Atis è un Bolgheri Superiore dal profilo aromatico complesso, davvero invitante, i frutti rossi incontrano la macchia mediterranea donando profumi balsamici eleganti e intensi, di bacche nere, erbe aromatiche e spezie.
Annalisa e Michele Scienza conducono l’azienda agricola in armonia con il territorio e con l’intento di farlo esprimere in tutto il suo potenziale nei loro vini.
L’assaggio conferma l’eleganza e gli aromi ai quali si aggiungono note di tostatura in legno che arrotondano il sorso e lasciano ricordi speziati di vaniglia e cioccolato.
Ha un corpo robusto, potente nelle sensazioni al palato, di pienezza e struttura, senza risultare troppo impegnativo nel sorso. Ha un’acidità di base che lo rende equilibrato e piacevole pur avendo un volume alcolico del 14,5%. Il tannino è vellutato e ben integrato nella trama complessiva.
Nel finale torna un bel frutto rosso sotto spirito lasciando la bocca pulita con sensazioni dolci e morbide. Pare quasi superfluo dire che la persistenza è lunghissima e di grande finezza.
Atis arriva da un assemblaggio di uve prevalentemente di Cabernet sauvignon insieme a Rebo e Cabernet franc. Le piccole particelle dei vigneti sono coltivate sulla collina di Segalari in Bolgheri, con esposizione est-ovest su terreni di origine alluvionale costituiti da una matrice sabbiosa-argillosa ricca di ciottoli.
Affina due anni in barrique di rovere e un anno in bottiglia prima d’essere messo in commercio.
ATIS è il nome di un re che un mito pone alle origini degli Etruschi, prima civiltà della nostra terra e primi viticultori.
Non voglio dare punteggi ma lo metto tra i grandi rossi e tra i miei preferiti. Un vino che parla dell’Italia e del magnifico territorio bolgherese, un tuffo nella vegetazione mediterranea in cui si sente il respiro del mare intorno.
Visto il periodo lo consiglio in abbinamento alla tradizionale grigliata di Pasquetta.
Vino proveniente da uve di Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot e Cabernet Franc coltivate in regime biologico nella Vallagarina, su terreno calcareo-dolomitico. Vinificazione a contatto con le bucce di 15-18 giorni e maturazione prima in barrique per 18 mesi e poi in botte grande per 6 mesi ed altri 18 mesi in bottiglia.
In etichetta è riportata una mappa del 1700 in cui il fiume Adige che scorre vicino all’azienda è indicato come Fuflus a ricordare il fluttuare dell’acqua ma anche il dio etrusco del vino Fufluns.
Il vino si presenta con un colore compatto, rubino sull’unghia. Profumi di piccoli frutti neri macerati, more, mirtilli. Ricordi vegetali di sottobosco ed erbe balsamiche.
L’assaggio mostra un vino ‘vivo’, succoso nella percezione del frutto. Il tannino è evoluto, morbido nel palato. Ingresso fragrante poi si espande e si allunga lasciando una scia aromatica nel retrogusto in cui arriva tutta la complessità di questo vino. Le note balsamiche si aggiungono ad una mineralità e finezza che rendono il vino molto piacevole. Inizialmente l’ho degustato leggermente fresco, poi lasciandolo aprire mostra la bella speziatura dell’affinamento in legno, si arrotonda ed espande riempiendoti il palato di aromi che ricordano il cacao e legni esotici. Ha muscolatura e corpo, trasmette vigore e territorialità. Mi piace come tutte e quattro le varietà disegnino un profilo armonico in cui emerge il territorio e la filosofia produttiva di Filippo Scienza.
Il Fuflus di Vallarom è in sintesi l’espressione di una viticoltura antica che trova nell’equilibrio con la natura la sua sintesi. Un vino rosso che chiama le carni rosse e i formaggi di malga. Da provare.
È un Bolgheri rosso Doc prodotto nell’unico comune della denominazione, Castagneto Carducci. Le uve sono di Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah e Petit Verdot. Vengono vinificate separatamente con fermentazione e macerazione in acciaio per circa 3 settimane. L’affinamento è di circa un anno in barrique e tonneaux nuove ed usate di media tostatura. Segue l’assemblaggio e il riposo in bottiglia per minimo 6 mesi prima della commercializzazione. Non è il vino di punta di Campo alle Comete, è quello che i francesi definirebbero “second vin”.
Stupore 2017 mostra un colore dal tono scuro, rubino/granato. Consistente, disegna lenti archetti nel calice. I profumi sono intensi, di piccoli frutti rossi e neri in confettura a cui seguono note balsamiche e speziate. Vaniglia, liquirizia. L’assaggio è succoso e tannico. Di corpo e caldo nella progressione. Ha il 14% di Vol.
In ingresso è vigoroso e fresco, poi si ammorbidisce lasciando una sensazione cremosa al palato ed una lunga persistenza aromatica.
Buono nel retrogusto, si confermano gli aromi e si evidenziano le note di tostatura facendo arrivare al retronasale quella sfumatura balsamica che dona eleganza al vino.
È un vino “completo“, risponde bene a tutti i parametri. L’assemblaggio è fatto con precisione per farsi apprezzare da un’ampio pubblico. Anche il rapporto qualità/prezzo è ottimo.
Il tannino consiglia qualcosa di grasso e succulento, Carne rossa, formaggi stagionati… l’ho degustato piacevolmente con un hamburger fatto in casa.
Come ultima osservazione voglio dire che la definizione “second vin” possiamo lasciarla ai francesi, merita una considerazione superiore.
Il “Sass de la Luna” è una marna calcarea, grigia e friabile, con proprietà di ritenzione e cessione graduale dell’acqua. Potremmo essere nelle Langhe ed invece siamo sul colle di Loreto a Cenate Sotto (BG). L’altitudine dei vigneti è di circa 400 m/slm su cui arriva l’aria ventilata dal monte Misma.
Qui domina Pietramatta, la creatura di Andrea Sala, nata “in garage” circa 20 anni fa ed ora consolidata in una produzione di qualità dove trova posto anche un rosato secco da uve di Moscato di Scanzo.
Nel Sass l’uvaggio è quello tipico bordolese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Le uve sono raccolte a mano e fermentate in legno. Il vino affina 18 mesi in barrique e 4 mesi in bottiglia.
Si presenta in una bottiglia minimalista serigrafata e dominata dalla cera rossa a preservare il tappo di sughero. Nel calice il rosso è sostanza, luminoso, limpido e sinuoso nel movimento. Raccoglie profumi di bacche nere, more, sottobosco, rose rosse, richiami balsamici e speziati di tostatura in legno. Trasmette un bouquet variegato ed equilibrato con un accento tipico di Cabernet.
L’assaggio restituisce nel retronasale le fragranze fruttate, accompagnate da ricordi vegetali. Scorre fresco d’acidità lasciando sensazioni minerali tra le guance e saline nel finale. Sfuma lentamente negli aromi in un piacevole ricordo di frutto fresco. Dal lato tannini la percezione è di “discrezione”, sono precisi, composti. Il volume alcolico è del 13%.
Nel complesso è un bel rosso che si fa degustare con facilità, ideale per accompagnare una cucina contadina, cioè fatta da sapori autentici come possono essere una pasta all’uovo fatta in casa, delle carni lesse o l’immancabile polenta taragna della zona.
Sass ha conquistato 3 Rose Camune sulla guida 2022 AIS Viniplus dedicata ai vini di Lombardia.
Da qualche tempo non scrivevo di vino, mi mancava dedicarmi a questa passione. Diciamo che ora ricomincio, con dei “rossi”, il miglior modo per rimettermi in sesto. Nell’arco della settimana ho assaggiato questi tre vini, tutti meritano d’essere ricordati e magari diventare un buon consiglio d’acquisto per le prossime festività. Tre vini molto diversi che sanno raccontare ognuno il proprio terroir in modo unico. Visto che le feste si avvicinano ne consiglio l’acquisto, sia per il consumo personale che per un regalo.
Basadone 2020, Castello di Verduno – Verduno DOC
Le Langhe non sono solo Barolo e Barbaresco, il Verduno Pelaverga è un’altro gioiello di questo territorio.
Il “Basadone” che ho in degustazione, il cui nome localmente indica il papavero ed anche un bacio, in omaggio alla tradizione popolare che vuole questo vino afrodisiaco. È ottenuto da uve di Pelaverga piccolo, vitigno autoctono coltivato nel comune di Verduno. Un vitigno unico, mitologico, presente nelle Langhe dal 1600.
Si presenta nel calice di un bel rosso rubino luminoso con riflessi granato e profumi di piccoli frutti rossi e spezie.
È all’assaggio, nel retronasale, che mi regala gli aromi più intensi e balsamici. La speziatura di pepe e noce moscata segna l’andatura ricamando contorni eleganti al fruttato succoso di ciliegia e marasca. Il tannino è delicato, domina la freschezza e una piacevole sapidità finale.
È un vino di grande personalità e facilità di beva. Un vino che definirei da ‘cerimoniale’, al servizio della liturgia quotidiana che vuole ogni assaggiatore prendersi cura di ogni aspetto della degustazione, dal calice all’abbinamento. Ho scelto a tal proposito un risotto alla zucca la cui dolcezza e aromaticità si sposano perfettamente con questo vino la cui persistenza sfuma delicatamente dopo parecchi secondi.
Eleganza, pulizia e personalità sono le caratteristiche che meglio descrivono questo vino in cui la nota speziata gli conferisce unicità.
Il produttore è il Castello di Verduno, hanno una storia talmente lunga che ci vorrebbe un articolo dedicato solo a questo. Basti pensare che inizia nel 1500 con la costruzione del castello e nel 1838, a seguito dell’acquisto da parte di Re Carlo Alberto, il Generale enotecnico Paolo Francesco Staglieno sperimenta le prime vinificazioni del Nebbiolo con il metodo suggerito da Giulia Falletti Colbert, gettando le basi del Barolo odierno. Nel palazzo soggiornò per lunghi periodi Oddone, figlio di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide. Insomma qui è si è scritta una delle pagine più importanti dell’enologia italiana. Dagli inizi del ‘900 il Castello è di proprietà della famiglia Burlotto.
Ludi 2017, Velenosi – Offida DOCG
Il colore si nasconde sotto un manto scuro, si scopre rubino e purpureo sull’unghia. Si muove pesante lasciando uscire aromi di piccoli frutti neri macerati, note di tostatura in legno con richiami alla vaniglia e alle spezie accompagnate da ricordi di sottobosco ed erbe officinali.
L’assaggio è caloroso, vellutato nei tannini con sensazioni gliceriche e pseudo caloriche, ha il 14.5% di Vol. alcol. Sostenuto da una buona acidità si allunga esaltando aromi retronasali di frutta carnosa, ciliegie surmature, mora, liquirizia… Rimane a lungo con i suoi aromi e lo fa in modo elegante ed equilibrato.
La sensazione di ‘pienezza’ caratterizza questo vino di grande corpo. Esprime calma, voglia di fermarsi e godere con tutti i sensi di questo vino. Una volta assaggiato ci si può dimenticare di tutto il resto, a parte una buona compagnia e un abbinamento culinario adeguato, suggerisco gli arrosticini.
Il Ludi è composto da un uvaggio di Montepulciano 85%, Cabernet Sauvignon 8% e Merlot 7%. I vigneti marchigiani sono situati nei Comuni di Offida e Castel di Lama tra i 200 e i 250 m/slm su terreni argilloso-calcarei. Nella vinificazione viene fatta una macerazione di circa un mese e un affinamento di 18/24 mesi in barrique nuove.
La cantina Velenosi si trova ad Ascoli Piceno, è uno dei produttori di riferimento della regione Marche. Più volte ho assaggiato i loro vini ed anche questa volta ho ritrovato la consueta alta qualità.
Aggiungo un solo dettaglio finale, post assaggio, dopo aver scoperto l’uvaggio: penso che quella piccola percentuale di Cabernet faccia la differenza e gli doni quei toni tipici della varietà che insieme al bel fruttato e al corpo dato dal Montepulciano e dal Merlot rendono speciale e completo questo vino.
Neromagno 2018, Emilio Sciacca – Etna Rosso DOC
I toni di rosso rubino e granato splendono in questo Etna Rosso, limpido e molto consistente alla rotazione, ricama begli archetti sulle pareti del calice.
I profumi mi trasportano nella macchia mediterranea con sentori di bacche ed erbe aromatiche, piccoli frutti rossi macerati, sotto spirito, e qualcosa che ricorda il mare, il salmastro. Decisamente un bouquet interessante. All’assaggio esplode tra le guance un bel frutto rosso succoso accompagnato da note di tostatura in legno, immagino siano barrique. È un susseguirsi di sensazioni tattili, all’inizio quasi sabbioso come a ricordarmi il terreno, poi calde e avvolgenti di un volume alcol del 14%. Si sente la montagna, il vulcano, con le note saline e un ricordo sulfureo. I tannini sono ben integrati e si fanno percepire nella richiesta di qualcosa di succulento. In questo vino si può tranquillamente parlare di mineralità in quanto si somma la sapidità a ricordi sulfurei e ferrosi. Fresco e dinamico nel sorso si apre in tante direzioni facendosi apprezzare per equilibrio e complessità.
Il Neromagno fermenta con lieviti indigeni ed affina per il 70% in tini d’acciaio e il 30% in botti grandi di rovere (ops pensavo alle barrique) di secondo o terzo passaggio per 18 mesi, poi alcuni mesi in bottiglia. Non filtrato. In effetti l’apporto del legno è solo un dettaglio, un minimo contributo che però gli smussa gli angoli e dimostra una ricerca di armonia.
Le vigne di Emilio Sciacca si trovano sul versante nord dell’Etna, coltivate in regime biologico su terreni di matrice vulcanica e sabbiosa. Nerello Mascalese 95% e Nerello Cappuccio 5% sono le varietà in uvaggio di questo Neromagno.
Mi piace perchè riesce a mantenere un carattere sincero, naturale, e presentarsi allo stesso tempo in modo preciso e curato. Vorrei immediatamente un panino con la salamella, tutto sarebbe perfetto.
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