Atis è un Bolgheri Superiore dal profilo aromatico complesso, davvero invitante, i frutti rossi incontrano la macchia mediterranea donando profumi balsamici eleganti e intensi, di bacche nere, erbe aromatiche e spezie.
Annalisa e Michele Scienza conducono l’azienda agricola in armonia con il territorio e con l’intento di farlo esprimere in tutto il suo potenziale nei loro vini.
L’assaggio conferma l’eleganza e gli aromi ai quali si aggiungono note di tostatura in legno che arrotondano il sorso e lasciano ricordi speziati di vaniglia e cioccolato.
Ha un corpo robusto, potente nelle sensazioni al palato, di pienezza e struttura, senza risultare troppo impegnativo nel sorso. Ha un’acidità di base che lo rende equilibrato e piacevole pur avendo un volume alcolico del 14,5%. Il tannino è vellutato e ben integrato nella trama complessiva.
Nel finale torna un bel frutto rosso sotto spirito lasciando la bocca pulita con sensazioni dolci e morbide. Pare quasi superfluo dire che la persistenza è lunghissima e di grande finezza.
Atis arriva da un assemblaggio di uve prevalentemente di Cabernet sauvignon insieme a Rebo e Cabernet franc. Le piccole particelle dei vigneti sono coltivate sulla collina di Segalari in Bolgheri, con esposizione est-ovest su terreni di origine alluvionale costituiti da una matrice sabbiosa-argillosa ricca di ciottoli.
Affina due anni in barrique di rovere e un anno in bottiglia prima d’essere messo in commercio.
ATIS è il nome di un re che un mito pone alle origini degli Etruschi, prima civiltà della nostra terra e primi viticultori.
Non voglio dare punteggi ma lo metto tra i grandi rossi e tra i miei preferiti. Un vino che parla dell’Italia e del magnifico territorio bolgherese, un tuffo nella vegetazione mediterranea in cui si sente il respiro del mare intorno.
Visto il periodo lo consiglio in abbinamento alla tradizionale grigliata di Pasquetta.
Terre Alfieri è una delle ultime iscrizioni a DOCG (2020), proveniente dalla DOC Asti. La denominazione è retta da due pilastri della viticoltura piemontese: Arneis e Nebbiolo.
La zona di produzione si estende nei comuni di Antignano, Celle Enomondo, Cisterna d’Asti, Revigliasco, San Damiano, San Martino Alfieri e Tigliole, tutti in provincia di Asti. Nella DOCG vi sono anche parte dei comuni di Castellinaldo, Govone, Magliano Alfieri e Priocca in provincia di Cuneo.
La vicinanza alle più note DOCG a base Nebbiolo fa del Terre Alfieri una interessante opportunità per scoprire un’altra espressione del Nebbiolo. I suoli della zona sono composti da sabbie, argille, calcare e limo.
Terre Alfieri Arneis: uve Arneis minimo 85%; possono concorrere uve a bacca bianca, non aromatiche. Terre Alfieri Nebbiolo: uve Nebbiolo minimo 85%; possono concorrere uve a bacca rossa, non aromatiche.
Tre Terre Alfieri Nebbiolo in degustazione
· Monte de Stephano 2018, Vaudanogaggie · Terre Alfieri Nebbiolo 2018, Franco Giacinto · Belgardo 2017, Cascina Vengore
Negli assaggi ho riscontrato una comune caratteristica di fragranza/freschezza. Dimostrano d’essere vini godibili già nei primi anni d’affinamento. In tutti e tre ho trovato elementi di piacevolezza e personalità che si sono distinti per il tipo di affinamento. Penso che il passaggio in legno riesca a dare qualcosa in più ma debba essere ben dosato per lasciare spazio all’espressività del vitigno.
Note di degustazione:
Monte de Stephano 2018, Vaudanogaggie
Terre Alfieri Nebbiolo. Comune di Cisterna d’Asti 13,5% Vol. – 100% Nebbiolo Terreno: Sabbioso, calcareo. Esposizione/Altitudine: Est, Sud-Est da 250 a 350 m s.l.m.. Vinificazione: Fermentazione tradizionale con macerazione a cappello emerso per 7 giorni. Maturazione In tini di acciaio.
Rosso rubino-granato. Profumo fine ed elegante. Ciliegia, fragolina, violetta, sottobosco. All’assaggio si conferma nell’eleganza e negli aromi. Nel retrogusto arriva un ricordo aromatico speziato, di liquirizia e pepe bianco. Ha scorrevolezza e freschezza. Il tannino è evoluto e ben integrato. Si distende levigando il palato che via si scalda grazie al 13,5% di Vol. Nel finale torna la speziatura a lasciare un bel ricordo sulla lingua. Mi piace per l’equilibrio, una compostezza che tiene insieme tutte le componenti in un sorso fine e composto.
Terre Alfieri Nebbiolo 2018, Franco Giacinto
Terre Alfieri Nebbiolo. Comune di San Damiano d’Asti 14% Vol. – 100% Nebbiolo Esposizione/altitudine: Sud – Sud/Ovest a circa 200 m s.l.m. Vinificazione: 10-12 giorni di macerazione a contatto delle proprie bucce in botti d’acciaio, con temperatura controllata. Affinamento: 8 mesi barrique 10 mesi in bottiglia
Rosso granato scuro e intenso. Olfatto evoluto ed invitante. Ciliegie sotto spirito, vaniglia, gomma arabica. Tannino preciso, aromi gustosi di frutti rossi macerati accompagnati da calde sensazioni avvolgenti. Ha corpo strutturato, robusto. Una lunghezza che apre orizzonti gustativi. Un bel Nebbiolo, adulto e muscoloso. La persistenza è lunga. Chiama un cibo importante, magari un brasato o uno spezzatino. Mi piace per la struttura, l’evoluzione e le note di tostatura dell’affinamento in legno. Ci sento tradizione e classicità, belle sensazioni e piacevolezza.
Belgardo 2017, Cascina Vengore
Terre Alfieri Nebbiolo. Comune di Cisterna d’Asti 14% Vol. – 100% Nebbiolo Da agricoltura organica e rigenerativa. Vinificazione: Fermentazione di 10-12 giorni in vasche termocontrollate a 28°C e steccatura a cappello sommerso per 15 giorni, in contemporanea alla fermentazione malolattica. Affinamento di 16 mesi in botte di rovere di Slavonia da 2,5 hl.
Rosso granato. Naso complesso, abbastanza intenso. Frutti rossi e neri sotto spirito, viola, erbe aromatiche e spezie. Sfumatura mentolata, legni pregiati, cuoio. L’assaggio è caldo e vellutato con una sensazione polverosa al palato. Bel tannino, presente ed evoluto con grazia. Nel retrogusto torna il frutto di mora e ciliegia insieme ad una elegante balsamicità. Ha corpo e finezza. C’è equilibrio delle parti e armonia negli aromi. L’affinamento di 16 mesi in botte l’ha addomesticato senza invadere coi sentori di tostatura. È una cornice che mette in risalto le qualità del Nebbiolo. Mi piace per come si allunga, per l’armonia e la personalità. Mantiene tensione e piacevolezza. Ottimo nel complesso. In abbinamento metterei delle tagliatelle al ragù di selvaggina, o meglio, i tipici tajarin piemontesi.
Complimenti ai produttori per l’espressività dei loro vini. Come amante dei vini da Nebbiolo non posso che essere attratto dal volerne provare altri.
Per introdurre il vino volevo scrivere qualcosa sull’avvicinarsi del Natale ma non mi è venuto in mente niente che non fosse scontato. Invece in questo Primitivo che assaggio non c’è proprio niente di scontato. Il colore è rubino intenso e vivace sull’unghia. I profumi sono fragranti e abbastanza complessi. Dal frutto di ciliegia alle more, ricorda poi la vegetazione mediterranea, il cuoio, le spezie… Arriva dal territorio delle Gravine in Puglia. L’annata è la 2020, bottiglia n. 580 di 1146 (rigorosamente numerate a mano).
Le vigne sono coltivate su suolo argilloso a 280 m/slm in contrada Caragnano a Mottola (TA). All’assaggio mostra tutta la sua personalità e generosità. Il succo colora di piacevolezza il sorso, verticale e vivo. I tannini si integrano finemente alle calde note alcoliche del 14,5% di Vol. Nel retrogusto arrivano con potenza le fragranze fruttate di una bella ciliegia surmatura e note d’affinamento che mi ricordano il cioccolato fondente.
Come vinificazione, fermenta con lieviti indigeni e affina per 14 mesi, all’85% in acciaio e il resto in barrique di Slavonia usate. Ne risulta una bella acidità e freschezza che accompagna il vino in tutta la sua lunghezza e nella persistenza. Nel finale restano ricordi minerali e salini, e la voglia di ritrovare la dolcezza del succo maturo in ingresso. Ripenso ad altri “Primitivi” conosciuti in passato, rotondi e fermi, buoni ma a volte fin troppo “pesanti” …un paio di calici ma non di più. Nel Primitivo di Marco Ludovico c’è vitalità e struttura che non stanca.
È un vino che mi ha fatto venire una gran fame, idealmente affiancherei un arrosto di maiale con patate. Bel Primitivo, si fa degustare con grande piacere. Se volete un’idea regalo consiglio questo vino insieme ad uno Yo-Yo. Quando lo bevi è come giocare, solo che il su e giù lo fa il calice.
Il “Sass de la Luna” è una marna calcarea, grigia e friabile, con proprietà di ritenzione e cessione graduale dell’acqua. Potremmo essere nelle Langhe ed invece siamo sul colle di Loreto a Cenate Sotto (BG). L’altitudine dei vigneti è di circa 400 m/slm su cui arriva l’aria ventilata dal monte Misma.
Qui domina Pietramatta, la creatura di Andrea Sala, nata “in garage” circa 20 anni fa ed ora consolidata in una produzione di qualità dove trova posto anche un rosato secco da uve di Moscato di Scanzo.
Nel Sass l’uvaggio è quello tipico bordolese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Le uve sono raccolte a mano e fermentate in legno. Il vino affina 18 mesi in barrique e 4 mesi in bottiglia.
Si presenta in una bottiglia minimalista serigrafata e dominata dalla cera rossa a preservare il tappo di sughero. Nel calice il rosso è sostanza, luminoso, limpido e sinuoso nel movimento. Raccoglie profumi di bacche nere, more, sottobosco, rose rosse, richiami balsamici e speziati di tostatura in legno. Trasmette un bouquet variegato ed equilibrato con un accento tipico di Cabernet.
L’assaggio restituisce nel retronasale le fragranze fruttate, accompagnate da ricordi vegetali. Scorre fresco d’acidità lasciando sensazioni minerali tra le guance e saline nel finale. Sfuma lentamente negli aromi in un piacevole ricordo di frutto fresco. Dal lato tannini la percezione è di “discrezione”, sono precisi, composti. Il volume alcolico è del 13%.
Nel complesso è un bel rosso che si fa degustare con facilità, ideale per accompagnare una cucina contadina, cioè fatta da sapori autentici come possono essere una pasta all’uovo fatta in casa, delle carni lesse o l’immancabile polenta taragna della zona.
Sass ha conquistato 3 Rose Camune sulla guida 2022 AIS Viniplus dedicata ai vini di Lombardia.
Il 1999 evoca tanti ricordi, quello più presente è il capodanno a Bruxelles, in piazza, con una bottiglia di vino nascosta nel cappotto (era vietato introdurre vetri), e quella ragazza che sarebbe diventata mia moglie al mio fianco… ero giovane, tutto sembrava possibile. Ora guardo questa Barbera del ’99 e mi chiedo se è possibile che sia ancora bevibile. Il colore è bello, rubino e mattonato sull’unghia, denso alla rotazione. Si muove lentamente negli archetti. Il volume alcolico del 13,5% in etichetta mi sembra pochino per essere una Barbera però tutto questo colore è sinonimo di una buona presenza di polifenoli, antociani. È limpido e luminoso, direi che sta bene.
Lascio che si apra per circa un’ora e con sorpresa riscontro dei profumi evolutivi importanti e nessun cattivo odore evidente. Note eteree e di catrame si uniscono a sentori di piccoli frutti sotto spirito, ciliegia, mirtillo. Sfumature che ricordano le mandorle delle caramelle Rossana e balsamiche. La spinta olfattiva arriva dai norisioprenoidi, appunto quelle note di “goudron” dovute ad una evoluzione così lunga.
All’assaggio stupisce perchè cambia prospettiva, la morbidezza che mi aspettavo non c’è, è fresco e minerale, succoso come se il cuore fosse fatto di succo di ciliegia Durone. Ha ancora una buona acidità e tannini setosi. Quegli aromi nasali di catrame sono ai margini. Wow al gusto è ottima. È armonica e lunghissima nella persistenza aromatica. 22 anni, da non crederci!, spettacolo. Non voglio più sentire che la Barbera è un vino da consumare in gioventù, questa sarebbe da fargli un monumento.
Purtroppo non ho informazioni sul produttore, se non che è la Tenuta Gaiano di Camino in provincia di Alessandria. Il nome Gallianum dato a questa Barbera del Monferrato è probabilmente dovuto ai primi insediamenti romani. Il nome del paese, Camino, secondo la tesi sostenuta da Aldo di Ricaldone (giornalista e scrittore), deriva da Caminus, ”camo”, fornace, perchè qui si fondeva il minerale da cui si estraeva l’oro, ricercato nelle aree vicine all’abbazia di Lucedio (fonte: Comune di Camino).
E allora mi viene da sorridere perchè quella “mineralità” che avevo timore di menzionare potrebbe avere un senso. Caratterizza questo vino con eleganza conferendogli un carattere maturo e vigoroso. La sensazione minerale si sente sulla lingua, ricorda la pietra, l’ardesia, i sali minerali…
Caspita che buona, vorrei che il lettore potesse assaggiarla per comprenderne la descrizione, lo so che non può succedere (anche perchè non arriverà a domani) però può diventare un suggerimento a dimenticarsi qualche Barbera in cantina e riscoprirla un decennio dopo.
Sono contento d’aver negato un futuro da oggetto d’esposizione a questa Barbera regalatami da una persona che, per quanto appassionata di vini, la riteneva già “scaduta”. Queste poche righe fermano una cosa bella che meritava d’essere ricordata.
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