Versare questo vino nel calice è come tornare a casa d’inverno e aprire la porta d’ingresso su una stanza calda e accogliente dove ad aspettarti ci sono i tuoi migliori amici. Sono i profumi che amo del Nebbiolo, intensi di viole e more surmature. Il vino si apre in uno spazio balsamico con note speziate e ricordi di menta. Wow, assaggiandolo gli aromi si compattano in una unica e armonica sensazione di piacevolezza. Continua progressivamente sugli aromi di ciliegia sotto spirito e cacao. Dire che è avvolgente è riduttivo, è piuttosto un abbraccio energico e lungo. Scalda il cuore ed emoziona. I tannini sono in livrea ed hanno steso il tappeto rosso di velluto per far scorrere il potpourri che lo caratterizza. Ascolti ad occhi chiusi, e pensi che stai degustando qualcosa che va ben oltre la semplice definizione di Langhe Nebbiolo. Mi sembra persino riduttivo pensare di accompagnarlo a qualcosa, però il 14% di Vol. alcolico è pronto a stenderti. Quindi meglio metterci su almeno del pane e companatico. Resta inteso che come vino da meditazione ha tanto da raccontare, Perbacco.
‘Il vino ci unisce’, è il titolo dell’iniziativa organizzata da Onav (organizzazione nazionale assaggiatori vino) che invita i soci a realizzare un video con la presentazione di un vino. Viviamo tempi difficili a causa del virus Covid-19 e tutto ciò che può restituirci un minimo di socialità è ben accetto. Il mio contributo vede protagonista un vino valtellinese, non uno banale, bensì quello che definirei il rosso più ‘robusto’ di Lombardia, lo Sforzato.
L’attesa è finita, il decennio è passato. Benvenuto Alivio! Il Barbaresco riserva 2010 di Rocche dei Barbari che tenevo in serbo da anni. Benvenuto nel calice e sulle papille gustative! Sei pronto ed elegante per questa serata unica. Porti con te profumi di fiori passiti, cacao, cuoio, goudron, liquirizia. È la compostezza e l’eleganza a contraddistinguerti. Hai un vestito su misura ed un corpo vigoroso con tannini che sono un tutt’uno con la tua calda morbidezza alcolica del 13,5%. Al gusto offri frutti macerati di ciliegie e mirtilli e mentre ti assaporo lungamente mi rendo conto che sei un grande equilibrista. Hai attraversato tutta la distanza della degustazione senza un minimo indugio, con grazia, sei arrivato in fondo lasciandoti dietro un ricordo aromatico di frutti in confettura e una leggera astringenza sulle gengive che sembra sollecitarmi un nuovo boccone e un nuovo sorso. Spettacolo, fuochi d’artificio sul palato. L’attesa è stata ripagata alla grande.
Buon 2020, almeno quanto questo Nebbiolo di Barbaresco.
Entrare in Fontanafredda è come fare un tuffo nel passato, tutto qui traspira storia. Da quella più lontana, agli albori del Barolo, fino alla più recente con la nascita del movimento Slow Food.
Il nome Fontana Fredda rimanda a documenti del 1700 che indicano una valletta fresca e ricca di fonti, di cui una che alimentava il pozzo e il sottostante laghetto ancora presenti nella tenuta. Gli edifici a righe del borgo sono distintivi delle proprietà Sabaude. Re Vittorio Emanuele II che divenne possessore nel 1858 donò la tenuta alla sua amante preferita, di umili origini, la ’Bela Rosin’ (Rosa Vercellana), conferendole anche il titolo di contessa di Mirafiore e Fontanafredda, che tra l’altro sono le due linee di vini prodotte ancora oggi.
Dall’amore del re con la Rosina nacquero Guerrieri Emanuele (poi divenuto conte di Mirafiori) e Maria Vittoria. A loro, nel 1860 vennero intestate le proprietà. Fu Emanuele che nel 1878 diede slancio alla produzione. Grazie alla passione e alle innovazioni introdotte, ad esempio quella dei condotti che permettevano i travasi senza dover caricare in spalla e trasportare il vino nelle sale d’invecchiamento sottostanti, la cantina visse anni di splendore.
Il borgo contemplava in sé tutto il necessario per la vita di una trentina di famiglie. Dal panificio alla scuola, fino agli spazi di svago del dopolavoro. L’attività principale era ovviamente legata alla produzione del vino, le cantine storiche sono tra le più belle al mondo. Impressionante il susseguirsi di botti e il cunicolo sotterraneo che collegava le zone di vinificazione a quelle di affinamento.
La tenuta conobbe in seguito anni di declino, anche per la terribile Fillossera che negli anni 30 distrusse i vigneti. La proprietà passò poi al Monte dei Paschi e il marchio ‘Casa E. Di Mirafiore’ alla famiglia Gancia. Nel 2009 la tenuta e i marchi sono stati acquisiti dal fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, il quale ha riportato allo splendore questo incredibile luogo.
La Fontanafredda di oggi conserva nel migliore dei modi gli edifici storici e il museo ma è anche un luogo di incontro, cultura e svago. È sede della Fondazione Mirafiore, vi sono diversi ristoranti, un hotel e spazi per incontri di lavoro e degustazione, inoltre nell’edificio principale è presente una bella enoteca dove acquistare tutti i vini prodotti in Fontanafredda e da Borgogno (altra cantina di proprietà dal 2008).
Uno dei luoghi più affascinanti di Fontanafredda è la ‘Rotonda’, attuale zona di affinamento con centinaia di barrique, un tempo era il fulcro della cantina, dove avveniva la pigiatura e la vinificazione. Qui ebbe luogo, nel 1986, la prima riunione di quel gruppo di amici capitanati da Carlin Petrini che diedero poi vita al movimento di Slow Food.
Altro luogo speciale è il ‘bosco dei pensieri’, dove poter passeggiare nella quiete tra piante secolari ed ammirando le colline vitate. Sono 122 gli ettari totali di Fontanafredda, di cui 100 di vigneti (78 intorno al borgo), 10 tra borgo e cantina e 12 di bosco. 400 le famiglie di contadini che conferiscono le uve a Fontanafredda. Il tutto nel rispetto del territorio e all’insegna di uve sane con certificazione biologica. I vini prodotti sono tanti, spumanti, bianchi e soprattutto rossi con le varietà tipiche piemontesi. Ovviamente il Nebbiolo è l’uva principe e le sue declinazioni in Barolo trovano diverse espressioni.
All’interno della tenuta, nello stellato ‘Guido ristorante’, ho avuto il piacere di degustare il Barolo ‘La Rosa’ 2013. Un Barolo importante tra i migliori simboli vinicoli di Fontanafredda, votato nel 2008 da Wine Spectator tra i 100 migliori vini al mondo.
Vigna La Rosa si esprime con grande eleganza e corpo, complice anche l’annata calda del 2013. Ai tipici profumi floreali di viola e rosa si associano un bel frutto rosso in confettura e sentori di sottobosco. Le note di affinamento in legno (3 anni) regalano un tannino vellutato e sentori di legni pregiati. Complesso e morbido come seta sulla pelle. Questo Barolo accarezza la lingua regalando una piacevolezza che si allunga snocciolando tante piccole sensazioni aromatiche. La Rosa accompagnata dalla faraona arrosto dello chef Ugo Alciati sono qualcosa di magico.
Nella tenuta Fontanafredda, anche per le dimensioni e la notorietà, non ci si può aspettare quell’atmosfera ‘raccolta’ tipica di altre cantine del Barolo però vale davvero la visita. È un luogo che fa capire bene quanta storia ci sia dietro al Re dei vini e quanto, un tempo, il lavoro avesse un valore ‘Alto’ che portava a condividere gli stessi spazi ed obiettivi, come in una grande famiglia, quella di Fontanafredda.
Tornare tra le colline delle Langhe, patrimonio dell’umanità, è sempre un piacere. Questa volta il mio interesse mi ha portato a Serralunga d’Alba, uno degli 11 comuni del Barolo, nella storica cantina ‘Ettore Germano’, viticoltori dal 1856. A condurre l’azienda sono Sergio Germano con la moglie Elena ma nelle retrovie si sta già formando la quinta generazione. Ad accoglierci troviamo Simona, un’amministrativa che si occupa anche dei clienti, simpatica e preparata ci accompagnerà nella visita e nella degustazione.
Il profumo di mosto arriva pungente dal piano inferiore, la vendemmia è stata fatta solo un paio di settimane fa. Nella zona di affinamento dei vini sono presenti botti di dimensioni diverse, barrique, tonneaux e botti grandi che arrivano ai 2500 litri.
Interessante vedere alcuni campioni di terreno provenienti da quattro cru, danno immediatamente l’idea delle diversità che caratterizzeranno poi anche i vini.
I suoli della zona di Barolo sono famosi per le marne, stratificazioni formatesi milioni di anni fa nel Miocene, quando qui c’era un mare. Il formarsi delle colline ha quindi mischiato i terreni creando infinite variabili di terreno. Da Germano, nel Cru Cerretta, si trova la marna di Sant’Agata (Tortoniano), il colore tende al grigio/blu, il terreno è calcareo/argilloso; il Cru Prapò è calcareo/argilloso con strati di arenaria; il Cru Lazzarito è calcareo con presenza di una vena ferrosa e di calcio; in Vignarionda è calcare marnoso.
Ci spostiamo poi nella sala di degustazione al piano superiore da cui si ha accesso a una grande terrazza sulle vigne. Si potrebbe godere di un bel panorama sulle colline ma purtroppo il clima è tipicamente autunnale con quella nebbiolina mista a pioggia polverizzata.
Nell’ampia sala sono presenti le belle carte tridimensionali di Enogea e i due ‘vangeli’ delle MGA così si possono vedere e comprendere sia la posizione dei Cru che le altitudini e le esposizioni.
Nel frattempo Simona ha preparato i calici ed iniziamo la degustazione con uno spumante metodo classico da uve di Nebbiolo al 100%. Si chiama Rosanna (nome della madre di Sergio) ed è un extra brut, affina sui lieviti per circa 18 mesi. È molto fine ed elegante con un bel finale dolce. Bella sorpresa, avevo assaggiato altri spumanti da Nebbiolo ma nessuno mi aveva mai conquistato, questo sì.
Il secondo assaggio è la Nascetta, tipico vitigno bianco piemontese, dimenticavo di dire che Sergio ha introdotto la coltivazione di uve bianche, i vigneti si trovano però in Alta Langa a Cigliè. Questa Nascetta è decisamente particolare per complessità aromatica, conserva una bella freschezza ed acquista sentori più minerali anche grazie all’affinamento in anfora. Altro assaggio il Binel (significa gemello in piemontese), un blend di 85% Chardonnay e 15% Riesling, piacevole anche questo con note burrose, morbide e fruttate tipiche dello Chardonnay ed arricchite dai sentori evolutivi tipici del Riesling.
A questo punto, dopo che avevo manifestato la mia curiosità su questo vitigno, Simona ci fa la sorpresa di farci assaggiare anche l’Hérzu 2011, Riesling 100%. Mi si allarga il sorriso, qui i sentori di idrocarburi danzano con il frutto in un contesto di acidità che mantiene la bocca pulita e pronta ad accogliere un nuovo sorso. Grande, potente, lunghissimo nella persistenza, peccato che le scorte siano finite e non si possa acquistare. Passiamo ai rossi iniziando da una Barbera d’Alba superiore ‘della Madre’ del 2016, si percepisce un bel frutto rosso maturo e le note di tostatura in legno (tonneaux per 1 anno), vaniglia, cacao. Anche qui l’acidità lo rende facilmente bevibile. Ed ora il Nebbiolo 2018, vinificato con una breve macerazione sulle bucce. Sorprende perchè mi aspettavo tutt’altro ed invece mi trovo a degustare un vino elegante, sottile, più vicino ad un rosé che a un nebbiolo strutturato. Piacevole proprio per la sua finezza, da riprovare come aperitivo.
Arriviamo ai Baroli, Prapò 2014, Cerretta 2014 e Lazzarito riserva 2012. Un crescendo di piacevolezza e complessità che rende pienamente l’idea di questo territorio di Serralunga. I legni sono usati sempre con discrezione e finalizzati ad armonizzare più che ad aggiungere aromi. Come affinamenti, il Prapò fa botte grande per due anni, risulta ancora fresco, tannico, complesso negli aromi di frutti rossi e neri e tostatura. Il Cerretta mi è sembrato più pronto, con un tannino più vellutato, affina due anni in tonneaux da 700 litri. Bel Barolo anche questo. Infine la riserva Lazzarito, il cru con le vigne più vecchie, circa 80 anni. Qui il piacere è tanto, se nei precedenti era l’austerità e la verticalità ad imporsi, qui sono la familiarità e la rotondità ad arrivarmi come un abbraccio. Le uve fanno una lunga macerazione di quasi due mesi e poi affina in botte grande quasi 3 anni e minimo due anni in bottiglia. Corpo ed eleganza rendono questo Barolo una vera eccellenza. Un ultimo sguardo alle colline sorseggiando nuovamente i Baroli rimasti nei calici e già mi spiace dover andar via. Bella visita e grazie di cuore a Simona per l’ospitalità e la simpatia. Complimenti a Sergio che anche se non ho potuto conoscere di persona mi ha trasmesso attraverso i suoi vini una personalità forte, legata alle tradizione quel che serve e aperta a nuove interpretazioni, penso al Langhe nebbiolo e allo Spumante rosé ma anche all’interessante via intrapresa con l’introduzione dell’anfora.
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