È un tipico vino spagnolo ‘fortificato’ al quale viene aggiunto dell’alcol alla fine delle fermentazioni (il volume di alcol sopra il 15% impedisce che continuino o si inneschino altre fermentazioni). Viene prodotto nella zona di Jerez de la Frontera, in Spagna, all’incirca in quella parte di terra che affacciandosi sul golfo divide la Spagna dal Portogallo.
Questo che assaggio è fatto da sole uve Palomino nella versione Fino e secco, affinato 5 anni, altre tipologie di Sherry utilizzano anche uve Pedro Ximènez e Moscatel; viene affinato con il metodo Soleras (botti sovrapposte e collegate tra loro dove ogni anno si aggiunge il nuovo vino a quelle sopra (criaderas) e da quelle più in basso (solera) si preleva per l’imbottigliamento. Esistono altre tipologie di Sherry che in base alle uve, all’affinamento e all’azione dei lieviti Flor (che stanno in superficie) decretano le denominazioni Manzanilla, Amontillado, Oloroso, Palo Cortado e Pedro Ximénez.
Sherry Pando Fino Williams & Humbert
Tolto dal frigorifero, ha una temperatura di 11°. Profumo intenso di frutta passita e candita che però mantiene caratteristiche di freschezza, aromi terziari di alcoli evoluti, nota dolce di mandorla, mi ricorda il Marsala e il Passito di Pantelleria. Al gusto è secco con una bellissima acidità/freschezza che lascia il posto ad aromi legati al legno, sottobosco, carbonella e leggera sensazione polverosa sulla lingua, è caldo con il suo 15% di volume alcol. Mi piace questa combinazione di freschezza e potenza alcolica. Un spalmata di Gorgonzola su una fetta di pane sarebbe perfetta in questo momento come abbinamento, ma non ce l’ho e mi accontento di sgranocchiare insieme della frutta secca che circola in casa dalle feste di Natale, buon modo per finirla. Cos’altro dire, non sono un consumatore abituale di vini fortificati ma ogni tanto ci può stare, questo lo vedo bene anche come aperitivo alternativo nelle sere d’estate, senza esagerare però, perchè i suoi 15° di Vol. si sentono tutti. La prossima volta proverò un Sherry di quelli più strutturati ed evoluti.
18670, i chilometri percorsi da queste bottiglie, un orrore per i devoti del “chilometro zero”, un piacere per chi, come me, ha la curiosità di assaggiare i vini prodotti dagli ‘altri’. Sono partite da Gladstone, nel distretto di Martinborough, nella parte sud dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda dove si trova la Cantina Urlar (in gaelico significa mondo), probabilmente il posto più lontano dall’Italia in cui si produce vino. Ho scelto di assaggiare i due vini più rinomati di questo Stato, il Sauvignon Blanc e il Pinot Noir, la scelta della Cantina si è basata su una ricerca online di prodotti disponibili all’acquisto che poi si è ristretta ad aziende in agricoltura biologica, Urlar mi è parsa una buona scelta, vedremo se all’assaggio confermerà le aspettative.
Qualcosa sulla Nuova Zelanda: ha perlopiù terreni argilloso-vulcanici e un clima simile a quello dell’Italia del nord con però forti escursioni termiche. Cercando online qualche informazione interessante è saltato fuori il Sig. Romeo Bragato, un nome che suona tanto di italiano, in realtà era originario dell’isola di Losinj, ora Croata ma all’epoca sotto il dominio Austriaco. È grazie a lui se i vini in Australia e Nuova Zelanda sono potuti migliorare ed arrivare a competere nei mercati internazionali. Bragato ha comunque molto di italiano, avendo studiato enologia alla Regia Scuola di Conegliano nel 1883, spostatosi poi in Australia e nel 1895 chiamato in Nuova Zelanda dal governo per sviluppare il settore vinicolo, ha individuato le zone più vocate e formato i distretti del vino, insegnato la coltivazione di vitigni nobili impiantati su ‘piede’ di vite americana resistente alla terribile Fillossera che all’epoca imperversava nel mondo. A suo nome è dedicato il Bragato Wine Awards che si celebra ogni anno.
Tornando alle bottiglie, entrambe hanno il tappo a vite, io non lo amo ma capisco la necessità di un mercato diverso dal nostro nel quale aprire la bottiglia e finirla in più giorni è la normalità e la necessità di aprire e chiudere facilmente, insomma è pratico e poi c’è da dire che i vini si mantengono perfettamente, mi resta però la curiosità di sapere come sarebbero se evoluti con il tappo in sughero.
All’assaggio:
Sauvignon Blanc Urlar 2015 Complessità olfattiva di fiori bianchi, foglia di pomodoro, fieno, ananas, in bocca ha una bella acidità che chiama la beva, si sente un frutto carnoso, di ananas, pesca bianca, leggera nota burrosa, frutto fresco nel finale in una buona persistenza. Amichevole ed elegante.
Pinot Noir Urlar 2014 Rubino tendente al granato, consistente, frutti rossi macerati, aromi terziari del legno, cuoio, mi ricorda anche la carruba che annusavo sul banco degli aromi nei corsi Ais, e il caffè. In bocca è morbido e caldo con tannini delicati, un pinot nero abbastanza complesso e persistente, forse mi aspettavo più corpo, è comunque un bel Pinot Noir, più lo assaggio e più mi piace.
In sintesi due bei vini da questa Cantina, hanno confermato le aspettative e chissà, magari un giorno avrò il piacere di percorrere questi 18670 km e degustare le nuove annate direttamente a Gladstone.
Bastardo, è il nome del paese a pochi chilometri da Montefalco dove circa 20 anni fa conobbi il Sagrantino, l’occasione era la ‘Maialata’ una Sagra dove poter gustare il maiale in ogni sua parte, perchè come si dice ‘del maiale non si butta via niente’, figurati a 30 anni, con gli amici tutti assetati e affamati quale occasione imperdibile si era presentata, evvai di Montefalco Rosso (un blend di Sangiovese dal 60 al 70%, Sagrantino dal 10 al 15% e altri vitigni a bacca rossa per un massimo del 30%), quante risate e che bella gente gli Umbri. Il clou è stato a una cena di quel weekend dove è comparso sulla tavola il Sagrantino (100% uva Sagrantino), non lo conoscevo e caspita mi sembrava la cosa più buona mai bevuta. Questo ricordo mi torna ogni volta che apro un Sagrantino, tornano i sorrisi degli amici e il clima di festa, è un gran vino, per festeggiare qualcosa, sia anche la fine della settimana lavorativa o la visita di un amico che non vediamo da tempo, da ammirare e sorseggiare ringraziando quel monaco pellegrino devoto di S. Francesco che, si presume, abbia lasciato le prime barbatelle nella zona, documenti storici ne attestano l’esistenza del vitigno già dal 1572.
Sono 5 le località che possono produrre il Montefalco Sagrantino: Montefalco, Gualdo Cattaneo e parti dei Comuni di Bevagna, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria, tutti in provincia di Perugia. Non è chiara l’origine del nome ma sembra derivi dal fatto che venisse usato in cerimonie sacre o durante le sagre. Il Montefalco Sagrantino in versione secca è in realtà un vino ‘recente’, che venne prodotto per la prima volta nel 1972, prima era solo in versione dolce Passito. È un vino ricco di Polifenoli con Tannini che necessitano di un discreto periodo di affinamento, potete lasciarlo in cantina anche 20 anni e ritrovarlo al massimo della sua evoluzione.
Quasi in concomitanza con la presentazione a Montefalco dell’annata 2014 io celebro oggi quella del 2010 nella versione di Terre de la Custodia, azienda storica con vigneti a Montefalco e Gualdo Cattaneo. Fermentato in acciaio per una decina di giorni resta poi sulle bucce un’altra settimana, affinato un anno in barrique poi in bottiglia, non una bottiglia qualunque ma la loro bottiglia brevettata, sintesi perfetta di utilità e praticità. Ha due incavi nella parte inferiore, fronte e retro, quello frontale serve a creare uno spazio che impedisce la formazione di bolle d’aria che durante la mescita possano movimentare il residuo che si è creato nel fondo ed esternamente diventa punto di presa per il pollice, quello posteriore, lineare, funge da barriera che trattiene i residui all’interno, sul fondo, quando la bottiglia è inclinata, è anche punto di presa sicura per l’indice piegato che tiene la bottiglia sul retro.
Montefalco Sagrantino 2010 Terre de la Custodia
Note di degustazione: Rosso rubino intenso tendente al granato, consistente nel bicchiere. Al naso è molto intenso con profumi di ciliegia e note di sottobosco, legni pregiati e cuoio, al gusto è puro piacere, il frutto è carnoso, di amarene e ciliegie, morbido, tannini significativi ma ben evoluti, bella acidità e sapidità a bilanciare tanta morbidezza alcolica, rimane in bocca almeno 20 secondi in un splendido gioco di aromi che lentamente si allontanano lasciandoti il ricordo di qualcosa di molto piacevole. L’abbinamento richiede piatti succulenti, carni grasse, brasati, io l’ho abbinato ad un risotto allo zafferano ed era armonico, con l’arrosto di manzo il vino era predominante ma non mi è dispiaciuto per niente che lo fosse. Se vuoi provarlo, il 2010 costa 25/30 euro mentre l’annata 2011 si trova a 16,50 direttamente nello shop online dell’Azienda.
Tutte le DOCG di Valtellina Superiore e Sforzato, i loro produttori e la posizione dei vigneti
Ancora il Nebbiolo in purezza, chiamato però Chiavennasca in Valtellina, siamo a poca distanza da Milano, se non ci fossero però le alpi orobiche a dividerci e una strada tortuosa per raggiungerla (leggi, stai in colonna). I vigneti si estendono fino ai 600m delle Alpi Retiche nel versante soleggiato che segue il corso del fiume Adda lungo la vallata, qui come in Valle d’Aosta o in Liguria si pratica una viticoltura ‘eroica’, quasi tutto è fatto a mano sia per le pendenze dei vigneti che per la dimensione degli stessi che sono spesso dei piccolissimi appezzamenti sparsi qua e la sul crinale fino ai 600m d’altezza.
Oltre al Chiavennasca sono coltivate altre tipologie di uve come la Rossola, la Pignola valtellinese e la Brugnola. Le 5 DOCG di Valtellina Superiore con menzione di sottozona sono Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella, si susseguono da Berbenno a Tirano, ogni zona dona al vino caratteristiche diverse sia per quanto riguarda la composizione del suolo che per l’esposizione. Quelli di Maroggia hanno una spiccata acidità, Sassella più equilibrati ed eleganti, nel Grumello si evidenziano morbidezza e longevità, quelli di Inferno sono i più strutturati e tannici mentre in Valgella troviamo quelli con struttura e complessità più contenuta. La valle si percorre in poco tempo sulla statale, ma se provi a fare la strada dei vini allora tutto si complica, le vie sono strette e spesso ti trovi ad attraversare paesi dove se incroci un’auto in senso contrario inizi ad imprecare, l’ideale sarebbe andarci in moto o in bicicletta se hai buone gambe per affrontare le salite e potersi così godere il passaggio di queste vigne storiche. Ho assaggiato diversi V. Superiore e qualche Sforzato e sono convinto che meriterebbero una ben più alta notorietà nel panorama dei vini Italiani. Gli aromi caratteristici Del V. Superiore sono quelli della frutta rossa in confettura, le spezie, il cuoio. Il colore tende velocemente verso il rosso granato tipico del Nebbiolo. Lo Sforzato o Sfursat è prodotto in modo similare all’Amarone veneto, le uve vengono appassite per 3 mesi in fruttai, ne risulta un vino di notevole corpo e volume alcolico, difficile da abbinare se non con qualcosa di altrettanto strutturato. Come l’Amarone, lo Sforzato è impegnativo da bere, io preferisco degustarne un pochino da solo, invece il V. Superiore, pur essendo comunque un gran vino, lo apprezzo di più in generale e particolarmente in abbinamento al cibo, pensando alle tipicità valtellinesi è perfetto con un formaggio Bitto Storico, i Pizzoccheri o gli Sciatt.
Le Aziende che ho catalogato nell’Infografica sono 38, alcune hanno proprietà suddivise in più sottozone ed altre invece hanno produzioni più contenute e pochi ettari coltivati, alcuni fanno solo il V. Superiore o solo lo Sforzato ed altri invece hanno molteplici versioni. Tutto questo così la prossima volta che vai in Valtellina e ti trovi al ristorante in imbarazzo di fronte ad una lista infinita di Valtellina Superiore puoi sempre riaprire questo post e decidere quale zona o Cantina si abbina meglio al tuo gusto.
Di seguito l’elenco delle Cantine e alcuni riferimenti. I nomi dei vini che ogni Cantina produce li puoi vedere sull’Infografica o visitare il sito web del produttore.
Metti che ti trovi a passeggiare in zona Navigli a Milano e che per la buona sorte del giorno non sei con figli al seguito, cosa avresti voglia di fare? io non ho dubbi, un bel bicchiere di vino da degustare con calma e senza l’assillo dei marmocchi che ossessivamente ti ripeterebbero ‘che noia, ce ne andiamo?’. La vineria scelta ha aperto la scorsa primavera sulla Darsena, si chiama Suttowine, non c’ero ancora stato pur abitando in zona, da fuori non si vede granché e alla prima occhiata l’avevo scambiata per una rivendita di vini, fa anche quello ma è principalmente un locale dove sedersi a bere un calice di vino e mangiucchiare qualcosa, è accogliente ed elegante al punto giusto, la ragazza al bancone socievole e preparata, la sera il locale si anima ed organizzano anche eventi musicali. In offerta ci sono i vini dell’Azienda Sutto che ha le vigne nella zona del Piave, in Valpolicella, a Valdobbiadene e nel Collio Friulano e poche altre etichette tra cui Riesling della Mosella, Franciacorta e Champagne francesi. Ho assaggiato due vini tra le produzioni di Sutto, un Friulano ‘Polje Collio DOC Friulano’, bel frutto e freschezza/sapidità tipica della zona e il Merlot di punta ‘Campo Sella, Sutto TT’, ‘very very good’ con le sue note di frutti rossi freschi e terziarie dal cuoio alla liquirizia, grandissima morbidezza, armonia ed eleganza, di quei vini che un sorso dopo l’altro ti farebbero finire una bottiglia, buono davvero. Il costo complessivo è stato più che onesto, mi è stato anche offerto qualcosa da mangiare insieme, bruschetta con fetta di soppressa veneta, bruschetta con pomodorini/origano e olive taggiasche, tutto di qualità, ero seduto al tavolo. Totale 12 euro, 5 il Friulano e 7 per il Campo Sella, buono no?. Ci tornerò ad assaggiare lo Chardonnay e l’Amarone, magari con i bambini che farò giocare con la splendida Berkel all’ingresso tra un succo di frutta e l’altro, così non si annoieranno.
Buon weekend
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