Categoria: vini rossi italiani

Depero rosso 2020, Vivallis

Vino dedicato al futurista, sperimentatore e teorico degli sviluppi industriali delle arti Fortunato Depero che nella Vallagarina, dove ha sede la società cooperativa Vivallis, trovò ispirazione per il suo lavoro. “Iride nucleare di gallo” è l’opera in etichetta. Le uve sono di Lagrein e Merlot.

Impenetrabile e misterioso alla vista, denso e pesante, concede un contorno scarlatto giusto sui bordi. Anche al naso si apre circospetto. Apre spiragli di frutta nera macerata di more, mirtilli  e speziature di chiodo di garofano e vaniglia.

L’assaggio arriva come una stretta di mano vigorosa. Si fa conoscenza e svela una personalità buona e disponibile. 

Acidità e volume alcolico del 13,5% sono ben bilanciati, il tannino setoso. La struttura si regge su questi tre pilastri. La progressione lineare, composta. Nell’allungo si scioglie la gustosa composta di frutta, un ritorno di ciliegia surmatura.

Ho ricordato alcune opere di Depero, il movimento, l’armonia delle forme. Ci sono anche in questo vino ma più che altro il parallelo lo si trova nella precisione delle linee che, parlando di vino si ritrovano anche qui. Il blend di uve è azzeccato, l’una è complementare all’altra. L’opera che ne esce è un disegno enoico esclusivo che associa eleganza e piacevolezza.

I secondi di carne ci andrebbero a nozze, inizio a salivare pensando ad un filetto di chianina. 

Bel vino da regalarsi o da regalare.

Marcel Reichmuth, vini naturali nel cuore delle Langhe

Non sono così sicuro di voler condividere queste scoperte enoiche, è come trovare un boschetto nascosto pieno di funghi, meglio tenerlo riservato che altrimenti ci vanno in troppi e poi spariscono. Non che la cantina che vi presento possa sparire, ma l’idea di frotte di winelover in gita mi disturba. Comunque non corro rischi, il mio blog è poco frequentato e far conoscere Marcel Reichmuth agli amici è un piacere.

Io e Marcel Reichmuth mentre parliamo di vitis

Una nebbiolina autunnale accompagna la mia incursione nelle Langhe.
Arrivare in Borgata Valdiberti a Dogliani, da Milano, è un bel viaggio e consente di passare tra i rinomati cru del Barolo per poi immergersi in un luogo incantato, la Borgata Valdiberti. Qui ha sede la cantina Cascina LeRocche di Marcel Reichmuth. Un luogo che Marcel ha accuratamente scelto più di vent’anni fa per realizzare il suo progetto di vini naturali. Marcel viene dalla Svizzera e dopo aver provato a lavorare nell’enologia convenzionale ha scelto di fare i vini in modo diverso. Lui e la moglie Ursula hanno quindi scelto Dogliani come luogo per costruire il loro futuro. Gestiscono l’azienda da soli, salvo le collaborazioni occasionali durante la vendemmia.

I vigneti si estendono intorno alla proprietà, seguendo il saliscendi delle colline, guardano a sud, in un anfiteatro in cui le diverse varietà sono allevate in armonia con la terra. I filari sono ricchi di vegetazione. La viticoltura biologica praticata, si avvale anche della omeodinamica (evoluzione della biodinamica).
Marcel è orgoglioso del suo lavoro e sorride dell’invidia provata dai vicini che devono ricorrere a trattamenti fitosanitari frequenti. La sua è un’oasi in questo territorio, fermo ad una viticoltura convenzionale ormai superata oltre che insensata.

Le pratiche in cantina sono ‘minime’, le uve arrivano sane e mature alla pigiatura, fermentano spontaneamente con i lieviti indigeni presenti in natura. I vini non sono filtrati. Ogni annata è per Marcel un nuovo capitolo e un vino diverso. Vini vivi che maturano per lunghissimo tempo tra barrique, botti e anfore.

La zona d’affinamento dei vini

Siamo nella terra del Dolcetto, nella DOCG Dogliani, ma Marcel è lontano anni luce dagli standard commerciali prestabiliti. Realizza vini fuori dai canoni e fuori dalle denominazioni.
Assaggiare i suoi vini significa rimettere in discussione tanti luoghi comuni. Primo fra tutti quello che il Dolcetto sia un vino piuttosto leggero, da bere giovane e senza grandi prospettive d’invecchiamento.

Il codice Reichmuth (vedi foto più avanti) dimostra il contrario. Marcel mi parla di vini di 10 e più anni come se fosse la cosa più normale del mondo.
Mi presenta il primo vino come un rosso vinificato in bianco, un rosato praticamente. Immagino sia di quest’anno, ma no. “Questo è giovane, ha solo quattro anni” esordisce.

Lo assaggi e sì, pensi che sia giovane, con questo frutto fragrante di melograno e lampone appena colto, fresco, minerale, scende con facilità, eppure ha quattro anni. Un vino che mi ha riportato all’estate e fatto immaginare un bordo piscina o un bordo tavola sotto la pergola nella calura estiva.
Il secondo vino è il Ladiv 2017, un orange wine dal colore pieno e dai profumi inebrianti di frutta disidratata d’albicocca e datteri. Fresco, godibile ogni istante.


Terzo vino il Folet (folletto), 2010. Boom. È vivo e pimpante, non me ne capacito, ci sono dei sentori vegetali e di sottobosco che demoliscono ogni convinzione. Poi è lunghissimo, complesso, un rosso ‘resistente’ con il 14,5% di Vol.. Si presta ad accompagnare cena e dopocena, raccontando tante cose e lasciandosi scoprire lentamente.


Segue il CRSTA 2009, Dolcetto 100%. Chi diceva del Dolcetto giovane? Affina minimo 4 anni in botte grande di quercia. Ed è lì, anche lui sull’attenti, con un tannino armato per affrontare un bisteccone alla brace.
E penso alle degustazioni dei ‘dolcetti fichetti’, in confronto erano dei bambini dell’asilo. CRSTA è in armatura, pronto a conquistare il trono di spade di Dogliani.

Con l’Autin si passa ad un Dolcetto più smussato, pronto, nel suo momento evolutivo probabilmente migliore. È del 2004. Potete non credermi ma è così. Solo un gran vino può arrivarci così e questo lo è. Il 15% di Vol., come negli altri vini, è inglobato bene nella struttura generale, accompagna senza disturbare. Un vino morbido e disteso, lungo. Esprime calma, armonia. Può accompagnare migliaia di parole in un dopocena.
Il Roche 2004 è il fratello del precedente, arriva da un’altra botte. Marcel, come se fosse un secondo figlio gli ha dato un nome diverso. Ed è così, è diverso, più chiuso e riservato nel carattere. Mentre nel gusto riporta un bel frutto in confettura ed una caratteristica aromaticità che è trasversale ed unica nei vini di Marcel. Qualcosa di vegetale, vivo e vibrante.
Con il Coccù 2010 arriviamo ad un blend di Dolcetto e Barbera in cui le due varietà danzano insieme. Si aggiunge una nota speziata pepata a dare briosità a questo vino che fa un anno di barrique e tre anni di botte grande.
Ultimo assaggio il Ladiv 2016, orange wine (come il primo ma annata precedente), che Marcel scherzosamente chiama ‘Piscia d’Angelo’, un macerato che fa barrique, botte grande e anfora. Tanta roba. Infinito. Quello che penso sia il più rappresentativo della produzione di questa cantina.

Il Codice Reichmuth che identifica per barre e colori le annate prodotte

È lo stesso vino che riassaggio questa sera, mentre scrivo e ricordo la bella giornata.
Che buono Marcel!!. Aromi puliti, ricordi fruttati d’albicocca matura, datteri, ginger, zafferano, cola. Acidità e un tannino sottile che chiama la cucina, quella asiatica sarebbe perfetta, o i formaggi erborinati. Wow. Ha il 15% di Vol ma è nascosto, ti frega, occhio!. Grande bevibilità, adoro. (rileggendo il post prima della pubblicazione mi avvicino pericolosamente alla mezza bottiglia).


Che bella degustazione, di solito faccio un sorso o due e basta, oggi avevo continuamente voglia di berne ancora un pochino di ognuno.
Sono vini generosi quelli di Marcel, hanno struttura. Tutta quella argilla sul terreno gli ha dato una muscolatura da wrestler.

Sono proprio felice d’aver conosciuto ed essermi confrontato con Marcel Reichmuth, ha rafforzato le mie idee su ciò che val la pena degustare e parlare.
I suoi vini mi hanno conquistato, sono buoni, sono in armonia con l’ambiente e anarchici nella capacità di distinguersi dalla massa. Li consiglio a quelli con la mente aperta a cui piace assaggiare vini veri.

Per favore, non parlatene troppo in giro di questa cantina, è un segreto tra me e voi.

Bolgheri rosso 2020, Le Macchiole

Di quei rossi che al primo assaggio ti fanno rilassare e godere il piacere della degustazione. 

L’entry level Le Macchiole ‘spacca’ o meglio si dimostra un ‘piacione’ in quanto a gradevolezza. Figlio della migliore personalità Bolgherese. Blend di Merlot 50%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 15% e Syrah 15.

Ogni varietà suona il suo spartito in un concerto orchestrale in cui l’armonia suscita l’applauso. Il frutto di ciliegia in confettura, le erbe aromatiche, i piccoli frutti neri e la speziatura… c’è tutto in questi 750ml con il 14% di Vol.. Il tannino è lavorato, come lana cardata, diventa soffice e liscio nel palato. Il corpo è robusto e rimane a lungo nel palato con i suoi aromi. Caldo e avvolgente senza rinunciare alla fragranza degli aromi. Fermenta con lieviti indigeni e affina prevalentemente in barrique usate per 10 mesi e in cemento per il 20%. La macchia mediterranea è nel sottofondo aromatico, in primo piano la piacevolezza qualitativa Le Macchiole. 

Se vuoi andare sul sicuro e mettere in tavola un buon vino rosso senza dover fare un bonifico questo è il vino giusto.

Lacryma Christi Munazei 2021, Casa Setaro

Da uve di Piedirosso 100%. Bel rosso succoso, con ricordi aromatici di ciliegia, marasca… e accenti di rosa canina e macchia mediterranea. Fragrante e tannico al punto giusto. Ottimo nell’accompagnare carni grigliate, perfetto con una succulenta salamella. Servito fresco esprime bene la sua vena minerale/salina del terroir vulcanico. Non strizza l’occhio alle ruffianerie del gusto standardizzato. Ha personalità gustativa e sincera piacevolezza. Poi c’è l’etichetta, davvero bello l’occhio disegnato, immagino lo sguardo verso una notte dalla luna rossa, la sorpresa e la passione si accendono. Magia estiva… e ottimo rapporto qualità/prezzo.

Cantina Casa Setaro è in località Trecase (NA)

48 Ancestrale Bianco, Castello di Stefanago

Il 48 è uno Spumante Metodo Classico, Brut Nature che conquista al primo sorso.
Il colore dorato è solo l’anticipo di qualcosa di strutturato dove il territorio dell’Oltrepò Pavese insieme al vitigno Pinot Nero si uniscono in una grande espressione gustativa.
L’eleganza e il corpo si ergono come una piramide nel cui vertice le bollicine brillano di gioia come fuochi d’artificio.

Le note di sottobosco, di lieviti e di pasticceria si stringono in un sorso verticale, solido, che si mantiene vivo nella sua freschezza e croccantezza degli aromi. Sfumature agrumate e floreali fanno da corollario ad una complessità degna di un metodo classico di alto livello.
48 sono i mesi di affinamento sui lieviti di questo spumante rifermentato in bottiglia da agricoltura biologica.
Le bollicine continuano a salire, come il mio piacere ad ogni sorso.

È uno Spumante che destinerei alla migliore accoglienza delle persone care. Eleganza ed espressione naturale si accompagnano a piatti altrettanto veri come possono essere gli insaccati prodotti nel territorio.
Da assaggiatore ogni tanto capita che si senta l’esigenza di non dire altro e di invitare semplicemente all’assaggio, è questo il caso.

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