Categoria: vini rossi italiani

Luigi Moio e il suo Aglianico Terra d’Eclano in 10 annate

Ieri sul palco del Westin Palace di Milano c’è stato un concerto fantastico, a cantare sono state le annate di Aglianico di Quintodecimo, la Cantina di Luigi Moio, vera rockstar nel mondo del vino, professore, enologo e autore del testo sacro ‘il respiro del vino’. 

L’intro ha riguardato le origini della cantina, la scelta dei terreni, in Irpinia, nel cuore del Taurasi DOCG a Mirabella Eclano. L’impianto delle vigne è datato 2002 in terreni stratificati di roccia calcarea e materiale lavico. La scelta fatta da Moio risponde all’esigenza di impiantare le varietà che si adattano meglio a questi terreni, i tipici vitigni campani di Fiano, Falanghina, Greco e Aglianico. Moio ribadisce più volte un concetto che parrebbe semplice e che invece sembra ignorato da molti, quello della ‘giusta pianta nel giusto suolo’, di come possiamo trovare le migliori espressioni di un vitigno in un determinato luogo. Il Nebbiolo in Piemonte, il Pinot Noir in Borgogna, Cabernet e Merlot a Bordeaux, Cannonau in Sardegna ecc.., esempi chiari per dire che ogni vino è adatto al suo contesto pedoclimatico. Moio è uno spasso da ascoltare, tanti gli aneddoti nel suo racconto, da come lo prendevano per pazzo quando cercava i terreni dove impiantare le vigne a Veronelli cho lo ha spinto a diventare produttore, gli input ricevuti in Ais a Milano, la storia del marchio e il numero 5 ricorrente (profumi, sensi, cicli di produzione, vigneti del Terra d’Eclano…). Ogni tanto chiama in causa la moglie seduta in prima fila o il suo collaboratore un tavolo più in là, il clima è rilassato e amichevole, si muove da vera rockstar, si vede che è abituato a parlare davanti a una platea. Avevo il timore di una serata ‘pesante’ fatta magari da un professore impettito ed invece è estremamente coinvolgente e simpatico. Ma veniamo all’Aglianico, Quintodecimo lo coltiva in collina a 420m slm, agricoltura biologica, rese minime, 5 grappoli per ceppo, vinificazione con macerazione di 12/15 giorni, utilizzo di lieviti selezionati e percentuali bassissime di solforosa, poi la barrique di rovere dove si svolge la malolattica e dove affina per un un anno, infine la bottiglia per minimo sei mesi. Torno per un istante sul tema dei lieviti selezionati in quanto io, come penso molti altri, crediamo che sia ‘più naturale’ e possa esprimere meglio un vitigno, l’utilizzo di lieviti autoctoni (quelli presenti sulla buccia dell’uva o in cantina) ed invece, sentendo Moio, si può comprendere come la scelta di lieviti selezionati sia la migliore per conservare i profumi dell’Aglianico e preparare il vino ad una lunga vita. Questi lieviti selezionati, consentono di innescare subito la fermentazione ed evitano ossidazioni al vino che ne intaccherebbero il profilo sensoriale, inoltre permettono un utilizzo diverse volte inferiore di solforosa. Dettagli non di poco conto che, insieme ad una scelta ragionata della barrique, volta a favorire il percorso di stabilizzazione del vino senza l’apporto di profumi sovrastanti, contribuiscono alla realizzazione di un vino di qualità. 

Nel frattempo i dieci calici, uno dopo l’altro si sono riempiti del prezioso nettare, si può notare come tutte le annate siano ricche di sostanza colorante e di bella luminosità, indizi comuni di ottima salute dei vini.

Di seguito qualche nota di degustazione, seppur consapevole di tralasciare molto, scusate ma ero concentrato a godermeli più che a prendere appunti 😋.

2015 Frutti rossi, speziatura, secco, di buona acidità, tannini pronunciati, apprezzabile per la fragranza dei frutti che lo caratterizzano.

2014 Naso più compatto, frutti rossi e un anticipo di prugna, pulito, persistente, si percepisce l’evoluzione pur mantenendo un carattere giovane.

2013 Annata piovosa, il vino è fine con note di spezie, coriandolo, incenso, frutti rossi. Meno tannico, fa capolino una nota vegetale, il cacao, la vaniglia. Ricorda i tipici vini bordolesi. Sul podio come terzo classificato della serata.

2012 Annata terribile, profumi meno evidenti, magro in bocca e abbastanza corto. Malgrado le sue carenze è comunque un vino che si lascia bere con piacere.

2011 Entrata ricca di profumi, frutti rossi carnosi, pienezza in bocca, gran corpo e piacevolezza, erbe balsamiche. Armonico, elegante, persistente. Il mio preferito della serata.

2010 A parte i frutti rossi, qui si percepiscono note mentolate, cacao, liquirizia. È morbido, lungo. elegante e fine anche lui. Grandissimo Aglianico anche questo. Secondo classificato.

2008 Annata problematica per le piogge durante la vendemmia, risulta più scarico e debole, quasi diluito. Tanta liquirizia, finale asciutto.

2007 Annata caldissima, è molto concentrato, Ph più alto e minor acidità, note dolci di frutta in confettura.

2006 Altra annata piovosa, non molto strutturato, frutti rossi e note mentolate.

2004 Primo anno di vinificazione di uve provenienti dalle nuove vigne. Bel frutto in confettura, morbido. Pur essendo il più vecchio è ancora un ottimo Aglianico, risulta migliore del 2006. Ipoteticamente lo metterei al quarto posto, parimerito con il giovanissimo 2015, due belle espressioni dell’Aglianico, il giovane e il maturo.

Si può dedurre che lo status migliore di questi Terra d’Eclano si raggiunga dopo 7/8 anni.

La serata volge al termine e il vocio in sala aumenta, si scambiano opinioni e sensazioni. Si percepisce l’orgoglio di Moio nel fare vini fatti bene. La sua è una ricerca di BELLEZZA nel vino e a giudicare dai vini assaggiati, me ne è rimasta parecchia sulla lingua. Rifaccio con calma un giro di assaggi godendomi la pulizia e l’eleganza di questi vini campani che sembrano francesi.

Come due adolescenti ad un concerto, io e Ottavio (amico sommelier ed estimatore di Moio), chiediamo una foto insieme alla nostra rockstar preferita e andiamo via felici. Grandissima e memorabile serata. Faccio un appello a Moio per tornare presto a trovarci con i suoi vini, sono tanti i suoi fans a Milano.

Luca Gonzato

Valcalepio DOC 2009, La Rocchetta

Valcalepio Doc Rosso Riserva 2009, La Rocchetta.

L’ho scovato questa mattina al margine di uno scaffale, attaccato alla parete, quasi nascosto da un altro espositore. È stato messo in offerta a €10,60 che, per essere una riserva del 2009, è un bel prezzo. Certo che l’etichetta, marrone e oro, non ti invoglia all’acquisto. Già la competizione tra un vino della provincia di Bergamo e un Toscano o un Piemontese è dura, poi se anche l’immagine non è granché non resta che la giacenza sullo scaffale. Io però trovo la situazione perfetta, un vino potenzialmente ottimo ad un prezzo vantaggioso, metto nel cestino con gran curiosità. Arriva sera e, prima della degustazione, butto l’occhio sul sito del produttore, La Rocchetta. Deve aver cambiato nome perchè mi ritrovo nella pagina del Podere Castel Merlo, ‘superfigo’, bel marchio e foto hi res, ora l’immagine aziendale e le etichette sono molto curate e l’offerta di vini ampia, di fascia alta. Bene, sentiamo se questo Valcalepio Rosso, che da disciplinare, è composto da uve Merlot 40-75% e Cabernet Sauvignon 25-60% è all’altezza della nuova immagine aziendale. Avrete già capito che si tratta di un taglio bordolese, in questa zona viene chiamato semplicemente ’niger’ (nero). È previsto un affinamento di almeno un anno  in barrique e poi in bottiglia, anche per lungo tempo. Ora che è finalmente nel calice posso dire che il colore del vino è rosso rubino scuro, ‘niger’, con unghia rosso granato. Lo lascio riposare una decina di minuti e lentamente il vino si apre regalando un bel ventaglio di profumi, dai classici futti rossi, amarena e ciliegia a floreali scuri e note più vegetali che tendono al balsamico e mentolato. Champignon, humus, cuoio, spezie dolci. Tante le sfumature. In bocca è fine, i tannini evoluti. Scorre lungamente con profumi di amarena sotto spirito, tostatura, carne macerata. Finale molto bello, fruttato. Questo è un vino che vale almeno il doppio, se non il triplo, di quanto l’ho pagato. Domani torno alla Pam/Panorama a prenderne un paio di bottiglie da tenere in cantina e appena possibile faccio un giro in Valcalepio a visitare qualche produttore perchè questa è una zona poco conosciuta ma capace di regalare ottimi vini. Guardo se Deliveroo consegna il capriolo con polenta taragna, sarebbe perfetto.

Luca Gonzato

Primitivo di Manduria, Sessantanni, Vintage 2015, Cantine San Marzano

Vi presento una Rockstar del vino. Il Primitivo di Manduria, Sessantanni, Vintage 2015, Cantine San Marzano.

Il nome del vino ‘sessantanni’ descrive l’età dei vigneti da cui provengono le uve di questo Primitivo, fiore all’occhiello della produzione sociale della Cantina San Marzano e della viticoltura Pugliese in generale. 

Si presenta in modo possente, ‘solido’, come la bottiglia che lo accoglie, di un colore rosso rubino quasi impenetrabile. Profumi intensi di frutti rossi carnosi, mora, prugna, ciliegia. Profumi affiancati egregiamente da quelli di evoluzione in legno: cioccolato, liquirizia, vaniglia, legni pregiati (sono 12 i mesi di evoluzione in barrique).

A rendere questo vino eccellente è l’equilibrio che riesce a trasmettere. Da una parte il frutto fresco, l’acidità, la freschezza e la mineralità sapida e dall’altra la morbidezza alcolica, le note dolci d’evoluzione, il corpo robusto e una persistenza aromatica di grande finezza.

Un vino che è stato giudicato miglior vino rosso in assoluto d’Italia 2019, con 99 punti, da Luca Maroni; ha ricevuto il massimo punteggio sulla guida Vitae 2019 dell’Associazione Italiana Sommelier (4 viti)’ e i Tre Bicchieri nei Vini d’Italia 2019 del Gambero Rosso.

Modestamente io posso mettermi in coda ed evidenziare il mio apprezzamento consigliandolo come vino rosso per le prossime festività. Ideale ad accompagnare preparazioni a base di carni rosse, meglio se con tendenza amara come ad esempio la selvaggina, oppure con formaggi stagionati. Il prezzo è sui 25 euro. Stay Rock & Drink Primitivo!

Luca Gonzato

Oltrepò Pavese, Azienda Agricola Torti

Avevamo fissato da tempo la data per una gita in Oltrepò Pavese, la destinazione si è concretizzata solo ieri con la disponibilità dell’Azienda Agricola Torti di ricevere la nostra piccola comitiva composta da 7 appassionati di vino. L’accoglienza è stata a dir poco spettacolare. Dino Torti, la moglie Giusy, le figlie Patrizia e Laura, Baldo, tutti si sono prodigati nel rendere questa visita memorabile. In particolare Patrizia e Dino hanno saputo raccontarci le vicende dell’azienda e trasmetterci la loro passione per il vino che è arrivata alla quinta generazione. Un bel racconto che vede Dino Torti come primo protagonista del Pinot nero in Oltrepó Pavese, oltre quarant’anni fa, un’epoca difficile dove gli veniva dato del ‘matto’. Caparbietà e applicazione delle conoscenze acquisite nei viaggi in Francia e Australia gli permisero di concretizzare un sogno. Le prime vinificazioni in rosso del Pinot nero e i complimenti di autorevoli esperti come l’enologo Giacomo Tachis e via via quelli di altri produttori in altre regioni. Non era una follia quella di Dino nel voler fare il Pinot nero in rosso quando gli altri lo concepivano solo per la spumantizzazione, bensì la consapevolezza di avere a disposizione tutti gli ingredienti necessari per farlo bene. Il giusto clima, il giusto terreno (tra l’altro in una collina chiamata Borgogna ricca di minerali nel sottosuolo) e una famiglia che lo supportava. Il resto è un crescendo di successi che porteranno i vini di Torti in mezzo mondo.


Scorrono i ricordi e lo sguardo su queste colline vitate che nelle belle giornate lasciano intravedere Milano all’orizzonte. Negli anni la cantina è cresciuta sino agli attuali 30 ettari coltivati. Patrizia e Dino ci accompagnano poi al piano inferiore dove visitiamo la zona di affinamento dei vini. Sono schierate circa 500 barrique francesi, create ad hoc come composizione di legni, e una decina di botti grandi. Scopriremo poi che questa particolare scelta di ‘legni’ dona un carattere unico ai vini di Torti.

Per la degustazione c’è una sala dedicata dove troviamo una tavola giá apparecchiata con calici e taglieri di salumi vari e il caminetto acceso a scaldare l’ambiente, wow stento a credere che tutto questo sia stato preparato per noi, davvero troppo, grazie!!. Il primo assaggio è uno spumante metodo charmat prevalentemente da Pinot nero che ha una bella freschezza, sentori fragranti che vanno dall’ananas alla mela con accenti di miele e agrumi. Bell’inizio, si sposa alla perfezione con i salumi della zona. Segue un Pinot nero (in rosso), vinificato in acciaio dove si apprezzano i piccoli frutti rossi e se vogliamo la ‘semplicitá’ di un vino per un consumo quotidiano non banale. Altra cosa il Pinot nero 2010 affinato in legno che assaggiamo subito dopo, la punta di diamante dell’Azienda. I profumi terziari viaggiano a braccetto con le note di frutti rossi in confettura, sentori di cuoio e humus, mineralità, tannini evoluti e lunga persistenza. Un Pinot molto diverso da quelli prodotti in altre zone, unico nella personalità che lo contraddistingue, l’eleganza nel vino, il marchio Torti.

Ora però ci è venuta la curiosità di assaggiare le Barbera di casa. Patrizia, con grande disponibilità soddisfa anche questa richiesta. La produzione è suddivisa in un vino più giovane e fresco fatto in acciaio e una riserva affinata in legno. La prima Barbera ha una bella acidità che la rende molto beverina, ‘glugluglu’ e in un attimo il calice è svuotato. Di quei vini capaci di mettere d’accordo l’esperto bevitore e il neofita in quanto a piacere gustativo. La riserva è forse il vino che più mi ha colpito, per corpo ed eleganza, una signora Barbera che mantiene un bel frutto maturo in una cornice vellutata di tannini e profumi terziari di cacao, vaniglia e legni pregiati. Calda e ben strutturata, la definirei un’ottima compagna per le fredde serate che ci attendono nei prossimi mesi.

Il tempo è volato, è stato bello degustare tutti insieme tra una battuta scherzosa è una riflessione tecnica. Queste visite in cantina sono momenti che più di altri ti fanno amare il mondo del vino. L’incontro con chi produce è sempre una bella esperienza e se poi ti capita di conoscere persone come Patrizia e Dino ecco che raggiungi un livello superiore di piacere e consapevolezza. Capisci quanto sia importante per tutti questo rapporto vero, diretto e senza filtri capace di gratificare in egual modo produttori e appassionati. Qualcosa di concreto in mondo ‘istantaneo’ fatto di ‘like’. Se avete voglia di fare qualcosa di vero, fatevi un giro in cantina, quella della famiglia Torti ad esempio, garantisco su qualità e accoglienza. Ora scusatemi ma devo finire quel calice che mi sono versato a casa della Barbera 2009 di Torti ♥️, avevo già nostalgia.

Luca Gonzato

Teroldego Foradori 2016

Il Teroldego 2016 di Elisabetta Foradori. Piccoli frutti rossi fragranti, mineralità, erbe di montagna. Corpo, lunghezza. Un vino solare, fresco e luminoso. La forma della bottiglia mi intimoriva, è tozza e solida come un tronco, ti fa pensare alle manone consumate dei contadini, alle sere d’inverno e alle pietanze ipercaloriche a base di polenta e cacciagione. Al sorso lascia il suo aspetto austero e diventa amichevole, gioioso. Si lascia apprezzare con facilità, sarà che hai subito la percezione di un prodotto ‘naturale’. È un Triple ‘A’… e si sente. Ripenso ad un video visto recentemente dove una enotecara piemontese parlava dei vini naturali e di come, dopo averli scoperti, sia difficile tornare indietro… Non ha tutti i torti, soprattutto se i vini naturali sanno raccontarsi come questo Teroldego della tradizione trentina. Gran vino. Si trova sui 15 euro (li vale tutti).

Luca Gonzato 

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