Questo vino rosso, Olevano Romano DOC, è ottenuto da un vitigno tipicamente Laziale, il Cesanese di Affile. Amo questo terroir con i suoi terreni di origine vulcanica che conferiscono ai vini un carattere unico. In più, questo Silene, viene vinificato e affinato in cemento, altro materiale che apprezzo nel conferimento di sensazioni minerali ai vini.
Il nome Silene arriva da un fiore molto diffuso in queste zone, il Silene Vulgaris. Nel calice il vino si mostra di un bel rosso rubino che annuncia profumi di fiori scuri come la viola ed erbe aromatiche. L’assaggio trasmette completezza e vitalità. Gli aromi si allargano sui frutti di bosco in confettura e le erbe balsamiche vanno sul retronasale come una caramella Ricola che ti entra nelle narici. Acidità, e tannini composti, aiutano e invogliano l’abbinamento con un cibo grasso e succulento. La componente di sapidità gioca un ruolo importante nel conferire carattere e mantenere vivo il desiderio del nuovo sorso. Che altro dire, è buono, pulito e aperto, di grande bevibilità, succoso e appagante nella progressione e nel finale fruttato.
A Milano e in tante altre località siamo ancora in zona rossa, ma finché c’è la salute e la possibilità di degustare ottimi vini, tutto è sopportabile. Complimenti a Damiano e Letizia per questo Cesanese, e Auguri per i 20 anni di attività vinicola.
Il loop cromatico della lombardia è nuovamente sul rosso. Alzo il bianco e scappo nel Carso con questa Vitovska che ho nel calice. Il produttore è l’Azienda Agricola Castelvecchio.
Profuma di fiori di acacia e di erbe aromatiche. All’assaggio è fine, pulita, elegante. Nasce in quella zona dove l’Isonzo inizia a piegare per dirigersi verso il mare, a Sagrado, nel Carso Goriziano. Su terreni di roccia calcarea e di terra rossa ricca di minerali.
Si esprime sugli aromi floreali anche nel retronasale. All’orizzonte si sente un soffio marino e salino. È una Vitovska del 2019. Buona la persistenza in bocca e anche l’equilibrio generale. Le uve sono coltivate in regime biologico e vinificate in acciaio. È una Vitovska delicata rispetto ad altre espressioni molto sapide e spigolose che mi è capitato di assaggiare. Qui prevale la fragranza e la bevibilità. Ne risulta un vino di precisione, perfetto accompagnamento ad un aperitivo di mare.
Oh yes!, viva la Barbera affinata in legno. Auriel, è la cantina di Felice Cappa e sua moglie Marta Peloso. Realizzano questa Barbera del Monferrato utilizzando uve coltivate in regime biologico/biodinamico su terreno argilloso-calcareo a circa 350 m slm. Le uve fermentano con lieviti indigeni, il vino affina 12 mesi in botti di rovere da 20/35 hl – non viene filtrato. L’ Annata che assaggio è la 2018.
Profuma di ciliegie e piccoli frutti neri, legni antichi e incenso. All’assaggio ha quella bella verve tipica della barbera, con sentori di viola e prugna nel retronasale. Il legno l’ha resa più docile, anche nel retrogusto che riporta note vanigliate. Il tannino è evoluto e fine, insieme all’acidità se la giocano a tenere a bada il 14% di volume alcolico. È comunque una Barbera di razza, vibrante e tesa, dal finale sapido e fruttato. Ho chiuso gli occhi e sognato il gran bollito piemontese ad accompagnarla.
Chardonnay e Franciacorta sono un connubio perfetto quando si parla di vini spumanti. In questo SoloUva Brut si aggiunge poi la caratteristica territoriale di Adro, con i suoli morenici (limi, argille e detriti), e una vinificazione che gli conferisce tipicità.
È un Metodo Classico rifermentato in bottiglia senza aggiunta di zuccheri, al loro posto viene utilizzato il mosto conservato dopo la pressatura. Riposa poi sui lieviti per 24 mesi e quando è il momento della sboccatura e del dosaggio, si usa ancora una piccola percentuale di mosto (4g/l) per la versione Brut. A questo punto lo spumante è pronto, ma rimane ancora qualche mese in bottiglia prima della commercializzazione.
Il risultato è intrigante. I profumi hanno il bel frutto fresco dello Chardonnay e si aggiungono note balsamiche vegetali. Le bollicine, fini e numerose, portano nel palato tanta freschezza. Raggiunge sensazioni aromatiche di erba sfalciata e mentuccia che si allargano poi sul frutto bianco e su note appena accennate di pasticceria. Il tutto è condito da una bella sapidità. Di fatto è un extra brut, verticale e persistente negli aromi.
All’opulenza e rotondità che spesso si riscontrano in altri Franciacorta, qui prevale la freschezza e la finezza e una tipicità davvero interessante.
A proposito di sostenibilità, il mondo del vino ha ampi margini di miglioramento, sia per quanto concerne i trattamenti in vigna che per la gestione del prodotto finale e del suo packaging.
L’impatto, o impronta carbonica della bottiglia in vetro, è rilevante. Il vetro, per quanto riciclabile comporta costi enormi per la movimentazione sia in andata che di ritorno per la parte che viene riciclata. Il packaging gioca quindi un ruolo fondamentale nel tema della sostenibilità.
Ormai si trovano sul mercato varie soluzioni come le lattine, i bag in box, i sacchetti ecc., ma nessuna di queste ha un appeal paragonabile al vetro. Una delle alternative più interassanti è la bottiglia “Frugal“ dall’azienda inglese Frugalpac.
Non è esattamente una novità ma inizia a diffondersi nel mondo ed anche in Francia suscita interesse come imballaggio rispettoso dell’ambiente.
Nel video le caratteristiche della bottiglia in cartone Frugalpac.
La bottiglia è in cartone riciclato al 94% con rivestimento interno adatto a contenere vino o altre bevande. La bottiglia è completamente personalizzabile e pesa solo 83g. I due materiali che la compongono sono riciclabili.
Una bottiglia in vetro (stile bordolese) pesa circa 500g.
In Italia è già stata adottata dalla Cantina La Goccia, in Umbria, per uno dei suoi vini rossi (blend di Sangiovese, Merlot e Cabernet), distribuito in UK.
È rivoluzionaria se si pensa alla storia della bottiglia in vetro, peraltro inventata in Inghilterra nel 1652 per merito di Sir Kenelm Digby.
Vetro forever o la guardate con curiosità? Io la vorrei maneggiare, sentire il vino come esce e soprattutto assaggiarlo per percepirne le sensazioni/diversità. Il vino di qualità lo immaginiamo in vetro, così come tutto il rito di mettere la bottiglia in tavola nel suo classico contenitore, stapparlo e portare il sughero al naso per sentirlo profumare di vino… Qui anche il tappo a vite non lascia spazio alla tradizione. Ma forse sono solo dei tabù ed è il momento di metterli in discussione ed immaginare un futuro diverso.
Anche valutando il trasporto in scatole, con più bottiglie, ha i suoi vantaggi. Non avrebbe la necessità dei tipici rinforzi in cartone usati per il vetro o le enormi quantità di polistirolo o di sacchetti gonfiati, tutto si alleggerisce. Infine il riciclo dei due materiali è decisamente più semplice ed economico rispetto al vetro.
Per una cantina ci vuole coraggio a fare una scelta del genere ma se si è già intrapreso un percorso di sostenibilità potrebbe essere il tassello finale più armonico e coerente. Penso ad esempio alle varietà Piwi coltivate in biologico dove anche i consumatori, sensibili alle questioni ambientali, potrebbero recepire con favore una proposta di questo tipo.
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