Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

Via Bonghi 12 Milano. Tram 3 e 15 - Bus 90/91 - Metro più vicina Romolo (più 10 minuti a piedi o Bus).

Riccardo Cotarella e sei grandi espressioni del vino Italiano 

Serata speciale quella organizzata da Onav Milano, con la partecipazione del famoso enologo nonché presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella, che insieme al Presidente di Onav Vito Intini e ai produttori dei vini in degustazione, ci hanno guidato alla scoperta di sei magnifiche realtà italiane.

Vito Intini e Riccardo Cotarella

Il valore del territorio e delle persone prima ancora del vitigno, la peculiarità italiana di avere oltre 350 vitigni autoctoni che possono garantire un futuro di prosperità per i nostri vini, l’imprescindibile traguardo della qualità, che si raggiunge con la ricerca, la sperimentazione e l’applicazione di precise tecniche di intervento in vigna e di lavorazione in cantina. Sembrerebbero semplici regole ma comportano un impegno che nel passato è stato spesso disatteso, con enologi messi in disparte a favore di produzioni quantitative dove magari i vini venivano annacquati per riempire più bottiglie. Solo da qualche decennio l’impegno di tutte le figure coinvolte nella filiera del vino si sono messe alla ricerca della qualità, più che della quantità. Il merito va ai giovani enologi e ai produttori lungimiranti che hanno capito il valore del proprio territorio e come farlo esprimere al meglio nei propri vini. A Cotarella e alla cooperativa La Guardiense si deve la riscoperta di vitigni come la Falanghina che un tempo erano ritenuti ‘anonimi’ e che invece sanno esprimere carattere e territorio con grande personalità. Oppure l’Albarossa, che grazie all’impegno dell’Azienda Bricco dei Guazzi, ha riportato in auge questo vitigno piemontese poco conosciuto, in grado di fondere insieme le caratteristiche di Nebbiolo e Barbera aggiungendo valore al territorio del Monferrato. Poi c’è la bella realtà del Brunello di Montalcino dove territorio e vino sono un tutt’uno conosciuto nel mondo. I vini pugliesi, Negroamaro, Nero di Troia e Primitivo, che un tempo  viaggiavano sulle navi per andare a dare colore e consistenza ai vini del nord, ora brillano della propria luce grazie all’impegno di tanti produttori di qualità. Sono tante le realtà che hanno visto coinvolto Cotarella in oltre 50 vendemmie, è bello ascoltarlo e percepire quanto abbia fiducia nelle giovani generazioni e nel futuro dei vini italiani, ci rende orgogliosi di condividere a testa alta il racconto delle eccellenze vinicole italiane. Cotarella dice che “il vino perfetto non esisterà mai“, c’è sempre un margine di miglioramento, aggiungo io che i vini degustati non saranno perfetti ma sono dei gran bei vini.

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I Mille per la Falanghina 2015, Sannio Dop, La Guardiense

A presentare il primo vino è Domizio Pigna, Presidente de La Guardiense. Azienda fondata nel 1960 da 33 soci, oggi ne conta circa mille. Agricoltori che coltivano a conduzione diretta più di 1.500 ettari di vigneto situati in collina a un’altitudine di circa 350 metri, con una produzione media annua di circa 200.000 quintali di uve. In Campania nella provincia di Benevento. Falanghina invecchiata 3 mesi in barrique, si presenta giallo paglierino brillante con profumi di frutti tropicali, mango, frutto della passione, banana, pesca bianca. Armonico, rotondo e morbido con finale acidico/agrumato, persistente. Bell’inizio.

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Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva 2004, Vigna Novali, Moncaro

Enologo Giuliano Ignazi. La Cantina di Montecarotto si trova nell’area classica dei Castelli di Jesi, Marche. Produce vini dal 1964 quando viene fondata la Società Cooperativa. Le uve di Verdicchio hanno una buccia molto spessa per questo viene fatta una macerazione di 18 ore a contatto che permette l’estrazione aromatica. Una piccola parte affina in barrique per 7/8 mesi. Quattordici gli anni di attesa per questo bianco che si mostra di un bel giallo dorato cristallino nel calice. Note evolutive, minerali, mielato che arriva al caramello, agrumi canditi, ananas, zafferano, sentori balsamici e bella acidità con sensazione burrosa in bocca. Maturo e armonico, gran piacere degustarlo.

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Brunello di Montalcino 2013, La Poderina Tenute del  Cerro

Presenta Francesco Ceccarelli, Trade Marketing Manager di Tenute del Cerro (Gruppo Unipol SAI). La Poderina è a Castelnuovo dell’Abate Montalcino (Siena). Le uve sono di Sangiovese Grosso qui chiamato Brunello. Vigneti con esposizione sud-est. Il vino è rosso rubino con riflessi aranciati, il colore abbastanza scarico ricorda quello del Pinot nero. Profumi di frutta rossa, marasca, vena speziata di pepe e chiodi garofano, vaniglia e un fondo terroso gradevole, percezioni vinose di giovinezza. Tannini fini, bella tattilità, elegante, lunga persistenza e corrispondenza gusto-olfattiva. Ottimo, con possibilità di ulteriore miglioramento in un paio di anni.

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Albarossa 2016, Bricco dei Guazzi

Presenta l’Azienda il suo Amministratore Alessandro Marchionne. Bricco dei Guazzi è nel Monferrato, comune di Olivola (Alessandria), fa parte del gruppo Genagricola che si occupa di viticoltura, agricoltura, allevamento e fonti rinnovabili. L’Albarossa è un vitigno clone dell’incrocio tra Nebbiolo e Barbera, selezionato come il migliore tra quelli sperimentati nel lontano 1938 dal Dott. Dalmasso, ampelografo originario dell’Astigiano. Il vino ha un colore intenso simile alla Barbera, profumi floreali, spicca la rosa, note di talco, frutti rossi, spezie dolci, noce moscata. Fresco ed elegante con nota di liquirizia, tattile, masticabile. Questa è la terza annata che viene prodotto. È stata una bella scoperta questa Albarossa che metto al Top della serata.

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Ogrà Syrah 2013, Famiglia Cotarella

Presenta Riccardo Cotarella. L’Azienda fondata nel 1979 con il nome Falesco è ora diventata Famiglia Cotarella proprio a significare il forte legame familiare che unisce i fratelli Renzo (amministratore delegato della Marchesi Antinori) e Riccardo Cotarella, entrambi enologi che hanno ora messo alla guida dell’azienda la terza generazione, rappresentata dalle figlie Dominga, Marta ed Enrica. La sede è a Montecchio (Terni), al confine tra Lazio e Umbria. In degustazione, l’Ogrà è rubino intenso, profumi di frutti rossi, cipria, pepe, legno fresco, floreale, ancora vinoso con sensazione vanigliata, morbido ed elegante al palato con il tipico aroma di liquirizia del Syrah. Gran bel Syrah.

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Selvarossa Riserva Salice Salentino 2013, Cantina Due Palme

Presenta Francesco Fortunato, giovane enologo. La cooperativa nasce nell’89, conta 1000 soci e 2500 ettari vitati. È una realtà importante nel nostro Paese che produce 15 milioni di bottiglie ed esporta in 45 paesi. Aggiungo una nota personale, conoscevo la Cantina per il loro Susumaniello, un rosso morbido e gustoso davvero piacevole, viene proposto ad un prezzo inferiore ai 10 euro. Stasera ho la conferma della bontà dei loro vini assaggiando questo Salice Salentino Riserva. Aromi di piccoli frutti rossi maturi, spezie dolci, cipria, grafite, frutto dolce, vanigliato. Bella freschezza, lunghissimo con questa prugna matura a far capolino. Se non è sul primo, è sul secondo gradino del podio. 

Luca Gonzato

Collio Sloveno, Pulec

Il Collio Sloveno o Brda e il Collio Friulano sono di fatto un unico territorio collinare dove il confine si attraversa, senza accorgersene, percorrendo una stradina. Stesse facce, stesso terroir e stessi vitigni. Avevamo in programma la visita di qualche Cantina nel versante italiano ma essendo domenica le porte sono chiuse, ad accettare la richiesta è stata Pulec, Cantina vicina al paese di Medana in Slovenia.

Ad accoglierci c’è il titolare Radko che con l’aiuto del figlio Mitja porta avanti l’azienda. Il sole splende sulle colline, dalla terrazza possiamo vedere il versante italiano, ‘quello è Toros, lì c’è Keber’ dice Radko, indicandoci con il dito gli edifici che sbucano tra le vigne. Si volta, ‘e da questa parte altri 20 chilometri di Collio’. Caspita, il Collio è in gran parte Sloveno.

Visitiamo la cantina, pulita e ordinata, è un piccolo produttore, solo 25000 le bottiglie all’anno. Ci racconta dell’ultimo Vinitaly, leggi la felicità nei suoi occhi perchè dopo anni di presenza dove venivano quasi ignorati, quest’anno è stato un successo. Saliamo nella bella sala di degustazione al piano di sopra dove la moglie, sul lungo tavolo in legno, ha preparato i calici e alcuni taglieri di salumi e formaggi. Ha predisposto al fresco 11 bottiglie, ci chiede quali vogliamo assaggiare, la risposta è per noi ovvia, tutti.

Si inizia con una Ribolla gialla spumantizzata a metodo Charmat (rifermentazione in autoclave, stesso metodo usato per il Prosecco), wow che begli aromi, è fine ed elegante, il bel marchio di Pulec spicca sull’etichetta, siamo in sei a degustare e tutti rimaniamo sorpresi dalla qualità. Ottimo. Radko sorride e passiamo all’assaggio di una Ribolla gialla secca e un Pinot Grigio, anche questi fatti bene ma tra tutti quelli assaggiati nella degustazione sono stati gli unici che non mi sono portato a casa. Arriva lo Jakot (leggilo al contrario), da uve Friulano (ex Tokaj), ci ritrovi la tipicità di quest’uva, bandiera del Collio friulano, ottimo sotto ogni aspetto. Poi il Sauvignon Blanc, al quale Radko ha fatto fare un passaggio in legno, malgrado tutti avessero cercato di dissuaderlo. Il risultato gli da ragione, è morbido e gli aromi spesso irruenti del Sauvignon qui sono mitigati dalla morbidezza e dalle note di tostatura del legno che si integrano nella giusta misura con i sentori di frutta gialla e quelli più vegetali come la foglia di pomodoro. I francesi direbbero che è ‘superb’.

Ci racconta dei tempi passati, della torre di guardia che svetta dietro l’edificio e dalla quale attraverso le feritoie i soldati tenevano i fucili puntati. È abbandonata da tempo ma vuole sistemarla e farne un punto panoramico per gli ospiti che verranno quando avrà costruito le camere poco più sotto. Parla dei suoi progetti, della voglia di fare il vino come piace a lui, senza seguire le mode e il mercato, anche se non lo dice esplicitamente intuiamo che parecchie uve del suolo Sloveno finiscono poi nelle bottiglie italiane. Niente di male, però dispiace che poi il confronto tra vini della ‘stessa’ zona si traduca in prezzi a bottiglia notevolmente diversi… Assaggiamo il Konrad Belo (belo=bianco), blend di Chardonnay, Ribolla e Friulano, armonico e piacevole soprattutto quando accompagnato da qualche fettina di salame nostrano. Segue inaspettatamente un Rosé, da uve Merlot, mostra il suo bel colore rosa chiaretto nel vetro trasparente. Senza pregiudizi lo assaggio ed è subito amore, fragoline di bosco, lampone, bella freschezza, beverino, perfetto per queste giornate assolate. È al suo ‘Top’ adesso, non è da lasciare in cantina, mi piace davvero molto. Ed ecco i rossi, anche qui Radko ci spiega che preferisce fare piccole produzioni diversificate per accontentare gusti diversi, partiamo dal Merlot, bel rosso rubino con sentori di lamponi e fragole, ben strutturato con la tipica sensazione vellutata in bocca. Il Cabernet Sauvignon, ‘questo fa solo acciaio’. Temevo sentori erbacei forti ed invece a spiccare è un piacevolissimo frutto rosso, davvero ottimo con una beva facile. Segue la versione con affinamento in barrique che si arricchisce appunto di aromi di legno e vaniglia, i tannini si ammorbidiscono. Non saprei dire quale sia il migliore, entrambi mi piacciono per le differenze che li caratterizzano e che ne fanno il vino giusto a seconda dell’abbinamento o dell’occasione per stapparlo. Per un pranzo primaverile sceglierei sicuramente il primo dei due. Mentre i discorsi seri lasciano il posto a battute e risate arriviamo così all’ultimo vino, il Konrad Rdeče (rosso), blend di Merlot e Cabernet Sauvignon, matura in barrique per almeno 18 mesi e 6 mesi in bottiglia. Ampio bouquet aromatico di frutti rossi e spezie con note di vaniglia, tannini avvolgenti, complessità e persistenza. Un vino capace di rimanere in cantina a lungo e maturare mantenendo il suo splendore. Degustazione terminata e tutti molto soddisfatti, grande ospitalità ricevuta e ottimi vini. Attraversato il piazzale, dove abbiamo lasciato le auto, c’è il ristorante condotto dal figlio Mitja, per fortuna abbiamo prenotato un tavolo perchè è pieno, ordiniamo piatti di pesce e la Ribolla spumante che tanto ci era piaciuta, mangiato bene e dopo il caffé siamo tornati in Cantina per qualche acquisto, vorrei essere un importatore di vini per poter commercializzare i vini di Pulec tanto mi son piaciuti, ma mi devo accontentare di portare a casa 13 bottiglie e il ricordo di questa bella giornata. Se passate da queste parti fate una telefonata a Radko e fermatevi a godere dei suoi vini e del panorama.

Luca Gonzato

L’altro Nebbiolo, Barbaresco

Avevo appena finito l’aggiornamento della mappa sulle DOCG di Valtellina e parallelamente stavo portando avanti questo post su un Nebbiolo assaggiato qualche giorno fa.

Barbaresco Meruzzano 2014, Magnum, di Orlando Abrigo.

Mi è quindi venuto spontaneo fare un confronto. Nel Barbaresco il Nebbiolo si esprime in modo diverso dai vicini di Barolo o dagli ‘eroici’ Valtellinesi, risulta più semplice, meno austero, se così si può dire. Il sorso è semplificato, più beverino, a dominare sono i frutti rossi freschi e la sensazione di giovinezza. Quella giovinezza che ti fa tornare con i ricordi ai 25/30 anni d’età, quando ci si preparava ad uscire per iniziare una serata epica. L’occasione per stappare questa  ‘magnum’ è stata la visita ad amici friulani, che sapevo avrebbero apprezzato qualcosa dal Piemonte, poi dai, la ‘magnum’ è fatta apposta per essere condivisa. Questo Barbaresco lo assaggi prima, durante e dopo una cena con la stessa sensazione di piacevolezza, non ti stanca mai, un calice dopo l’altro con il sorriso in bocca per il piacere, poi però… altro che serata epica (a parte la bevuta), tutti a nanna che non siamo più giovani come una volta. La mattina dopo comunque tutti freschi come le rose, sarà retorica ma se bevi vini fatti bene e li accompagni al cibo puoi dimenticarti l’hangover del giorno dopo. Torniamo alle caratteristiche del vino, i sapori riportano alla Ciliegia, ai frutti di bosco, la viola, i profumi di sottobosco in questa stagione. Ricco di sfumature con bella acidità e minima astringenza tannica, abbastanza persistente e caldo (volume alcolico di 13,5%). Gran bel Barbaresco. Meruzzano è la Menzione Geografica Aggiuntiva di provenienza delle uve, nel Comune di Treiso. Questo ‘Crù’ è a 350m/slm su terreni ricchi di calcare. Orlando Abrigo, per fare questo vino impiega uve di Nebbiolo della sottovarietà Lampia, la vinificazione si svolge con macerazione sulle bucce di circa 15 giorni e affinamento in Tonneau di rovere francese da 500l per oltre un anno. Il ponte del 25 aprile/1° maggio è volato via ma sono rimasti i bei ricordi di giovinezza, degli amici e del Barbaresco Meruzzano.

Luca Gonzato

Franciacorta, Orgoglio Italiano

Era il 1955 quando il giovane enologo Franco Ziliani, incontrò a Palazzo Lana Guido Berlucchi, discendente dei nobili Lana de’ terzi. Berlucchi lo aveva chiamato per migliorare il suo vino troppo torbido. Ziliani aveva però il sogno di realizzare quello che in Francia era lo Champagne e lo convinse ad intraprendere questa avventura che avrebbe poi dato alla luce, nel 1961, il primo Pinot di Franciacorta con rifermentazione in bottiglia, lo stesso metodo che in Francia è chiamato Champenoise. A loro si aggiunse nell’impresa l’Avvocato Giorgio Lanciani. Palazzo Lana e la sede di Berlucchi sono a Borgonato di Corte Franca in provincia di Brescia.

Il nome Franciacorta deriva da ‘corte franca’, perchè in epoca medievale la zona era esentata dal pagamento di dazi. Nel 1967 viene conferita la Doc Franciacorta e nel 1990 nasce il consorzio di Tutela con 29 iscritti che nel corso degli anni aumenteranno fino agli oltre 200 attuali. Nel 1995 diventa DOCG. La Franciacorta si estende in un’area di 250 chilometri quadrati tra il Lago d’Iseo e la città di Brescia. Il suolo è di derivazione morenica (glaciazioni), con stratificazioni di calcari, ghiaie, sabbie, detriti di varia natura, selci, limi e argille. La vicinanza del Lago mitiga le correnti fredde provenienti dalla Val Camonica creando un microclima ideale per la vite.

Le vigne sono perlopiù coltivate a Chardonnay e in piccola parte a Pinot Nero e Pinot Bianco. Nel disciplinare di produzione è consentito anche l’Erbamat, vitigno storico autoctono che però non può superare il 10%. Una delle versioni più interessanti del Franciacorta è il Satén, realizzato solo da uve a bacca bianca, Chardonnay e Pinot bianco, con minor sovrapressione in bottiglia. Si contrappone a quello che in Francia è il ‘Blanc de blanc’, (bianco da uve bianche). Satén vuole ricordare la seta, la sua trama liscia, il satinato, caratteristiche che ben rappresentano questa tipologia di Spumante che in bocca si esprime con morbidezza e scivolosità. 

Sono oltre 100 le cantine del Consorzio (vedi infografica), in stragrande maggioranza a conduzione familiare. Un vissuto di storia familiare e vitivinicola che si tramanda di generazione in generazione come nel caso dei figli di Ziliani che sono ora alla guida di Berlucchi. Sarebbe bello poter raccontare la storia e le caratteristiche di ogni Franciacorta prodotto nella zona ma né tempo né risorse lo consentono. Ho scelto quindi due Franciacorta da due Cantine che possono ben rappresentare questa Denominazione di Origine Controllata e Garantita: Palazzo Lana di Berlucchi e Annamaria Clementi di Cà del Bosco. Il primo l’ho acquistato direttamente in Berlucchi quando ricevetti l’agognato diploma e il Tastevin di Sommelier Ais, il secondo invece l’ho assaggiato durante una degustazione. Siamo di fronte a due Spumanti eccellenti che superano di gran lunga numerosi Champagne assaggiati, si esprimono con caratteri unici e memorabili. Sono gli Spumanti delle grandi occasioni, quelli che se dovete festeggiare qualcosa di importante vi consiglio di stappare. Se poi avete la possibilità di berli più frequentemente non posso che invidiarvi. Il prezzo, seppur giustificato, non è esattamente alla portata di tutti. Entrambi sono famosi e super premiati. Anche il neofita, di fronte alla domanda ‘quale Spumante?’ potrebbe rispondervi Berlucchi o Cá del Bosco.

Palazzo Lana Satèn Riserva 2008, Berlucchi

100% Chardonnay. Le uve provengono dalla migliore selezione tra i 520 ettari coltivati di cui 85 sono di proprietà Berlucchi. Fermentazione in tini d’acciaio e affinamento in barrique di rovere per 6 mesi sui lieviti. Seconda fermentazione in bottiglia e affinamento per almeno 7 anni sui lieviti, seguito da altri 6 mesi dopo la sboccatura. Cristallino, con bollicine abbastanza numerose, fini e persistenti. Giallo paglierino tenue. Sentori di mela gialla, limone, confetti, note di erbe balsamiche, bellissima complessità e sensazione di freschezza che ti accompagna in bocca in una lunga persistenza. Elegante ed armonico. Acquistato in cantina a 50 euro.

Cuvée Annamaria Clementi 2007, Cà del Bosco

55% Chardonnay, 25% Pinot Bianco, 20% Pinot Nero. Uve provenienti dalle vigne nei Comuni di Erbusco, Adro, Corte Franca, Iseo e Passirano. Prima fermentazione in piccole botti di rovere e riposo sui lieviti per 6 mesi, rifermentazione in bottiglia metodo classico, affinamento per oltre 8 anni sui lieviti. Perlage finissimo, cristallino, giallo paglierino con riflessi dorati, consistente, olfatto intenso, profumi di pesca, agrumi, fieno, miele, minerale. In bocca è morbido con bella acidità e sapidità, intenso e persistente. Elegante ed armonico. Il costo di questa cuvée si aggira intorno ai 90 euro.

In entrambe le degustazioni mi è capitato quello che mi succede ogni volta che mi trovo ad assaggiare qualcosa di veramente speciale, come se si accendesse un’insegna luminosa nel cervello che ti dice, ‘ecco la perfezione’, accompagnata da quella sensazione di felicità che si prova quando si riceve una bellissima sorpresa. Ripensando ai cugini d’oltralpe, mi sento orgogliosamente Italiano, grazie a Berlucchi e Cà del Bosco.

Luca Gonzato 

Bianco Schiopetto, Nero Venere

Venezia Giulia Bianco IGT Mario Schiopetto 2011

Finalmente sabato e finalmente il sole su Milano, così avevo iniziato a scrivere, poteva essere il pretesto per parlare di questo vino così luminoso… ma, ricomincio. È quasi l’ora di cena, c’è il tempo per un aperitivo e così mentre i bambini preparano patatine e coca-cola io stappo lo Schiopetto. È giallo paglierino, cristallino, perfettamente limpido, consistente nel bicchiere con archetti che scendono lentamente sul bicchiere, profumi invitanti di fiori bianchi e frutti, in bocca è complesso, ti trasmette frutti freschi, mela, banana, agrumi, secco e morbido, burroso, caldo e persistente, con una piacevole nota di mandorla finale, c’è altro, che però non saprei come descrivere se non come una sensazione appagante di armonia di sapori. Questo vino rappresenta la filosofia “Schiopetto”, ci trovo grande eleganza e raffinatezza, mineralità, sapidità equilibrata, con un bel ricordo del passaggio in legno che ha fuso insieme le caratteristiche di Chardonnay e Friulano (ex Tocai). Ok le patatine ma qui ci vuole un piatto degno di questo vino, chiedo a ‘my wife’ quando si cena, lei aspetta me, dice che sono più bravo io a cucinare, grrrr, preferirei stare qui a sorseggiarmi il vino con la città che abbassa il volume e il sole che cala. Riso venere con gamberi e zucchine è il piatto da preparare. I figli (10 e 8 anni) stanno litigando per banalità, faccio finta di niente, un altro assaggio poi mi metterò ai fornelli. Che buono, non dovrei dirlo, è un giudizio banale, soggettivo, andrebbe motivato in modo più tecnico… acidi e gliceridi a braccetto, aromi intensi di frutti maturi al punto giusto, lungo, avvolgente. Capriva del Friuli, nel mezzo del Collio, i terreni di ‘ponca’ (marna friulana di calcare e argilla), Mario Schiopetto, il pionere del Collio che diede vita al vino bianco friulano moderno, vinificazione in acciaio e passaggio in legno. Un aneddoto (come direbbe Francesco Renga a The Voice), ad un banco di degustazione di qualche anno fa, concentrai i miei assaggi sui banchi del Friuli, già amavo il ‘friulano’ e malgrado fossero tutti ottimi nei diversi banchi, quando assaggiai il friulano di Schiopetto, nella tipica bottiglia renana ad etichetta gialla, ne rimasi affascinato, perchè tra tutti si era mostrato, a mio giudizio, ad un livello superiore per complessità e capacità di trasmettere gli aromi in modo così intenso ed elegante. Il passo successivo fu quello di decidere che in cantina avrei sempre dovuto avere uno Schiopetto da offrire agli amici. On line, a parte il Friulano, comprai anche questo bianco IGT, blend di Friulano e Chardonnay 50/50, annata 2011. Sono passati sette anni per questo vino, lo trovo maturo al punto giusto ma non ho dubbi che potrebbe rimanere tranquillamente ancora qualche anno in bottiglia e mostrarsi poi con un’altra “faccia” altrettanto interessante. Eccola…si arrivo! (devo cucinare).

L’impiattamento è casalingo e forse neanche tanto bello da vedere, il sapore però è buono e strutturato. La cena è terminata come la bottiglia, abbinamento direi armonico, il riso venere mi sembra più saporito rispetto al riso bianco generico, i gamberi gli danno una bella sferzata aromatica e la tendenza dolce, zucchine anche loro con tendenza dolce, anche se poche (altrimenti i pargoli non lo avrebbero mangiato), acidità e sapidità del vino si sposano perfettamente per contrapposizione. Poi però, dato che non era una cena preparata per due portate, e la mia fame (come la sete), ha limiti sopra la media, sono passato ai salumi affettati, il prosciutto di San Daniele, che diciamocelo è la ‘morte sua’ con questo Schiopetto.

Se non lo avete già fatto, provate un vino di questa cantina, ne vale la pena, ve lo assicuro.

Luca Gonzato 

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