Dopo un anno di lavoro è stato presentato nel mese di dicembre 2023 il volume di 340 pagine dedicato ai PIWI in cui sono coautore insieme ad Ivano Asperti.
L’opera è a colori e rilegata in brossura, raccoglie tutte le informazioni più aggiornate sul mondo dei PIWI, in Italia e non solo. La storia, il futuro e numerose testimonianze dirette dei viticoltori.
Sono inoltre catalogati tutti i produttori PIWI italiani e i vini in commercio. Se volete approfondire questo affascinante argomento potete acquistare il libro a questo Link di Dipende che Vino. Vi verrà poi spedito in modo sicuro in tutta Italia come raccomandata di Poste Italiane.
Per quantitativi di 10 o più copie abbiamo previsto uno sconto speciale sul prezzo di copertina, contattatemi se siete interessati: mail.
Il libro è in vendita anche presso l’enoteca Dipende che Vino in via R. Bonghi 12 a Milano.
Parlare di questo vino è come mettersi in viaggio e veder scorrere un bel panorama dal finestrino. La partenza è in Val di Non, Trentino, nel vigneto di Coredo particella 209. Siamo a oltre 800 m di altitudine su suoli prevalentemente composti da dolomia dove, su 1000 mq., sono allevate ad alberello le viti di Johanniter. Una varietà resistente alle malattie fungine che resiste molto bene anche al freddo.
È la prima vendemmia, dell’ottobre 2013, svoltasi sotto una nevicata, ad aver dato il nome a questo vino della neve. Nel calice ho l’annata 2017, un vino cristallino e molto profumato che trasmette il suo carattere alpino, di fiori bianchi ed erbe aromatiche. Mi porta oltre, a note terziarie che ricordano la parentela con il Riesling. L’assaggio è strepitoso, freschezza e acidità introducono un susseguirsi di aromi retronasali, un ricordo di mentuccia ed erba tagliata che passa all’agrumato citrino e arriva alla polpa di mela. Il sorso è accompagnato da una sensazione setosa di estrema eleganza, una carezza che lascia infine spazio alla sapidità e alla voglia immediata di ripetere il sorso. Wow! Dal finestrino vedo il sole accecante riflettersi sulla neve, sento l’aria pulita e frizzante.
Ora capisco il valore di questo vino e sono felice d’aver assaggiato la bottiglia nr. 306 delle 518 prodotte. Il senso di Nicola per il vino è davvero grande. Questo Vin de la Neu è uno dei migliori vini bianchi assaggiati, uno Johanniter che se dovessi valutare con un punteggio classificherei oltre i 95 punti. Le uve fermentano e affinano in barrique per 11 mesi. Fare un grande bianco che passa in legno non è da tutti, Nicola dimostra grande capacità e precisione. Il Vin de la Neu si distingue per l’armonia delle componenti e per la piacevolezza che se ne trae degustandolo. La persistenza è lunga e sempre elegante, sfuma lasciandoti la sensazione di un grande vino, come l’uscita di scena di una diva tra gli applausi che subito dopo è richiamata al palco dalle richieste di Bis. Il volume alcolico è del 12,5%. Questa bottiglia finirà molto prima di quello che vorrei.
Milano 16 gennaio 2021 Ho infranto la zona rossa con un grande bianco
Vin de la neu di Nicola Biasi, Via San Romedio 8 Fr. Coredo, Predaia (TN) – sito web
Era il titolo dell’evento organizzato da Onav Varese nella bella location del Gran Palace Hotel. A presentarlo uno dei massimi esperti in materia di incroci di viti, il professore e breeder Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Tn). Il suo racconto ci ha accompagnato in un bel percorso di conoscenza delle varietà e di degustazione di 10 vini.
Sostenibilità, rispetto ed espressione del territorio sono impliciti nelle varietà di viti resistenti (PIWI) ma la collocazione e la percezione di questi vini sul mercato non è ancora chiara. Se da una parte si possono produrre vini con un minor costo in vigna e in zone considerate “meno vocate”, dall’altra c’è una ricerca e una sperimentazione di qualità che punta alla migliore espressione varietale possibile in un determinato territorio.
A mio avviso una strada non preclude l’altra e infatti abbiamo produttori con vini Piwi che si posizionano su fasce di prezzo molto diverse, dovute al diverso impegno e investimento piuttosto che a pure logiche di marketing.
Dalla serata è emerso (ancora), come i nomi possano essere un ostacolo all’accettazione di questi nuovi vitigni, vuoi perchè troppo fantasiosi (es. Solaris, Bronner..) o all’opposto troppo vicini agli storici genitori (Cabernet, Pinot, Merlot…). Dovremmo pensare maggiormente alla valorizzazione dei territori produttivi piuttosto che focalizzarci sui nomi… All’assaggio i vini hanno sorpreso e ricevuto numerosi apprezzamenti e qualche critica. Penso agli spumanti e ai bianchi dalla grande acidità che qualcuno ha trovato eccessiva. Cosa che per me è invece una grande dote. Amo la mineralità, la sensazione tagliente e la scorrevolezza nel palato indotta da un buon livello di acidità.
Penso che l’approccio ai vini Piwi richieda un’apertura mentale al nuovo, alla diversità gustativa. La “comfort zone” del vino di ogni winelover dovrebbe essere un luogo aperto dove selezionare tramite il nostro gusto tutto ciò che di buono viene prodotto, indipendentemente dal nome che porta. Per alcuni è però un luogo chiuso da tempo, fatto magari da poche varietà ed etichette. Ciò che differenzia un Piwi da un vino “tradizionale’ è un plus, non un deficit.
Tornando alla serata, la degustazione è stata fantastica per tipologie assaggiate. Oltre ad apprezzare i vini provenienti da diverse regioni in cui è consentita la coltivazione, si sono assaggiate le microvinificazioni di due nuove varietà appena iscritte nel registro nazionale.
Il Pinot Regina, sebbene vinoso ed evidentemente giovane al gusto, ha lasciato percepire la nobile parentela e la potenzialità di evoluzione. Sono certo ne usciranno grandi vini.
Ancora più interessante l’F22P010 il vino (ancora senza nome), nato in FEM dall’incrocio di Teroldego e Merzling. Dimostra già una bella struttura e bevibilità. È una microvinificazione che senza dubbio convince e che spero possa essere il primo step per una rapida diffusione e valorizzazione in bottiglia.
Purtroppo quando si parla di nuove varietà si mettono in conto tempi lunghi prima di raccogliere i risultati. Ci vorrà ancora qualche anno per trovare questi vini in commercio ma è ormai un traguardo vicino se si pensa ai quasi 15 anni di lavoro precedenti.
Gli altri vini degustati:
Zero Infinito, Pojer e Sandri (Trentino; uve Solaris; spumante metodo ancestrale)
Santacolomba Brut, Cantina Sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; spumante metodo classico)
Santacolomba Più forte della magia, Cantina sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; bianco)
A-Mors 2019 bianco, Le Rive (Veneto; uve Fleurtai, Soreli e Sauvignon Kretos)
Limine 2017, Terre di Ger (Friuli Venezia Giulia; uve Soreli 90%, Sauvignon Kretos 10%; bianco)
El Masut 2017, Terre di Gerr (Friuli Venezia Giulia; uve Merlot Kanthus e Merlot Khorus; rosso)
A-Mors 2019 rosso, Le Rive (Veneto; uve Cabernet Volos)
Se dei bianchi si sono apprezzate le grandi doti di freschezza ed eleganza, nei rossi ha colpito la personalità ormai matura e capace di viaggiare allo stesso passo dei più conosciuti bianchi. Non mi sento di evidenziare nessuno perchè ognuno racconta davvero qualcosa di diverso e di egualmente interessante, perciò provateli e scoprite voi quali preferite!
Altra bella sorpresa della serata è stata una cassetta colma di grappoli di uve PIWI da tavola che si sono potute assaggiare. Zero trattamenti e 100% buon gusto.
Il futuro è anche questo.
Ringrazio Micaela e Umberto di Onav Varese, il Prof. Stefanini di FEM e Vincenzo di Civit per la bella serata e per lo sguardo verso il futuro che mi hanno regalato.
In lingua Indi vuol dire “in piedi” ma dubito che Alessandro Sala della Cantina Nove Lune pensasse a questo. Poi ho aperto il vino e sono stato catapultato in un’altra realtà. Ero io a stare “in piedi”, nella piazza del paese, e con la folla vociante dei concittadini trepidanti. “Fate spazio, allargatevi, arriva la banda” urlava il messo comunale. Sono in tanti a suonare. Li sento da lontano, Grancassa e Trombone, una marcia sinfonica. È la banda degli Aromi con i loro frutti canditi che arrivano subito alle narici. All’ingresso del paese posso vedere i più giovani nelle prime file e sentire le note floreali e agrumate. Seguono composti gli sciroppati, di albicocca e pesca gialla che dettano il ritmo. Eccoli arrivati al centro del paese tra gli applausi, in fila e ordinati, nelle loro eleganti divise arancioni. È una festa, scoppia un petardo, lo scompiglio è nel calice, arrivano note speziate e ricordi di pietra focaia. Si riprende la sfilata, inizia l’assaggio. Li guardo avanzare con gran portamento, ora seri sulle note armoniche retronasali di resine e miele. Le majorettes mi solleticano le guance con i loro pon-pon setosi e minerali. Gli orchestrali avanzano senza sosta, ora suonano i flauti, incantano con ricordi estivi di spiaggia, di sole e di mare. È la festa di fine agosto. Li guardo diventare piccoli mentre si allontanano. Fiori alle finestre, e profumo di festa. Il paese, come il calice, è piccolo, rifaranno un’altro giro. Gran festa a Rukh, di profumi e di aromi unici.
Per scoprire Rukh segui le indicazioni di Nove Lune, direzione Valpredina. All’incrocio dei vitigni resistenti alle malattie fungine prendi per Bronner e Johanniter. Rukh si trova esattamente a metà strada, a circa 450 m/slm nella zona dell’oasi WWF. Quando arrivi non suonare Orange wine, sarebbe riduttivo. Chiedi del bianco macerato sulle bucce, quello “in piedi”, vinificato e affinato in anfora.
Ps. Poco prima che pubblicassi il post ho scoperto che Rukh è in realtà un riferimento alla Costellazione del Cigno, “Delta Cygni” conosciuta anticamente con il nome Persiano di Rukh o Ruc. In effetti ha più senso visto il nome della cantina “Nove Lune”. Ora potrei immaginarmi in un viaggio interstellare nella costellazione di Rukh …ma ve lo racconto alla prossima bottiglia 🤣
Nove Lune, Via Valpredina 5, Cenate Sopra (BG), sito web
Articolo pubblicato anche su Vini e Viti Resistenti il sito dedicato alle varietà Piwi di dipendechevino
All’invito di trovarsi in Oltrepò non potevo che rispondere sí. È una zona incredibilmente bella e vocata alla viticoltura. Poi per l’occasione, si è aggiunta anche la parola PIWI a rendere più interessante questa visita.
L’Azienda Agricola Dellafiore Achille si trova in frazione Costa Montefedele a Montù Beccaria (PV), è posta al culmine di una delle tante piccole colline che sembrano srotolarsi sulla pianura padana. L’altitudine è di circa 200 metri, non è molto ma da qui si gode un panorama fantastico sui vigneti. L’ora del tramonto è un momento magico che tinge di rosa la pianura.
Questa azienda, a conduzione familiare, è alla quarta generazione. Simone, uno dei figli, ha iniziato una piccola produzione con uve resistenti (Piwi), che affianca a quella tradizionale, basata sui vitigni di Bonarda, Barbera, Riesling, Malvasia, Moscato e Pinot nero.
La vigna di Johanniter che visitiamo sembra essersi adattata perfettamente a questo terroir. Le due lepri che a un tratto sbucano dall’ultimo filare ne certificano l’ecosostenibilità senza bisogno di altre parole. Negli occhi di Simone si legge l’orgoglio per questo piccolo appezzamento sano e rigoglioso. Arrivano da qui le uve dello suo Johanniter, un vino bianco frizzante, realizzato con il metodo ancestrale cioè con una fermentazione che viene fermata e poi ripresa in bottiglia senza aggiunta di zuccheri e senza sboccatura (col fondo).
La bottiglia si presenta con una bella immagine, giovane e di sicuro appeal. Joh rimanda al linguaggio rap e parla con gli hashtag, un richiamo verso la condivisione, quella reale, con gli amici.
Veniamo all’assaggio; l’ho capovolto per rimettere in sospensione il fondo che comunque è molto fine e non visibile se non nella leggera torbidità del colore. Al naso si percepiscono aromi agrumati, di pesca gialla e fermentativi. Andando poi a liberare le molecole con una energica rotazione escono sentori di pietra focaia e speziati, direi ricordi di Riesling, il papà. All’assaggio e leggermente frizzante e sapido, ha una bella acidità che fa salivare. Sulla lingua percepisco un frutto fresco e croccante abbastanza persistente ed una piacevole sensazione minerale sul finale. Il volume alcolico dell’11,5% rende questo vino molto gradevole da bere con questo caldo rispetto ad altri bianchi più strutturati (perlomeno non inizi a sudare al secondo calice). È il vino che vorrei trovare su una tavola apparecchiata all’aperto, come aperitivo e come accompagnamento alla serata fino al calar del sole. “Mi piace assai”, lo trovo azzeccato nella sua identità e sono felice di sentire da Simone che anche tra i suoi clienti abituali stia ottenendo successo.
Joh è il primo Johanniter dell’Oltrepò, una novità dirompente se si si pensa al contesto. Non si sta aggiungendo un’altro vino al parterre dei vini dell’Oltrepò ma piuttosto un concetto nuovo di viticoltura, più sostenibile e capace di intercettare nuovi consumatori. Joh, è un precursore, figlio della caparbietà di chi non si arrende alle difficoltà e guarda al futuro da una prospettiva diversa, positiva e resistente in ogni senso. Joh non intacca minimamente il mercato dei Classici rossi e spumanti dell’Oltrepò ma all’opposto potrebbe dare loro una spinta nel farli conoscere ai più giovani. Joh è un alfiere in un campo ancora tutto da esplorare, rispettoso del passato ma voglioso di conquistare nuovi mercati e trofei, che sono sicuro arriveranno.
L’Azienda Dellafiore Achille è in via Per Bosnasco 14, Frazione Costa Montefedele, Montù Beccaria (PV) – sito
Aggiungo una doverosa nota di ringraziamento a Piwi Lombardia e ai suoi associati per avermi invitato a condividere con loro la giornata da Dellafiore e per la bella serata passata insieme all’Agriturismo Bricco dei Ronchi.
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