e affinamento in Tonneau di rovere francese da 500l per oltre un anno. Il ponte del 25 aprile/1° maggio è volato via ma sono rimasti i bei ricordi di giovinezza, degli amici e del Barbaresco Meruzzano.
Era il 1955 quando il giovane enologo Franco Ziliani, incontrò a Palazzo Lana Guido Berlucchi, discendente dei nobili Lana de’ terzi. Berlucchi lo aveva chiamato per migliorare il suo vino troppo torbido. Ziliani aveva però il sogno di realizzare quello che in Francia era lo Champagne e lo convinse ad intraprendere questa avventura che avrebbe poi dato alla luce, nel 1961, il primo Pinot di Franciacorta con rifermentazione in bottiglia, lo stesso metodo che in Francia è chiamato Champenoise. A loro si aggiunse nell’impresa l’Avvocato Giorgio Lanciani. Palazzo Lana e la sede di Berlucchi sono a Borgonato di Corte Franca in provincia di Brescia.
Il nome Franciacorta deriva da ‘corte franca’, perchè in epoca medievale la zona era esentata dal pagamento di dazi. Nel 1967 viene conferita la Doc Franciacorta e nel 1990 nasce il consorzio di Tutela con 29 iscritti che nel corso degli anni aumenteranno fino agli oltre 200 attuali. Nel 1995 diventa DOCG. La Franciacorta si estende in un’area di 250 chilometri quadrati tra il Lago d’Iseo e la città di Brescia. Il suolo è di derivazione morenica (glaciazioni), con stratificazioni di calcari, ghiaie, sabbie, detriti di varia natura, selci, limi e argille. La vicinanza del Lago mitiga le correnti fredde provenienti dalla Val Camonica creando un microclima ideale per la vite.
Le vigne sono perlopiù coltivate a Chardonnay e in piccola parte a Pinot Nero e Pinot Bianco. Nel disciplinare di produzione è consentito anche l’Erbamat, vitigno storico autoctono che però non può superare il 10%. Una delle versioni più interessanti del Franciacorta è il Satén, realizzato solo da uve a bacca bianca, Chardonnay e Pinot bianco, con minor sovrapressione in bottiglia. Si contrappone a quello che in Francia è il ‘Blanc de blanc’, (bianco da uve bianche). Satén vuole ricordare la seta, la sua trama liscia, il satinato, caratteristiche che ben rappresentano questa tipologia di Spumante che in bocca si esprime con morbidezza e scivolosità.
Sono oltre 100 le cantine del Consorzio (vedi infografica), in stragrande maggioranza a conduzione familiare. Un vissuto di storia familiare e vitivinicola che si tramanda di generazione in generazione come nel caso dei figli di Ziliani che sono ora alla guida di Berlucchi. Sarebbe bello poter raccontare la storia e le caratteristiche di ogni Franciacorta prodotto nella zona ma né tempo né risorse lo consentono. Ho scelto quindi due Franciacorta da due Cantine che possono ben rappresentare questa Denominazione di Origine Controllata e Garantita: Palazzo Lana di Berlucchi e Annamaria Clementi di Cà del Bosco.Il primo l’ho acquistato direttamente in Berlucchi quando ricevetti l’agognato diploma e il Tastevin di Sommelier Ais, il secondo invece l’ho assaggiato durante una degustazione.Siamo di fronte a due Spumanti eccellenti che superano di gran lunga numerosi Champagne assaggiati, si esprimono con caratteri unici e memorabili. Sono gli Spumanti delle grandi occasioni, quelli che se dovete festeggiare qualcosa di importante vi consiglio di stappare. Se poi avete la possibilità di berli più frequentemente non posso che invidiarvi. Il prezzo, seppur giustificato, non è esattamente alla portata di tutti. Entrambi sono famosi e super premiati. Anche il neofita, di fronte alla domanda ‘quale Spumante?’ potrebbe rispondervi Berlucchi o Cá del Bosco.
Palazzo Lana Satèn Riserva 2008, Berlucchi
100% Chardonnay. Le uve provengono dalla migliore selezione tra i 520 ettari coltivati di cui 85 sono di proprietà Berlucchi. Fermentazione in tini d’acciaio e affinamento in barrique di rovere per 6 mesi sui lieviti. Seconda fermentazione in bottiglia e affinamento per almeno 7 anni sui lieviti, seguito da altri 6 mesi dopo la sboccatura. Cristallino, con bollicine abbastanza numerose, fini e persistenti. Giallo paglierino tenue. Sentori di mela gialla, limone, confetti, note di erbe balsamiche, bellissima complessità e sensazione di freschezza che ti accompagna in bocca in una lunga persistenza. Elegante ed armonico. Acquistato in cantina a 50 euro.
Cuvée Annamaria Clementi 2007, Cà del Bosco
55% Chardonnay, 25% Pinot Bianco, 20% Pinot Nero. Uve provenienti dalle vigne nei Comuni di Erbusco, Adro, Corte Franca, Iseo e Passirano. Prima fermentazione in piccole botti di rovere e riposo sui lieviti per 6 mesi, rifermentazione in bottiglia metodo classico, affinamento per oltre 8 anni sui lieviti. Perlage finissimo, cristallino, giallo paglierino con riflessi dorati, consistente, olfatto intenso, profumi di pesca, agrumi, fieno, miele, minerale. In bocca è morbido con bella acidità e sapidità, intenso e persistente. Elegante ed armonico. Il costo di questa cuvée si aggira intorno ai 90 euro.
In entrambe le degustazioni mi è capitato quello che mi succede ogni volta che mi trovo ad assaggiare qualcosa di veramente speciale, come se si accendesse un’insegna luminosa nel cervello che ti dice, ‘ecco la perfezione’, accompagnata da quella sensazione di felicità che si prova quando si riceve una bellissima sorpresa. Ripensando ai cugini d’oltralpe, mi sento orgogliosamente Italiano, grazie a Berlucchi e Cà del Bosco.
Finalmente sabato e finalmente il sole su Milano, così avevo iniziato a scrivere, poteva essere il pretesto per parlare di questo vino così luminoso… ma, ricomincio. È quasi l’ora di cena, c’è il tempo per un aperitivo e così mentre i bambini preparano patatine e coca-cola io stappo lo Schiopetto. È giallo paglierino, cristallino, perfettamente limpido, consistente nel bicchiere con archetti che scendono lentamente sul bicchiere, profumi invitanti di fiori bianchi e frutti, in bocca è complesso, ti trasmette frutti freschi, mela, banana, agrumi, secco e morbido, burroso, caldo e persistente, con una piacevole nota di mandorla finale, c’è altro, che però non saprei come descrivere se non come una sensazione appagante di armonia di sapori. Questo vino rappresenta la filosofia “Schiopetto”, ci trovo grande eleganza e raffinatezza, mineralità, sapidità equilibrata, con un bel ricordo del passaggio in legno che ha fuso insieme le caratteristiche di Chardonnay e Friulano (ex Tocai). Ok le patatine ma qui ci vuole un piatto degno di questo vino, chiedo a ‘my wife’ quando si cena, lei aspetta me, dice che sono più bravo io a cucinare, grrrr, preferirei stare qui a sorseggiarmi il vino con la città che abbassa il volume e il sole che cala. Riso venere con gamberi e zucchine è il piatto da preparare. I figli (10 e 8 anni) stanno litigando per banalità, faccio finta di niente, un altro assaggio poi mi metterò ai fornelli. Che buono, non dovrei dirlo, è un giudizio banale, soggettivo, andrebbe motivato in modo più tecnico… acidi e gliceridi a braccetto, aromi intensi di frutti maturi al punto giusto, lungo, avvolgente. Capriva del Friuli, nel mezzo del Collio, i terreni di ‘ponca’ (marna friulana di calcare e argilla), Mario Schiopetto, il pionere del Collio che diede vita al vino bianco friulano moderno, vinificazione in acciaio e passaggio in legno. Un aneddoto (come direbbe Francesco Renga a The Voice), ad un banco di degustazione di qualche anno fa, concentrai i miei assaggi sui banchi del Friuli, già amavo il ‘friulano’ e malgrado fossero tutti ottimi nei diversi banchi, quando assaggiai il friulano di Schiopetto, nella tipica bottiglia renana ad etichetta gialla, ne rimasi affascinato, perchè tra tutti si era mostrato, a mio giudizio, ad un livello superiore per complessità e capacità di trasmettere gli aromi in modo così intenso ed elegante. Il passo successivo fu quello di decidere che in cantina avrei sempre dovuto avere uno Schiopetto da offrire agli amici. On line, a parte il Friulano, comprai anche questo bianco IGT, blend di Friulano e Chardonnay 50/50, annata 2011. Sono passati sette anni per questo vino, lo trovo maturo al punto giusto ma non ho dubbi che potrebbe rimanere tranquillamente ancora qualche anno in bottiglia e mostrarsi poi con un’altra “faccia” altrettanto interessante. Eccola…si arrivo! (devo cucinare).
L’impiattamento è casalingo e forse neanche tanto bello da vedere, il sapore però è buono e strutturato. La cena è terminata come la bottiglia, abbinamento direi armonico, il riso venere mi sembra più saporito rispetto al riso bianco generico, i gamberi gli danno una bella sferzata aromatica e la tendenza dolce, zucchine anche loro con tendenza dolce, anche se poche (altrimenti i pargoli non lo avrebbero mangiato), acidità e sapidità del vino si sposano perfettamente per contrapposizione. Poi però, dato che non era una cena preparata per due portate, e la mia fame (come la sete), ha limiti sopra la media, sono passato ai salumi affettati, il prosciutto di San Daniele, che diciamocelo è la ‘morte sua’ con questo Schiopetto.
Se non lo avete già fatto, provate un vino di questa cantina, ne vale la pena, ve lo assicuro.
Prima di aprire la bottiglia ho scelto il calice, sarebbe da Champagne ma poco importa, mi piace questa forma, volevo guardarlo bene e tenerlo stretto su un calice più piccolo rispetto a quelli da degustazione, poi è bello vederlo ergersi al fianco della bottiglia come un trofeo. Guarda che bel colore, e i profumi ragazzi, un’arcobaleno di frutti freschi, ananas, agrumi, pesca, note di erbe aromatiche. In bocca è completo, grande freschezza, mineralità e sapidità controbilanciate da una morbidezza vellutata, ancora frutti gialli, una nota di miele, continua lungo e persistente con una sensazione morbida in bocca e il ricordo di frutta fresca. È complesso, caldo, con un grado alcolico di 14,5° che trasporta gli aromi come frutti da masticare, che bello. A tavola ci sono orate al sale con patate al forno, vino e cibo si esaltano vicendevolmente, la grassezza dell’orata e la tendenza dolce delle patate si abbinano perfettamente con l’acidità del vino e il fruttato aggiunge una bella nota al sapore del pesce. Che domenica! mancherebbe solo Valentino che vince il Gran premio d’Argentina questa sera. Tra l’altro siamo dalle sue parti, l’Azienda Tre Monti è a Forlì. I vigneti sono a 100-150 m/slm, su terreni con prevalenza di argilla, limo e sabbie. Il mare è vicino e lo puoi sentire anche nel vino. Fermentato in anfore georgiane da 470 litri, regime biologico, fermentazione naturale da lieviti autoctoni e nessun controllo della temperatura. Gran vino questa Albana dell’Azienda Tre Monti, di quelli che bisognerebbe stappare appena incroci il solito talebano che ti dice ‘ah io bevo solo vino rosso’ come se i bianchi fossero vini di secondo livello. Non è proprio così e questa Albana come centinaia di altri ‘bianchi’ lo dimostrano. Lo avevo assaggiato l’anno scorso durante la presentazione della guida Vitae di Ais in cui aveva preso il massimo punteggio, quattro viti. Mi aveva colpito per la complessità e l’armonia aromatica tanto che me lo segnai subito come vino da avere in cantina. Oggi l’ho felicemente riprovato con l’annata 2016 e non posso che confermare le belle sensazioni e la qualità di questo vino che consiglio di assaggiare. Wine Enthusiast lo pone tra i 100 migliori vini al mondo. Il prezzo è sui 18 euro. Il pranzo è finito da un pezzo e anche la bottiglia è ormai finita, un pensiero mi assilla, se Valentino vince con cosa festeggio?
Luca Gonzato
Note: L’Albana di Romagna è stato il primo vino bianco italiano ad ottenere la DOCG nel 1987.
Titolo, mi ricorda quella ‘mancanza’ che da grafico editoriale scrivevo sull’impaginato e che poi il redattore avrebbe sostituito, invece il riferimento è alla contrada in cui si trovano i vigneti e gli uliveti della Cantina di Elena Fucci. Siamo ai piedi del monte Vulture, un vulcano spento che ha lasciato nel suolo stratificazioni di lava e ceneri insieme ad argille sedimentate, nel comune di Barile (PZ), in Basilicata. Le vigne sono sui 600 m/slm. Avevo scelto di acquistare questo vino perchè cercavo un Aglianico del Vulture Doc che sapesse esprimermi le caratteristiche del vitigno e del ‘terroir’ in modo chiaro, poi c’è il fatto che nelle guide, questa marca ha punteggi di eccellenza e voglio capire perchè. La cosa interessante di questa Cantina è che ha scelto di concentrare il proprio lavoro su di un unico vino, che è poi quello più rappresentativo della regione, l’Aglianico. Cosa mi aspetto?, sapidità, acidità, mineralità, consistenza e un buon grado alcolico. Vediamo se è così. L’annata è la 2015 (nel retro etichetta viene declamata come un’ottima annata), il vino affina 12 mesi in barriques nuove e un altro anno in bottiglia. È di un bel rosso rubino con riflessi granato, concentrato e cristallino. I profumi mi indicano, spezie, tostatura, erbe mediche, è particolare, invitante. Al gusto sento questa bella sapidità/mineralità che si integra con aromi di frutta rossa fresca, con note speziate dal mentolato al cacao, con un finale di liquirizia. I tannini sono ben presenti e lo rendono pronto per sposarsi felicemente con piatti ricchi di grassezza e succulenza. È di corpo e caldo (14° Vol.), snello e lungo nella persistenza. Raffinato ed elegante, si esprime con un carattere limpido e deciso. Guardo la foto di Elena Fucci sul sito (che tra l’altro è una gran bella donna) e mi domando se anche lei ha questo carattere, penso di sì, in fondo è lei che lo ha voluto così. E noi consumatori non possiamo che ringraziarla per questo magnifico nettare.
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